E qual è il punto, allora?
29 Gennaio 2023Un prete tradizionalista e «complottista» molto, ma molto scomodo: Luigi Cozzi
24 Febbraio 2023A volte un sentiero sbagliato può condurre a una piacevole scoperta; non sempre un sentiero sbagliato provoca solo una fastidiosa perdita di tempo.
Stavo conducendo una ricerca su don Luigi Giussani; e, fra le alte cose, vista la reticenza e quasi l’avarizia delle fonti più comuni, andai a consultare anche la voce a lui dedicata su Wikipedia, pur sapendo benissimo che si tratta di uno strumento da adoperarsi, diciamo così, con qualche speciale attenzione, e non solo per i contenuti, ma anche per i dati puri e semplici e perciò sempre bisognoso di una verifica supplementare.
A un certo punto, m’imbatto nella notizia che don Luigi Giussani redasse la voce "Educazione" per l’Enciclopedia Cattolica. La cosa mi parve subito alquanto strana, non solo perché mi giungeva affatto nuova, ma ancor più per un semplice ragionamento di buon senso: benché infatti non venisse precisato l’anno di tale collaborazione, l’Enciclopedia Cattolica è stata pubblicata in Vaticano, dall’Ente per l’Enciclopedia Cattolica e per il libro cattolico, in 12 volumi, fra il 1948 e il 1954. Ho la fortuna di averla a casa e di consultarla spesso: è l’ultima opera di quel genere partorita dalla Chiesa prima del Concilio Vaticano II e i suoi collaboratori, fra i quali Cornelio Fabro, sono tutti specialisti di prim’ordine, sicuramente ortodossi nella loro concezione e nella loro esposizione della cultura cattolica: nessuna fuga in avanti, nessuna infiltrazione di odore anche solo vagamente neomodernista. La voce "Educazione" si trova nel quinto volume, pubblicato con l’imprimatur nel 1952: vale dire quando don Giussani, sconosciuto sacerdote milanese dalle idee un po’ originali operava presso una parrocchia periferica della Barona, dedicandosi soprattutto alla confessione, insegnava presso la sede ginnasiale del seminario di Seveso e si dibatteva fra gravi problemi di salute, che lo avrebbero tormentato per tre anni e che, a causa di una broncopolmonite degenerata in pleurite, gli avrebbero compromesso permanentemente la funzionalità di un polmone. Difficile dunque pensare che proprio a lui, allora interessato a studi e ricerche sul cristianesimo orientale e sul pensiero del riformatore Reinhart Niebhur, fosse stato affidato quell’incarico: e infatti, andando a consultare la "voce" in questione sulla Enciclopedia Cattolica, una "voce", come al solito ampia, chiara e precisa, potei constatare che non reca la firma di don Giussani, il cui nome non figura nemmeno fra quelli dei collaboratori, ma del gesuita Celestino Testore, una penna già nota e affermata de La Civiltà Cattolica.
Talmente nota e affermata che il suo nome mi ricordò immediatamente dove lo avevo già incontrato: sulle copertine, avvincenti e coloratissime, di una buona cinquantina, e forse più, di romanzi per la gioventù, tutti di ambientazione esotica, di tema missionario e con esplicite finalità apologetiche.
Ne avevo anche letti alcuni, non da ragazzo, perché appartenevano a un’altra generazione, ma più tardi, da adulto, per farmene un’idea, mosso da un forte interesse per la letteratura per l’infanzia e in particolare per quella di carattere religioso. Nato a Biella il 18 gennaio 1886, entrato come novizio nell’Ordine di Sant’Ignazio, ad Avigliana (Torino), nel 1903, venne ordinato presbitero a Novara nel 1916, in piena Prima guerra mondiale, ed è morto a Cuneo l’8 novembre 1973, dopo una vita intensissima di attività svolta in diversi istituti gesuiti e nella composizione di un numero veramente sterminato di libri di narrativa religiosa e apologetica, tutti immancabilmente ambientati nelle terre più lontane e fra le popolazioni allora meno conosciute alla civiltà europea, tanto che lo si potrebbe definire, senza troppa esagerazione, un Emilio Salgari, un Karl May o un Rudyard Kipling con la talare e la croce.
La sua produzione letteraria lascia impressionati per l’ampiezza e la varietà, anche se alla fine il filo conduttore è sempre il medesimo: celebrare e far conoscere adeguatamente l’opera dei santi missionari nelle regioni più impervie della Terra, specialmente dei suoi fratelli gesuiti (come già aveva fatto il suo illustre predecessore XVII secolo, Daniello Bartoli e che, missionario mancato, aveva riversato nella scrittura tutto il suo zelo e il suo ardore di apostolo); e sospettiamo fortemente che l’oblio quasi totale che è caduto sulla sua persona e sulla sua opera abbia che fare con il clima interno alla Chiesa degli anni in cui scrisse, e che, nella lotta fra modernisti e antimodernisti, lo vide senz’altro schierato dalla parte dei secondi, vale a dire dalla parte di san Pio X e della Pascendi, ossia del retto magistero cattolico.
Stendere un elenco veramente completo dei suoi libri crediamo sia cosa pressoché impossibile. Pertanto ci limitiamo ad enumerare i titoli che, forse, richiamarono maggiormente l’attenzione del pubblico: un pubblico giovanile che egli voleva non solo intrattenere, con la narrazione sapiente avventure e vicende più o meno emozionati, ma anche e soprattutto educare nella fede e spronare nella sequela della grande opera di evangelizzazione mondiale, secondo il preciso mandato di Gesù agli Apostoli (Mc 16, 15-18):
^15^E disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. ^16^Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. ^17^Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, ^18^prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».
Un elenco molto approssimativo comprende I Santi Martiri Canadesi (edizioni Piane), L’occhio del giaguaro, L’inganno maoro, Buby, Il grido degli: Hau! Hau!, Il brivido del sepolto vivo, L’isola del mistero, Sui campi di Fiunga, L’oro del Klondike, Il narcotico del fachiro, L’incubo della tenebra, La vendetta dello schiavo, Il maleficio di Tauri, Nonni e Manni, Om-Mani-Padme-Um, Fior di Loto, L’odio dell’Abuna (tutti con l’Editrice "Missioni" della Compagnia di Gesù). Molti sono stati tradotti all’estero, specie in lingua spagnola e portoghese.
Gli anni di pubblicazione arrivano fino ai ’60: Il grido degli Hau! Hau!, per esempio, uno di quelli dai quali oggi non ci sarebbe prete ben deciso a prenderne le distanze in nome dell’ecumenismo, del dialogo, dell’inclusione e della pace, è, dopotutto, del 1959: il sottoscritto aveva già tre anni, andava all’asilo e facilmente avrebbe potuto trovarselo fra le mani al catechismo, pochi anni dopo, come regalo o come premio di buona condotta. Invece le cose sono andate in una maniera completamente diversa e per conoscere i romanzi di padre Celestino Testore, anzi anche solo per scoprire che è esistito un colto e prolifico scrittore di gesuita di nome Celestino Testore (i titoli, che richiamano sparsamente Carolina Invernizio e Jack London, non traggano un inganno sulla qualità della scrittura), sarebbero dovuti passare non tre o quattro anni, come sarebbe stato naturale, ma più di tre o quattro decenni, e l’incontro sarebbe avvenuto casualmente, quasi clandestinamente, al di fuori del circuito delle librerie paoline, bensì in quello dei mercatini dell’usato, perenni e inesauribili cimiteri di grandezze perdute e di glorie sfiorite.
Ormai il nostro sagace lettore avrà perfettamente capito le ragioni per le quali è così improbabile, per non dire quasi impossibile, che un lettore dei nostri giorni, specie se giovane e se specie se cattolico, si imbatta nei libri di padre Celestino Testore, che da oltre mezzo secolo non sono stati più ristampati. I gesuiti della Civiltà Cattolica dei nostri giorni lo prenderebbero a sassate, si fa per dire naturalmente; non gli perdonerebbero mai e poi mai che le altre religioni – nelle quali pur brilla, secondo le melliflue espressioni del Concilio Vaticano II, un riflesso della divina verità – vengano così disinvoltamente presentate dome false, impregnate d’ignoranza, stregoneria e magia nera; e che gli uomini bianchi, se attaccati a tradimento, abbiano l’ardire di difendersi, ribattendo colpo su colpo. Certo, nessuno nega che il modello perfetto sia e resti eternamente Gesù Cristo, il quale si lascia crocifiggere senza reagire. Non si deve però dimenticare che la Chiesa non ha mai proibito la legittima difesa, purché proporzionata alla minaccia o all’offesa, e non ha mai condannato (fino a Bergoglio), in linea generale, neppure il ricorso da parte dello Stato alla pena di morte. I più grandi teologi, come San Tommaso d’Aquino, hanno sempre difeso il buon diritto a battersi nella guerra giusta, cioè di difesa; né si dimentichi che il grandissimo sant’Agostino, nell’ultimo anno della sua vita mortale, fino all’ultimo animava i suoi concittadini d’Ippona, assediata dai crudeli Vandali, a difendere strenuamente le loro case, le loro famiglie e la loro stessa vita. Quanto al fatto di presentare in luna luce poco simpatica i sacerdoti delle false religioni e il loro relativo grado di civiltà, be’, bisognerebbe avere l’onestà di fare quattro chiacchiere con qualche vecchio missionario in pensione, non con questi giovani comboniani o preti della Consolata, le cui riviste paiono fogli di propaganda marxista: e si scoprirebbe che gli stregoni africani e haitiani erano veramente degli avvelenatori e dei maghi neri asservirti al demonio, o che i Maori meno civilizzati erano veramente dei cannibali, i quali mettevano in pentola i nemici uccisi (e che in questo modo sterminarono i pacifici Moriori delle Isole Chatham, in un sanguinoso raid del 1835).
La realtà è che sono bastati pochissimi anni e, con il cavallo di Troia del Concilio, la dottrina della Chiesa, partendo dalla pastorale, è stata letteralmente capovolta: perciò quel che era buono e giusto fino al 1965, dopo quella data, specie con la Dignitatis humanae e la Nostra aetate, è diventato cattivo e sbagliato. E questa è la prova che col Concilio è stata fondata una nuova religione, che fraudolentemente ha conservato il nome dell’antica. Come si potrebbe oggi, in quell’ambito, parlare della stregoneria e dei delitti di certe religioni, quando un papa (Giovani Paolo II) si fa cresimare con la sacra cacca di vacca indù, e un altro (Bergoglio) si circonda di streghe, stregoni e praticanti di Yoga e Reiki?
D’altra parte, il mondo intero è cambiato. Il tempo dei martiri canadesi è trascorso da un pezzo: a titolo di curiosità, ricordo che mentre frequentavo la seconda media ci fu un eccidio, uno degli ultimi, di una minuscola missione cattolica sperduta nelle immense foreste dell’Amazzonia venezuelana, da parte della tribù Atroaris. Beninteso, i missionari martiri ci sono ancora: ma in genere sono vittime di gruppi religiosi fanatici e organizzati, come i guerriglieri moros dell’isola Mindanao, nelle Filippine. Ma oggi sarebbe difficile presentare la conclusione del libro Il grido degli Hau! Hau!, nel quale un gruppo di maori cerca di assalire i viaggiatori di un bastimento di linea per derubarli, ammazzarli e spartirsene le merci, ma il cui piano viene vanificato dalla pronta reazione del capitano, il quale non lesina la polvere da sparo ai suoi marinai; mentre il padre missionario che viaggia a bordo già pregusta le soddisfazioni che ben presto gli verranno dal battesimo di tante anime di pagani. Non che ci sia qualcosa di sbagliato o diseducativo nella vicenda: è cambiata la sensibilità, mano a mano che sono aumentati i sensi di colpa degli europei nei confronti dei popoli ex coloniali.
Comunque, grazie al malinteso iniziale che ci ha riportato sulle tracce di padre Celestino Testore, abbiamo avuto la possibilità di conoscere un altro aspetto della sua ricca personalità di sacerdote e uomo di cultura: quello educativo.
Ci è impossibile riportare qui le ricche pagine dedicate all’Educazione nella Enciclopedia Cattolica (vol. V, col. 93-103), ma speriamo di invogliare te, lettore, ad andare a leggerle, offrendoti intanto questo piccolo saggio, così pieno di saggezza, pur negli anni di furore ideologico di preti come don Milani:
EDUCAZIONE. L’arte di formare nel fanciullo l’uomo, in quanto tale. Cioè con tutta la perfezione che la sua natura comporta. (…)
RAPPORTO TRA EDUCANDO ED EDUCATORE. Costituisce l’intima essenza della e. SI ha, infatti, nella e. da una parte il fattore soggettivo, colui che ne è il soggetto attivo, cioè l’educando con tutti i suoi istinti, facoltà, tendenze naturali ed ereditarie, indole, temperamento. Egli forma, sì, l’oggetto intorno a cui si esplicano le norme dell’azione educativa, ma non ne è tanto oggetto, che non ne sia nello stesso tempo e prevalentemente il soggetto, perché per la legge della spontaneità egli viene a poco a poco educandosi da sé, organizzando in sé tutto il mondo delle sue esperienze, conquistando così se stesso e la personalità. Dall’altra parte si ha il fattore extra
soggettivo, che è l’azione dell’educatore, cosciente e voluta. Ma questa non sostituisce né deve sostituire l’azione dell’educando, bensì cooperare con essa. Un altro fattore extrasoggettivo è dato dall’ambiente fisico, in cui si nasce, dall’ambiente familiare e sociale, in cui si vive, con tutte le conquiste raggiunte, le sue tradizioni, la sua cultura (col. 93-94).
Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Wallace Chuck from Pexels