
La misericordia come maschera del disprezzo di sé
18 Luglio 2018
Parliamo di letteratura
19 Luglio 2018Oggi quasi tutti i film che l’industria cinematografica getta sul mercato sono film di propaganda del nuovo totalitarismo silenzioso (ma neanche tanto): il loro scopo è dire peste e corna di Dio, della patria e della famiglia, e, viceversa, di cantare, lodare e celebrare la bellezza dell’immigrazione selvaggia, della società multietnica, del relativismo morale, dell’adulterio, del divorzio, dell’aborto, della sodomia, del transessualismo, della pederastia e della libera droga per tutti. Fateci caso; non stiamo affatto esagerando. Nove film su dieci, a dire poco (e nove romanzi su dieci, e nove saggi filosofici su dieci, e così via) girano e rigirano sempre attorno allo stesso tema e svolgono sempre la stessa funzione: demolire a picconate, metodicamente, inesorabilmente, la tradizione, a cominciare dalla religione (la nostra, beninteso; quella altrui va rispettata), la patria e la famiglia, e promuovere l’idea che non c’è niente di più bello di una società che non ha confini, né identità, né valori stabili, né scopi, né mete, e di una vita vissuta all’insegna del cogliere l’attimo, dell’inseguire la felicità per la via più breve, del concedesi ogni capriccio e soddisfare ogni fantasia, e chiamare tutto ciò autenticità, spontaneità, amore. Non stiamo affatto calcando le tinte: è proprio così. Nove registi su dieci, nove produttori su dieci, nove attori su dieci, a essere ottimisti (potremmo anche dire: dieci su dieci) lavorano così, sono finanziati così, sono lodati dalla critica se rispettano queste consegne, sono stroncati se, per caso, si mostrano esitanti o recalcitranti. Il messaggio che deve passar è quello del pensiero unico: relativista, edonista, materialista, mondialista, immigrazionista, omosessualista. La sola religione che abbia ancora diritto di cittadinanza è la religione dell’Olocausto: a quella è ancora lecito, anzi, è doveroso inginocchiarsi e fare mea culpa, anche se le generazioni presenti, comprese quelle tedesche, non hanno alcuna colpa di quel che è successo ottant’anni fa; ma non importa, bisogna che la piaga resti sempre aperta. La chiamano rispetto della memoria, ma è solo una feroce volontà di mantenere in vita i fantasmi del passato, per tenere sotto scacco il mondo intero, per far sentire in colpa l’umanità intera (quella dei non ebrei, evidentemente) e per garantire carta bianca alla politica interna e internazionale d’Israele, con tutto ciò che questo comporta, anche in termini di azioni sporche dei servizi segreti, di attentati, stragi, destabilizzazioni, provocazioni, disinformazione, che portano acqua al mulino d’Israele e che gettano eterna infamia, discredito e condanna morale ai suoi nemici, veri o presunti.
E adesso, ci sia consentito, per brevità e semplicità, ma anche per obiettività, saccheggiare alcune "voci" di Wikipedia, a proposito delle trame di alcuni film prodotti negli ultimi vent’anni; e poi lasciamo che ciascuno tragga da sé le proprie conclusioni. Potremmo andare avanti per pagine e pagine, riempire volumi, intere enciclopedie. Ci vorrebbero migliaia di fogli solo per i titoli e per i riassunti dei film; siamo certi che ci si crederà sulla parola, ma che tre piccoli assaggi basteranno.
Wild Side è un film del 2003 di Sébastien Lifshitz, una co-produzione anglo-franco-belga. Trama:
Il film racconta la storia di Stéphanie, una transessuale dal carattere molto forte, originaria del nord della Francia che vive Parigi facendo la prostituta.. Nel proprio modesto appartamento in città, convive con la sua famniglia composta da Djamel, un bel ragazzo di origine magrebine,, anche lui prostituto, e Mikhail, un possente uomo russo in fuga dalla guerra in Cecenia, e giunto nella capitale da alcuni mesi. Quest’ultimo è un ex boxeur e sopravvive da clandestino con diversi lavori in nero. Mikhail vorrebbe che Djamel e Stèphanie smettessero di prostituirsi ma, per i due, quella professione è stata una scelta e rappresenta anche un simbolo di libertà. I tre si amano e, nonostante la loro vita sia piena di complicazioni, riescono a trovare un equilibrio che gli permette in cammino di vita comune…
I segreti di Brokebak Mountain è un film statunitense del 2005, diretto da Ang Lee. Trama:
Wyoming, 1963: due giovani uomini in cerca di un lavoro stagionale si presentano a un allevatore e vengono ingaggiati per condurre al pascolo un gregge di pecore nella località di Brokeback Mountain (un luogo fittizio) durante l’estate. I due hanno un carattere molto diverso: Jack Twist è un ragazzo estroverso e solare, dedito alle gare di rodeo con cui spera di farsi notare, mentre Ennis del Mar è un giovane di pochissime parole, chiuso e semplice, abituato ad accettare la vita dura così com’è. Durante questa esperienza in montagna,, l’isolamento e la convivenza forzata portano i due protagonisti a cercare un contatto e a scoprire un’attrazione e un sentimento reciproco, che sfocia in un rapporto sessuale; diventando sempre più forte giorno dopo giorno. Finito il lavoro estivo però, le loro strade si dividono e i due ragazzi perdono i contatti. Nei quattro anni successivi entrambi continuano la loro vita in modo convenzionale: Ennis sposa la fidanzata Alma, con la quale ha due figlie; Jack partecipa ancora ai rodei e in Texas conosce una ragazza di buona famiglia, Laureen, con cui conclude un matrimonio dal quale hanno un bambino e, nonostante il rapporto conflittuale creatosi con il suo suocero, questa unione garantisce al cowboy un buon lavoro nella ditta di famiglia. Ennis invece rimane relegato a lavori stagionali che a fatica gli consentono di mantenere la famiglia. Un giorno Ennis riceve una cartolina in cui l’amico gli preannuncia una visita. Questa visita riaccende la passione, nel profondo mai spentasi. I due si scambiano un bacio appassionato, senza accorgersi di essere visti da Alma. Jack sarebbe a questo punto disposto a smettere di fingere e vivere con Ennis, ma quest’ultimo ritiene che una relazione omosessuale equivalga a una condanna a morte, nella realtà in cui vivono. Intanto tra Ennis e la moglie si crea un’irreparabile frattura, che finirà in un divorzio. Gli incontri tra Ennis e Jack continuano sporadici, ma Ennis, vincolato tra il lavoro e le figlie, non riesce a passare molto tempo con Jack e quest’ultimo cerca di compensare la solitudine facendo ricorso alla prostituzione maschile in Messico. Durante l’ultimo incontro, in cui Ennis annuncia che non si vedranno fino a novembre, i due litigano, ma, quando si salutano, sembrano sapere che nulla cambierà. Arriva novembre ed Ennis si vede rispedire al mittente una cartolina inviata a Jack, recante il timbro DECEASED, deceduto. Incredulo, chiama la casa di Jack e parla con Laureen e dal suo racconto si convince che Jack sia stato ucciso perché ne avrebbero scoperto l’omosessualità. Il suo ultimo desiderio è che le proprie ceneri siano sparse a Brokeback Mountain. Ennis fa una visita ai suoi genitori per offrirsi di farlo, ma il padre preferisce che riposino nel cimitero del paese, mentre la madre di Jack permette a Ennis di prendere un oggetto dalla camera del figlio come ricordo. Ennis scopre così che Jack aveva conservato la camicia che vent’anni prima pensava di aver dimenticato a Brokeback Mountain. Capisce, quindi, che Jack è stato sempre profondamente innamorato di lui. Ennis si trasferisce in una roulotte, dove la figlia Alma gli annuncia che si sposerà presto con un operaio. Il film si chiude con Ennis che apre l’armadio e accarezza la camicia di Jack. Osservando una foto di Brokeback Mountain, le ultime parole che l’uomo dice con le lacrime agli occhi sono "Jack, io giuro".
Il film Le fate ignoranti è un film italiano del 2011, girato dal regista turco naturalizzato italiano Ferzan Ozpetek. Trama:
Antonia, un medico specializzato nella cura dell’AIDS, e suo marito Massimo sono una coppia di ultratrentenni, socialmente affermati, che sembrano vivere un legame intenso e perfetto seppur abbastanza routinario, disturbato solo dal difficile rapporto che la donna vive con la propria madre. La tranquilla quotidianità di Antonia viene irreparabilmente sconvolta quando Massimo muore improvvisamente, travolto da un’auto. Il distacco violento dal marito getta la donna in una cupa disperazione, in un lutto profondo che le impedisce di reagire e rende ancora più difficili i rapporti con la madre, anch’ella vedova da lungo tempo. Tra gli oggetti personali che, in una pausa della depressione, ritira presso l’ufficio dove Massimo lavorava, Antonia scopre un quadro, dal titolo "Le fate ignoranti", con dedica, che la pone sulle tracce di un’amante misteriosa, della quale naturalmente la giovane donna ignorava l’esistenza. Le ricerche che Antonia conduce la porteranno a scoprire una realtà assai lontana da ogni immaginazione, una realtà parallela che Massimo viveva da anni in perfetta clandestinità e che lo vedeva legato a Michele, un giovane commerciante del mercato ortofrutticolo generale, e alla comunità di persone cui Michele appartiene: omosessuali, una trans, una profuga turca e una verace donna napoletana; una vera e propria famiglia allargata che abita nella mansarda di un edificio popolare situato in uno dei quartieri più caratteristici di Roma, l’Ostiense. Attraverso il contatto e l’impatto con la realtà rappresentata dal gruppo, mitigati dalla condivisione del ricordo di Massimo, Antonia subisce un processo di maturazione personale e di affrancamento dagli schemi borghesi che rappresentavano certamente la sua gabbia dorata. La donna si ritroverà in certi momenti a condividere a tal punto con Michele l’immagine del marito scomparso da essere tentata di trasfigurare nel giovane omosessuale il sentimento negatole dalla morte del congiunto. Sarà soltanto il viaggio lungo e liberatorio di Antonia l’esperienza che ristabilirà equilibrio tra i due e che confermerà la donna in una visione rinnovata e più aperta della propria esistenza.
Sono solo tre piccoli campioni, lo abbiamo detto; ma il campionario completo sarebbe immenso, inesauribile. In pratica, esso comprende ormai la grande maggioranza dei film che vengono prodotti e distribuiti nelle sale cinematografiche, sia italiani che stranieri. E non parliamo dei film per la televisione, degli sceneggiati televisivi, dei romanzi, dei fumetti, dei programmi radiofonici, dei testi delle canzoni, delle arti figurative, delle poesie, dei saggi filosofici, storici, sociologici, etnologici. È sempre una infinita variazione sul tema: quanto fanno schifo le famiglie normali, quanto sono belle le famiglie arcobaleno; quanto è noioso, faticoso, deludente, sporco, l’amore fra uomo e donna, e quanto sono belli, puliti, gioiosi e gratificanti l’amore sodomitico e la pederastia; quanto è cupa, noiosa, monotona, provinciale la società tradizionale e quanto è meravigliosa, ricca e stimolante la società multietnica; quanto sono buoni gli immigrati e quanto sono cattivi, retrogradi e razzisti gli italiani che non gradiscono l’invasione e la sostituzione di popolazione; quanto è ripugnante e oscurantista la religione cattolica, a meno che sia riscattata da qualche prete di strada, di sinistra e amico dei transessuali, e quanto è bella una società atea e materialista, o, in alternativa, una società dove regnano l’ebraismo o l’islamismo. Le grandi firme del cinema e i volti delle star più famose e fotogeniche sono tutti a libro paga di questo disegno, ovviamente pianificato dalla grande finanza; lo stesso che orchestra la linea dei giornali, dei telegiornali, delle università. C’è un unanimismo bulgaro, da far impallidire quello comunista dei Paesi del Patto di Varsavia oppure della Corea del Nord. Impossibile trovare una voce discorde, a meno che sia quella destinata a fungere da testa di turco: il personaggio antipatico, razzista e intollerante che deve catalizzare su di sé tutto il disprezzo e il senso di superiorità morale del pubblico. Un pubblico manipolato, disinformato, eterodiretto, o, per dirla più schiettamente, rincoglionito a forza di lavaggi del cervello, e tuttavia convinto, convintissimo, della propria libertà, maturità e assoluta indipendenza ed eccellenza di giudizio. Strano, ma è un pubblico che dice sempre, o meglio ripete, quel che dicono la signora Botteri da New York, e Corrado Augias da Rai Tre, e il signor Bergoglio dalla Casa Santa Marta, e la C.E.I. di monsignor Galantino, e Gad Lerner e L’Avvenire. Conclusione: abbasso Dio, la patria e la famiglia; evviva il relativismo, la globalizzazione e la sodomia.
Tutto questo è infinitamente monotono, triste, scoraggiante. Già gli adulti si lasciano abbindolare, restano catturati dalla presenza della star tal dei tali e mandano giù, insieme allo zuccherino della sua bella presenza, o degli effetti speciali, o della trama emozionante o commovente, anche il veleno dell’incretinimento scientificamente studiato e pianificato; figuriamoci i ragazzi, i bambini, vittime innocenti di questa sporca operazione. E così vengono modellati, storpiati, capovolti i naturali sentimenti delle persone e la sana maniera di porsi di fronte alla vita; così si riempiono le casse del botteghino e si ottiene una uniformità sempre più massiccia intorno alle parole d’ordine politicamente corrette: due piccioni con una fava. Gli strateghi del mondialismo ringraziano per il gentile contributo delle masse; Soros si frega le mani, Bergoglio sorride, Paglia s’illumina di gioia. Per merito del cinema, stiamo diventando tutti un po’ più tollerati, più aperti, sensibili, accoglienti, solidali, e perfino più cattolici, nel senso che Walter Kasper dà a questa parola. Non è forse vero?
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