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La medicina egizia e la magia (segue)

L’espressione omerica, inoltre, suggerisce l’esistenza, nell’antico Egitto, di un rapporto fra l’uomo e la malattia che in seguito è andato perduto e che la nostra società non ha mai conosciuto, se non prima del pieno avvento della modernità. Il fatto che ogni persona sappia essere, in una certa misura, il primo medico di se stessa, beninteso per le malattie ordinarie e non troppo complesse, attesta una serie di conoscenze pratiche circa le sostanze naturali ad uso farmaceutico, specialmente quelle di origine vegetale, conoscenza che, nelle condizioni della società industriale, è andata inevitabilmente smarrita; e attesta, più ancora, una consapevolezza di ciò che significa saper difendere, entro certi limiti, la propria salute. In altre parole, quel che gli egiziani sapevano, e che noi moderni abbiamo dimenticato, è che ciascuna persona dovrebbe assumersi la responsabilità di custodire il bene della salute fisica e mentale e provvedere a ristabilirlo, quando viene compromesso dall’insorgere della malattia.

Oggi è normale affidarsi totalmente al medico, come se la nostra salute fosse responsabilità sua; troviamo nomale intrometterci nel lavoro dell’insegnante, dare giudizi personali su quello del giudice e perfino sull’attività del sacerdote; ma quando si tratta della nostra salute, pensiamo che un estraneo, che certo non ci conosce bene come ci conosciamo noi stessi, possa risolvere tutti i nostri problemi, magari facendoci assumere tutta una serie di farmaci chimici, prescritti in base ai sintomi, ma senza andare alla ricerca delle cause della malattia, come se il nostro mal di stomaco, o mal di testa, o i nostri disturbi digestivi, fossero identici a quelli di chiunque altro, solo perché i sintomi appaiono simili. Gli antichi egiziani si rivolgevano al medico quando non riuscivano a padroneggiare gli sviluppi della loro malattia, ossia quando essa diveniva complessa; ma per i disturbi ordinari provvedevano da se stessi, avendo una buona conoscenza degli organi animali, delle piante e delle sostanze minerali che possiedono facoltà officinali. Inoltre, sia che ricorressero alle cure di un medico professionista, sia che si curassero da soli, univano alle terapie la preghiera, poiché avevano una concezione "magica" della malattia, e pensavano che essa non può venire sconfitta se combattuta solo sul piano materiale e con i metodi scientifici. Essa ha a che fare con l’ordine dell’universo; e l’ordine dell’universo è nelle mani delle divinità, non degli uomini: perciò questi ultimi possono, sì, ricorrere al sapere umano, ma devono anche riconoscere il bisogno di ricevere un aiuto soprannaturale.

Ho la fortuna di conoscere personalmente una signora ultranovantenne, che dall’età di sei anni usciva con sua nonna, esperta curatrice con i metodi naturali, e che da lei ha imparato a riconoscere, raccogliere e preparare le erbe, nonché la tecnica dei massaggi, il che le ha permesso di diventare a sua volta così esperta, da aver assistito e aiutato a guarire centinaia di persone nel corso della sua vita, peraltro senza chiedere alcun compenso, ma solo accettando qualche offerta in natura. È una persona molto buona e altruista ed è anche molto religiosa, tanto da recitare almeno cinque rosari al giorno; ho trovato in lei una saggezza, una pacatezza e una intuitività che raramente s’incontrano nelle persone più giovani, anche fra quelle fornite di titoli di studio universitario. La sua convinzione profonda è che siamo nelle mani del Signore e che la vita terrena è solo un passaggio verso l’eternità. Mi sono chiesta se gli uomini delle civiltà pre-moderne, come quella dell’antico Egitto, somigliavano un po’ a lei, non solo nella saggezza, ma anche nella conoscenza pratica della natura, cioè nelle nozioni di botanica, erboristeria e perfino di astronomia che facevano parte del bagaglio necessario alla cura delle malattie e al mantenimento della salute. La sua stessa età, accompagnata da una salute invidiabile, fa pensare che imparare ad essere un po’ il medico di se stesso è la condizione indispensabile per prevenire le malattie, mantenendo l’organismo sano e longevo il più a lungo possibile. Mi fa molto riflettere l’impasto di saggezza contadina, conoscenza della natura e devozione religiosa di questa persona quasi centenaria, qualità accompagnate da un invidiabile equilibrio interiore, che l’aiuta a sopportare la solitudine, dopo essere rimasta vedova per la morte di un marito con il quale aveva condiviso oltre settanta anni di vita, nella salute e nella malattia.

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Jorgen Hendriksen su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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