Capire il mondo è vederlo nella trasparenza infantile
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9 Aprile 2022Tutti noi, probabilmente, abbiamo il nitido ricordo di quando, sui banchi di scuola, abbiamo affrontato il tema delle guerre persiane. Sia dalle parole del professore, sia dal tenore del libro di testo, traspariva chiaramente una sorta di entusiasmo nazionalistico retrospettivo: come se l’Europa e la sua civiltà, per mezzo della piccola ma valorosa Grecia, si fosse presa la soddisfazione morale e materiale di umiliare la tracotanza di un grande impero asiatico, vale a dire "barbaro", fondato sul principio della monarchia assoluta di diritto divino (e chi sa poi di quali barbare divinità), negatore di ogni spirito di libertà. E con quanta partecipazione, con quale entusiasmo quasi da tifo sportivo, avevamo seguito le alterne vicende di quel titanico scontro: il dispiegamento dell’immensa flotta persiana, l’avanzata del colossale esercito, il sublime sacrificio dei Trecento spartani alle Termopili, e così via, sino alla clamorosa, imprevedibile vittoria finale dei greci, che capovolgeva tutti i pronostici e gettava le basi per la futura impresa di Alessandro Magno, vista già allora come la risposta greca a quel tentativo di conquista.
Noi allora non lo sapevamo, ma per come quel capitolo di storia ci veniva proposto, erano evidenti almeno due cose: primo, che la cultura moderna è veramente figlia, purtroppo, della Rivoluzione francese, e anche nello studio della storia antica vengono proiettate a ogni costo le categorie libertà/ assolutismo e democrazia/tirannide, piegando la realtà dei fatti all’ideologia fondata sui "sacri principi dell’89"; secondo, che la storia è scritta dai vincitori e che viene insegnata a seconda del potere esistente e della cultura dominante, ovvero che è tutto fuorché una scienza, a dispetto di ciò che dicono alcuni storici di professione. A ben riflettere, infatti, più che di uno scontro fra l’assolutismo aggressivo e imperialista e la democrazia, si era trattato di una contesa assai più limitata fra un impero multinazionale (come oggi si direbbe) che era stato apertamente sfidato e che doveva punire lo sfidante per salvare la faccia, e una città greca che coalizzò attorno a sé anche le altre poleis (non tutte in verità) precisamente allo scopo di coinvolgerle in una lotta prevalentemente ideologica, ossia in una prospettiva politica che andava molto oltre i termini reali della contesa. Che poi il Re dei Re, dopo aver piegato i Greci dell’Asia Minore, sognasse di sottomettere non solo tutta la Grecia continentale, ma addirittura l’Europa intera, o poco meno, questa non è affatto storia, ma fantasia storica bella e buona.
Nel clima culturale sceso sull’Europa dopo la Rivoluzione Francese, pesantemente condizionato dall’illuminismo e poi impregnato di positivismo, mettere in dubbio che la storia fosse una scienza era quasi un’eresia — e lo è tuttora. Ma perché la cultura dominante ci tiene tanto a far passare la storia per una scienza? Perché la storia le serve come un grimaldello con il quale scalzare e rovesciare la tradizione — e soprattutto la Tradizione. Nelle cosiddette scienze bibliche, per esempio, la manovra è arrivata a un punto tale che nei seminari cattolici diocesani — ce lo diceva, con il cuore spezzato, un ex seminarista, uscito per non perdere, insieme alla vocazione, anche la fede — la parola d’ordine è: storicizzare tutto, anche la Parola di Dio. Quindi non si deve più fare affermazioni del tipo: Gesù ha detto che…; in altre parole, non bisogna citare più i Vangeli. La strategia cui mirano i Nuovi Padroni Universali è mettere in dubbio qualsiasi certezza relativamente a ciò che Gesù ha detto; di conseguenza, bisogna evitare di citarlo. Tanto meglio: meno si parla di Gesù Cristo e meno fastidio si dà ai non cattolici, con tanto di guadagnato per il benemerito dialogo interreligioso. Gesù è divenuto una pietra d’inciampo: bisogna rimuoverlo. E lo si rimuove storicizzandolo. Siccome al suo tempo non esistevano i registratori, dice Sosa Abascal, noi non abbiamo alcuna certezza di cosa Egli disse realmente. In dubio, abstine, dice la massima latina: nel dubbio, astieniti dal fare o dire alcunché. E allora avanti con l’ecumenismo, con il dialogo, con l’inclusione, con la misericordia (a senso unico, e cioè verso i peccatori impenitenti ma non verso i fratelli nella fede che non ci stanno alla svendita del Vangelo). A tal punto sono arrivati quei signori; a tal segno si è spinta la loro arroganza.
Lo stesso storicismo malefico si è insinuato in ogni angolo dell’umano sapere: non c’è disciplina che non ne sia stata contaminata. È proibito, tassativamente proibito, parlare di certezze: certezze non ce ne sono: l’unica cosa certa è che bisogna saltare addosso a chiunque sostenga di averne una, a chiunque affermi che la verità esiste. Ora, tornando alla storia, è chiaro che se la storia medesima deve essere continuamente contestualizzata, arriva il momento in cui non si sa più cosa sia accaduto e perché, e ciò è una logica conseguenza, esattamente come avviene quando si avvicina a tal punto l’immagine all’occhio che guarda, da non riuscire a percepire più alcuna figura distinta, ma solo delle macchie incomprensibili, delle forme evanescenti e indefinite. Tale è l’operazione che i Nuovi Padroni Universali hanno messo in opera in ogni campo del sapere, cominciando proprio dalla storia: e dopo aver instillato nelle menti l’idea che la verità non esiste, essi annunciano fra squilli di tromba la loro verità, ossia la loro interpretazione del passato. E dunque è dogma che le guerre persiane siano state una crociata della libertà contro la barbarie assoluta; che la Riforma protestante sia stata la rivolta del vero cristianesimo contro quello falso, costruito dai preti per il loro abietto interesse; che la Chiesa cattolica non abbia fatto nulla di buono, nulla di puro, fino a quando, col Concilio Vaticano II, vi è stata una formidabile rinascita spirituale; che la democrazia moderna sia la meta insuperata e insuperabile dei sistemi politici di qualunque tempo e luogo, e che per imporla sia giusto e doveroso anche fare delle guerre di aggressione contro quelle nazioni che sono così barbare e incivili da non gradirla (vedi l’Afghanistan, l’Iraq, la Libia e la Siria); infine che la Scienza odierna, ossia la pratica tecno-scientifica costruita e asservita al grande potere finanziario, sia l’ultima e definitiva Parola in ambito alla medicina, alla fisica e alla biologia, e che chiunque osi contestare un tale assunto deve essere scomunicato, ossia cacciato dall’ordine dei medici e denunciato come un pericolo pubblico, un sovversivo, e un attentatore al pubblico bene e alla pubblica salute. Si vedano gli attacchi sgangherati e totalmente antiscientifici di certi personaggi televisivi che si spacciano per divulgatori scientifici, contro il dottor Di Bella, o il dottor Hamer, o il dottor De Donno.
Analogamente, se qualche storico osa dire che la Seconda guerra mondiale è stata voluta, e fortemente voluta, dalla Francia e soprattutto dalla Gran Bretagna, anzi, da quelle forze della grande finanza internazionale che già controllavano i governi della Francia e della Gran Bretagna, nonché degli Stati Uniti d’America, viene immediatamente emarginato dalla comunità accademica e sottoposto a ogni genere di attacchi, anche personali e anche penali, specie se il corollario di tali affermazioni è una revisione delle dinamiche che hanno condotto al dramma degli ebrei. Questo è un altro esempio, ma se ne potrebbe fare una lista chilometrica, di come nella tanto decantata "scienza storica" vige un totalitarismo spietato, i cui sorveglianti speciali sono gli intellettuali che i Padroni Universali si son tirati su dalle loro università e dalle loro scuole di specializzazione: vale a dire dei cagnolini ammaestrati per scodinzolare festosi ogni volta che odono la voce del padrone, e per latrare furiosamente ogni volta che odono una voce diversa, scagliandosi ad azzannare il malcapitato che osi rompere la cappa uniforme del conformismo ufficiale. In altre parole, è significativo che proprio quanti sono impegnati a far passare l’immagine della storia come di una scienza che non erra, sono al tempo stesso costretti, per la forza delle cose, a trasformarla in una religione, in un credo, in un dogma sacro, sicché quelli che non ci stanno possano essere colpiti con le armi della censura e trattati da eretici e da blasfemi. Non è forse vero che un medico il quale dichiari di essersi persuaso dalla verità delle cinque leggi biologiche di Hamer viene trattato da blasfemo e da eretico, oltre che da ignorante e pericoloso mistificatore, indegno di occuparsi oltre della salute dei suoi pazienti? E non è altrettanto vero che sottrarre anche una sola unità al computo dei Sei Milioni equivale a un atto sacrilego verso un fatto che non è più storico ma religioso, e quindi a meritare il trattamento che spetta agli eretici pervicaci e ai sovvertitori della religione e del pubblico bene? Se poi ci si sposta nell’ambito dell’arte, del cinema, del teatro, della musica, della filosofia, della teologia, il quadro sostanzialmente non muta: o si accettano i dogmi dei Nuovi Padroni Universali, oppure si è meritevoli dei castighi riservati agli empi.
A questo proposito ci piace riportare, per riflettervi sopra, una pagina dello storico, filologo, archeologo e grecista Giuseppe Nenci (Cuneo, 1924-Pisa, 1999), docente di Storia greca presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, tratta dal suo libro Introduzione alle guerre persiane (Pisa, 1958; cit. in: C. A. Giannelli, Il cammino dei popoli. Corso di storia per il ginnasio e le prime due classi del Liceo Scientifico, Firenze, Bulgarini, 1969, vol. 1, pp.171-172):
Nella tradizione sulle guerre persiana si assiste al tentativo di spostare la guerra dal piano di un conflitto fra Atene e la Persia, al piano di una grande campagna achemenide contro tutta la Grecia in funzione addirittura della conquista dell’Europa.
L’insistenza sul tentativo di spostare l’ostilità persiana contro Atene sul piano di un ostilità generale contro tutta la Grecia, rivela, in fondo, la genesi della "vulgata".
È interessante seguire i mezzi con i quali la propaganda filoateniese cercò di spostare la lotta sul piano panellenico.
Il primo consistette nell’ignorare la provocazione ateniese ed eretriese alla Persia al tempo della rivolta ionica.
Quindi, o si tace la provocazione alla Persia, oppure, nell’impossibilità di addurre una provocazione persiana in Grecia, si afferma che quello persiano non fu che un pretesto, spostando il problema dalla realtà dei fatti alla valutazione dei pretesti da parte dei Persiani.
La lotta fu presentata perciò come espressione dell’aggressività persiana, che come tale non poteva limitarsi ad Atene, ma avere ben più ampio respiro.
La conseguenza di questo atteggiamento nel mondo greco dopo le guerre persine è duplice: per un verso tende a presentare la lotta del mondo greco come lotta per la santa causa della libertà combattuta dalla piccola Grecia contro il colosso persiano; dall’altra, tende a prospettare tutti gli avvenimenti anteriori alle guerre persiane sotto una luce più consona al nuovo clima.
L’aver considerato le guerre persiane come la difesa del mondo greco contro l’oppressore delle sue libertà, ha fatto sì che i Persiani siano stati come gli invasori ai cui sogni di conquista, giudicati senza limiti, la sola Grecia continentale aveva saputo porre un freno. L’Achemenide, dopo essere passato da trionfatore in Oriente, nell’Asia Minore e in Egitto, aveva conosciuto infatti per la prima volta la sconfitta in terra greca.
La considerazione poi della entità numerica delle genti che il Persiano aveva conquistato, confrontata con le esigue forze grazie alle quali la Grecia aveva saputo vincere, accentuò indubbiamente la convinzione che il miracolo fosse stato reso possibile dal culto della libertà che animava i Greci e non aveva invece sorretto gli Orientali. Il concepire quindi la lotta essenzialmente come il trionfo della causa della liberà, fece sì che quello che altro non era che uno scontro fra due potenze, destinato implicitamente a risolversi nel trionfo del vincitore e nella servitù del vinto, proprio perché, contrariamente alle previsioni, si era risolto nello smacco dell’aggressore e nella sopravvivenza della libertà greca, fu visto, con nazionalistico compiacimento, come l’ultimo atto della tracotante espansione achemenide.
La vittoria del mondo greco fu sentita vittoria stessa della libertà. In questo clima antipersiano anche un avvenimento come la rivolta ionica al quale la partecipazione della Grecia continentale era stata tutt’altro che massiccia, unanime e continuativa, fu talora sentita, più tardi, come il primo momento della lotta contro il barbaro e la causa degli Ioni insorti identificata con quella della grecità.
Le recentissime vicende della guerra fra Russia e Ucraina — che non sono ovviamente storia ma cronaca, cosa ben diversa — ci ricordano quanto sia arduo fidarsi della narrazione "ufficiale" di un fatto: quanto sia arduo capire chi è l’aggressore e chi l’aggredito, perché il potere nascosto è abilissimo nel far sembrare che le cose accadono per una loro intima necessità, mentre sono state preparate con diabolica pazienza, come dal ragno velenoso che tesse la tela aspettando la preda.
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