
Parliamo di cinema…
19 Luglio 2018
Parliamo di filosofia
20 Luglio 2018C’è una sola definizione che si può adoperare per il novanta per cento della produzione letteraria che circola nelle librerie, vince i premi letterari, attira le attenzioni della critica, scala le classifiche dei più venduti e, non di rado, viene tradotta da qualche regista nel linguaggio cinematografico e diventa anche un film di culto: sporcizia, e solamente sporcizia. In pratica, è un prontuario di tutti gli orrori, le perversioni e le anormalità, sessuali e d’altro genere (ma soprattutto sessuali, perché la pornografia fa vendere, è un trucco vecchissimo, ma sempre attuale): è come se le case editrici e tutti quanti investono denaro nell’industria del libro — perché è un’industria, è inutile fare finta che sia qualcos’altro, l’arte e le idee ci hanno poco o nulla a che fare — avessero deciso di premiare, o addirittura di commissionare, quei romanzi che illustrano, uno dopo l’altro, con minuziosa acribia, tutte le aberrazioni possibili e immaginabili, dal "semplice" tradimento alla sodomia, al transessualismo, all’incesto, alla pederastia, al sadismo e al suo fratello gemello, il masochismo, alla necrofilia, alla bisessualità, ai triangoli amorosi più strani ed elaborati, con scambi vertiginosi, con promiscuità frenetiche, con variegate iniezioni di bestialismo, di feticismo, di voyeurismo, per non farsi mancare niente, dagli amplessi sulle tombe del cimitero, alla violenza mediante bottiglie e altri oggetti impropri, e, naturalmente, all’uso di droghe pesanti per rendere il godimento sempre più estremo, fino al bondage, fino alla morte per soffocamento nelle posizioni più strane, più mostruose e raccapriccianti, ispirandosi anche a noti fattacci di cronaca nera (a riprova del fatto che è ormai la realtà, molto spesso, a ispirare le fantasie malate di scrittori e registi, e non viceversa, in un significativo scambio dei rispettivi ruoli d’un tempo).
Ecco un padre, serio e promettente uomo politico, che s’innamora pazzamente della fidanzata del figlio, e questa di lui, benché i due giovani siano vicini alle nozze; e i due amanti si inebriano in folli cavalcate erotiche, finché lo sventurato ragazzo, un giorno, apre la porta sbagliata, vede l’orrendo spettacolo, arretra incredulo e pietrificato, perde l’equilibrio e cade all’indietro, giù per la tromba delle scale, sfracellandosi e portando con sé l’indicibile segreto. È il soggetto de Il danno di Josephine Hart, da cui è stato tratto un film non meno famoso del libro, diretto dal celebre regista francese Louis Malle. Oppure ecco una brava ragazza, una studentessa di ottima famiglia, che passa dal letto di una prostituta all’altra, preferibilmente giovanissime, anzi minorenni, assumendo nel contempo massicce dosi di droga, e che gode sessualmente a far l’amore sulle tombe, che violenta le sue amanti con delle bottiglie di Coca-Cola e che solo alla fine, stanca e disgustata, ma poco pentita, ritorna al tetto materno in cerca di affetto e comprensione genitoriale. È la trama di Brass (titolo italiano: Senza pudore) dell’inglese Helen Walsh, giovanissima e promettente, si fa per dire, scrittrice di Liverpool. Poi c’è una ragazza che dovrebbe studiare ma non studia, figlia della ricca borghesia di una città del Nord Italia, che non mangia quasi nulla ma in compenso s’ingozza di droghe e psicofarmaci, e passa da una festa a una discoteca, partecipa o assiste a tutti gli eccessi immaginabile e inimmaginabili, in un crescente gioco al massacro, senza mai saper che fare della sua vita, con una sorta di sfrontatezza meccanica, un compulsivo bisogno di degradarsi e disprezzare il mondo intero. È il soggetto di Io non chiedo permesso di un’altra esordiente, italiana questa volta, Marilù S. Manzini, romanzo "lanciato" anche mediante una furbesca copertina che solletica i bassi istinti del pubblico voyeurista. La cattiva maestra, nel nostro Paese, è stata la scrittrice femminista della prima ondata, Dacia Maraini, con libri come L’età del malessere e Lettere a Marina; ma, come suole accadere, i discepoli (o le discepole) vanno ben oltre la relativa timidezza dei maestri, e oggi non vi è centimetro del corpo umano, né sfaccettatura, per quanto microscopica, delle umane passioni e perversioni, che gli scrittori dell’ultima generazione non abbiano esplorato e, per così dire, deflorato, in un’ansia di profanazione che trova il suo limite solo nella materiale impossibilità di andare oltre la feccia più sordida della degradazione.
Ed ecco qualche trama "rubata" su Wikipedia:
Il danno (attingiamo alla trama del film, visto che non esiste una scheda sul romanzo):
Stephen Fleming è un importante politico inglese che non riesce a tenere a freno la passione scatenata dalla conoscenza di Anna, la fidanzata del figlio. In un crescendo irrefrenabile di passione l’uomo maturo, felicemente sposato, medico affermato e politico di grandi responsabilità, perde il controllo sulla propria esistenza fino a rendersi responsabile della morte del figlio, quando questi, sbalordito, scopre la verità. La storia di passione finisce nel dramma, ma mentre lui è un uomo distrutto, lei, già passata attraverso una circostanza simile da piccola, si rifà una vita tornando con il suo fidanzato dell’adolescenza.
Passiamo a La pianista di Elfriede Jelinek, dal quale è stato tratto un altro film di successo (di Michael Haneke), un romanzo del quale noi stessi ci siamo a suo tempo occupati:
Erika Kohut è un’insegnante quarantenne di pianoforte che vive con la madre un rapporto tormentato. È sorvegliata continuamente, frenata nei suoi entusiasmi, schiavizzata e si conforta comprando abiti costosi che appende nell’armadio senza poterli indossare. Erika, per ricercare la sua identità sessuale, con un senso di autolesionismo e voyeurismo, prima di tornare a casa dove l’attende la tirannica madre, si reca negli squallidi peep-show della periferia di Vienna, nei cinema a luci rosse o tra le siepi del Prater. Il tentativo di Erika di legarsi con il suo allievo Walter Klemmer finirà in una "catastrofe sadomasochista" ed Erika, ferita e vinta, ritornerà a casa.
Ora vediamo la trama di Querelle di Brest di Jean Genet (anche da questo è stato ricavato un film, di Rainer Werner Fassbinder), altro romanzo di culto del filone trasgressivo e sodomitico:
L’aitante, audace, forte e bello Georges (detto Jo) Querelle, giunge con la sua nave fino al porto di Brest e qui sbarca; il tenente Seblon suo comandante subito mostra d’essere segretamente innamorato di lui, attratto dalla sua virile presenza. Querelle si dirige con passo lento e sonnacchioso "Alla Feria", il bordello più famoso del porto gestito da Nono, la cui moglie è l’amante del fratello di Querelle. Questo locale s’è guadagnato una grande fama per la sfida che il proprietario impone a tutti i marinai che vi mettono piede: essi devono infatti accettare di giocar una partita a dadi con lui. Se vincono possono andare gratuitamente a fare l’amore con una delle ragazze e passar così una serata felice in compagnia, mentre se perdono si trovano costretti ad acconsentire ad un rapporto omosessuale con lo stesso Nono, famoso per essere molto ben dotato. Querelle si presenta, furbescamente bara ai dadi con l’intento di perdere e si fa così sodomizzare da Nono. Frequentatore assiduo del locale è anche un poliziotto corrotto di nome Mario il quale, sentendosi subito attratto dal bel marinaio, cerca in tutti i modi di sedurlo. Intanto si verifica un omicidio, viene accusato del crimine un giovane operaio che in realtà è del tutto estraneo alla faccenda, ed inoltre viene aggredito il tenente del vascello su cui lavora Querelle, il quale nel frattempo si preoccupa di smerciare un po’ d’oppio fatto entrare di contrabbando ingannando la dogana. Per disaccordi sul compenso pattuito uccide Vic, suo complice nel traffico di droga, e successivamente cerca di gettar la colpa anche di questo delitto sul giovane operaio Gil: l’unico che continua fermamente a credere all’innocenza del ragazzo è il suo caro amico omosessuale, che continua in tutti i modi a proteggerlo anche se sa benissimo che questi è in realtà innamorato di sua sorella e non di lui.
Ora consideriamo La vita interiore di Alberto Moravia (rimandiamo il lettore, desideroso di approfondire la cosa, all’apposito lavoro che avevamo dedicato a questo brutto e osceno romanzo):
Desideria, ragazzina obesa e infelice, vive assieme alla madre vedova e ricca Viola che, un giorno, le rivela di non essere la sua vera madre e di averla comprata da una prostituta. La notte prima, inoltre, Desideria assiste per caso a una scena di sesso a tre: la madre è sodomizzata dall’amministratore dei beni di famiglia Tiberi sotto lo sguardo della governante Chantal. Questi eventi portano ad un mutamento nella vita di Desideria che crescendo diventa un’adolescente snella e bellissima che scatena in Viola una morbosa attrazione sessuale. Durante una vacanza con la madre a Zermatt,, Desideria conosce Emilio, un ragazzo di Milano appassionato delle teorie di Karl Marx che la introduce al marxismo, e assume allo stesso tempo la piena consapevolezza che Viola è incestuosamente attratta da lei, poiché Viola ha cercato di masturbarla nel sonno. Desideria, come atto di ribellione nei confronti della madre adottiva, decide di imitare le prostitute da marciapiede, avendo come primo e unico cliente Erostrato Occhipinti, un siciliano spiantato, che fa credere a Desideria di essere membro attivo di gruppi di estrema sinistra che organizzano furti e sequestri per finanziare l’imminente rovesciamento rivoluzionario dell’ordine borghese, anche se in realtà ha svolto in passato anche attività d’informatore per la polizia. La ragazza pensa di servirsi di Erostrato per sequestrare Viola, in modo da estorcerle un riscatto attraverso Tiberi. Erostrato non prende sul serio la sua idea, ma tuttavia le parla di Quinto, un compagno milanese in arrivo a Roma che è in grado di autorizzare e organizzare il sequestro. Il luogo in cui tenere Viola prigioniera, secondo Desideria, potrebbe essere la garçonniere di proprietà della madre, attirata lì con promesso di un’orgia con la figlia adottiva ed Erostrato. Quinto arriva a Milano e fa un sopralluogo nell’appartamento dove tenere in ostaggio Viola, dove Quinto, armato, caccia Erostrato e violenta Desideria. A questo punto, Desideria rivela a Quinto che Erostrato è in realtà una spia infiltrata dalla polizia nel suo gruppo rivoluzionario, come provato in un dossier dei carabinieri in mano a Tiberi, e gli chiede di accompagnarla dall’amministratore della madre per farsi dare il fascicolo: Tiberi però quando incontra Desideria tenta di violentarla. Quinto, che non sa di quanto accaduto a casa di Tiberi, la porta in una casa di appoggio per terroristi dalle parti di San Giovanni; Desideria però prende la pistola dal suo giubbotto e lo uccide. Uscita dalla casa, Desideria non si reca alla garçonnière per l’orgia con la madre adottiva e con Erostrato, interrompendo improvvisamente il racconto asserendo che quanto detto basta per conoscerla "come personaggio".
Come nel caso dei film, anche per le opere letterarie, o sedicenti tali (in fondo, chi decide che un romanzo è un’opera letteraria, e non semplicemente uno scartafaccio insulso e pornografico?) potremmo andare avanti per pagine e pagine: sarebbe una galleria inesauribile, che finirebbe per generare, tuttavia, un senso crescente di monotonia, di stanchezza, di ossessione, di nausea, di disgusto — almeno per palati normali. Il pericolo è proprio che, a forza di assumere un tale veleno, l’organismo vi faccia l’assuefazione e non percepisca più il marciume per quello che è. Naturalmente non si tratta solo di variazioni sul tema del sesso; ci sono la gelosia, l’invidia, il cinismo, il disprezzo, la superbia, l’orgoglio, l’avidità, l’egoismo, la violenza, la cattiveria, la calunnia, il ricatto, la corruzione, il carrierismo sfrenato, la sopraffazione domestica, la menzogna, l’inganno, la perfidia più o meno sottile, la manipolazione, la crudeltà psicologica, l’alcolismo, la droga, il suicidio, l’omicidio, la tortura fisica e morale, la bestemmia, la blasfemia, la profanazione, la sconcezza gratuita, la derisione del bene, la denigrazione dell’onesto, del vero e del giusto. Affinché non manchi nessuna delle passioni che abbrutiscono l’uomo, che lo degradano, che lo fanno retrocedere al livello delle bestie, o anche al di sotto. Il tutto con il tono di una falsa sincerità, di una "onestà" documentaristica che strizza l’occhio alle mode più corrive, con una pretesa di "verità" che va, guarda caso, nella direzione degli indici d gradimento del pubblico più triviale, del lettore più vizioso. E, come nel caso del cinema, l’obiettivo di tutta questa letteratura-spazzatura — poiché esiste una regia, non si tratta di prodotti spontanei ma di una operazione pianificata e sponsorizzata appositamente — è quello di svilire la religione, la patria e la famiglia (la famiglia normale, si capisce: quella formata da un uomo e una donna), di screditarle, di metterle nella peggiore luce possibile, di attirare su di esse la noia, il fastidio, il disgusto; e, viceversa, di esaltare la ricerca delle emozioni "uniche", delle sensazioni "travolgenti", delle esperienze "irripetibili", seguendo gli impulsi più segreti, più bassi, più primitivi, e assecondando ogni istinto, anche il più deviante, il più patologico, il più mostruoso, all’insegna di un naturalismo radicale e di un vitalismo autodistruttivo, ma impregnato di un edonismo totale. La nave della civiltà moderna sta affondando, ma l’orchestra deve continuare a suonare, e ciascuno deve sprofondare sempre più nelle sue passioni proibite, cogliere l’attimo, godere l’istante, concedersi qualunque esperienza, fosse pure la più abominevole e vergognosa; ma cosa è abominevole, cosa è vergognoso, su una nave che sta affondando? Non è forse meglio godersi quel poco che resta da godere, visto che domani saremo tutti morti?
Tale è la psicologia da disperati, da ossessi, da mostri, che si esprime attraverso le opere letterarie che testimoniano la nostra estrema decadenza morale, oltre che artistica. Inutile dire che la critica, nella maggior parte dei casi, si pone sullo stesso livello ed esalta opere che non solo sono di pessimo esempio sul piano morale, ma che non valgono nulla neanche sul piano strettamente artistico. Anche i signori critici, come i curatori delle case editrici, sono a libro paga del potere finanziario, la vera centrale del male: anche loro mangiano lì, ricevono gli le poltrone, gli spazi, le lodi e le attenzioni da lì, e quindi eseguono diligentemente lo (sporco) lavoro che è stato loro affidato: recensire favorevolmente tutta questa spazzatura e ignorare, o stroncare, le poche opere sane che, per mostro o per miracolo, come direbbe Leopardi, riescono a varcare la soglia del grande circuito editoriale e si affacciano all’attenzione del pubblico. Tutta questa gente, scrittori, editori, critici, registi, attori, che si presta all’intera operazione, non merita nient’altro che il nostro disprezzo. Fino a una generazione fa, si poteva ancora andare in libreria, o entrare in una sala cinematografica, per cercare qualche cosa di valido, d’interessante, perfino d’intelligente. Adesso le cose sono cambiate C’è stato un tremendo appiattimento, un brutale livellamento verso il basso: sempre più in basso. A forza di scendere in basso, siamo arrivati alle fogne. Il fetore di decomposizione ammorba l’aria, fa venir voglia di scappare. Ed è questo, ormai, che una persona sana deve fare: scappare, voltar le spalle al manicomio, alla bolgia infernale in cui si è trasformata la letteratura contemporanea.
Aria, aria fresca, per l’amor di Dio! Lasciamo che i malati godano a farsi sedurre da altri malati; chi desidera preservare la propria salute, morale e intellettuale, non deve restare in questa fetida cantina nemmeno un solo istante di più…
Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Wallace Chuck from Pexels