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San Dasio, re (controvoglia) dei Saturnali e martire

Oggi c’è un revival del paganesimo, sia di quello greco-romano in Italia, sia di quello celtico in Francia e Gran Bretagna, sia di quello nordico in Germania e nei Pesi scandinavi. E la ragione è abbastanza chiara: è la stessa per cui c’è una rapidissima espansione dei movimenti spirituali di tutti i generi, sia quelli d’importazione, ad esempio lo yoga, il vedanta, il tantrismo, lo zen, ma anche lo sciamanesimo precolombiano, sia quelli di matrice europea, come la teosofia, l’antroposofia e le varie "interpretazioni" evoliane e guénoniane dell’esoterismo "tradizionale", ad esempio nella versione relativamente sofisticata di un Alexander Dugin, che oggi va per la maggiore in certi ambienti nostrani, forse perché viene considerato (ma bisognerebbe vedere se effettivamente è così) il filosofo di riferimento di Putin, e tutti quelli che vedono in Putin l’ultimo baluardo contro la globalizzazione, si aggrappano alle sue teorie come il naufrago cerca d’aggrapparsi a una qualsiasi ancora di salvezza.

Sta di fatto che il neopaganesimo oggi è di gran moda, e già da alcuni decenni: ci sono anche dei filosofi che ne hanno sposato la causa, in tutta serietà, e che propongono di passare da una visione della vita cristiana, o post-cristiana, ad una francamente pagana, ad esempio Salvatore Natoli, del quale abbiamo già detto qualcosa a suo tempo (v. il nostro saggio L’etica del finito come neopaganesimo nella proposta di Salvatore Natoli, pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 13/06/08 e ripubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 19/08/17). Sia detto fra parentesi, Salvatore Natoli si è distinto nel dibattito socio-sanitario dei quest’ultimo periodo per aver dichiarato, nel dicembre 2021, che l’unico riscontro empirico per i no vax è stare in maggioranza tra i morti e che La parola della scienza è credibile perché corroborata dai risultati, per cui noi cittadini siamo chiamati alla virtù della perseveranza. E ci asteniamo dal fare qualsiasi commento, anche perché sarebbe veramente superfluo: è molto meglio che ciascuno tragga da sé le proprie conclusioni.

Nell’odierno revival del pensiero pagano e in questa ondata di manifestazioni di simpatia per il modo di vita pagano, che va dai raduni per il solstizio d’estate a Stonehenge all’usanza di porre i neonati sotto la protezione di fate, elfi e spiriti della natura, vi è un solo, ma potente comune denominatore: l’avversione e il ripudio di tutto ciò che rammenta la tradizione cattolica, percepita (ormai anche da certi "credenti" e da certi preti) come una sgradevole eredità dalla quale bisogna infine emanciparsi, poiché ha gravato fin troppo a lungo sulle nostre menti e sulle nostre vite, riempiendoci di complessi e di nevrosi e inibendoci un approccio libero e gioioso con le forze della natura, nel quale soltanto si trovano la serenità, l’equilibrio e la pace interiore. In tale prospettiva, pagano è un valore in se stesso, a prescindere dai contenuti del "paganesimo" (e stiamo parlando di una religione e di una cultura che sono morte e sepolte da almeno duemila anni), mentre cristiano, e specialmente cattolico, è un disvalore.

Citiamo all’opera famosissima dell’antropologo scozzese (Glasgow, 1854-Cambridge, 1941) sir James Frazer Il ramo d’oro. Studio sulla magia e la religione (titolo originale: The Golden Bough, 1922; traduzione dall’inglese [editio minor; l’originale dell’editio maior è in 12 volumi e fu pubblicato nel 1911-1915)di Nicoletta Rosati Bizzotto, Roma, Newton & Compton Editori, 1992, pp. 648-650):

Se teniamo presente che la libertà concessa agli schiavi in quei giorni di festa doveva imitare quella che era la società ai tempi di Saturno, e che, in gene, i "Saturnalia" si ritenevano né più né meno che una restaurazione del regno di quel felice monarca, saremmo tentati di supporre che il finto re, il quale presiedeva ai divertimenti, rappresentasse originariamente Saturno stesso. L’ipotesi trova conferma, se non certezza, in uno strano e interessante resoconto sul come festeggiassero i saturnali le legioni romane accampata sul Danubio, sotto il regno di Massimiano e Diocleziano.

Il resoconto è contenuto nella narrazione del martirio di S. Dasio, scoperta in un manoscritto greco nella Biblioteca di Parigi, e pubblicato dal professor Franz Cumont, di Ghent. Due descrizioni, più succinte, della cerimonia ci vengono anche da due manoscritti, a Milano e a Berlino; uno di essi è già apparso in un volume poco conosciuto, stampato a Urbino nel 1727, e di cui non si apprezzò l’importanza per la storia antica e moderna della religione romana, fino a quando il prof. Cumont richiamò l’attenzione degli studiosi sui tre manoscritti, pubblicandoli in un volume unico, qualche anno fa. Secondo quelle cronache, che hanno tutta l’aria di essere autentiche, e di cui la più estesa si basa, probabilmente, su documenti ufficiali, i soldati romani di stanza a Durostorum, nella Bassa Mesia, così celebravamo ogni anno i saturnali. Un mese prima della festa sceglievamo, tirnando a sorte, uno di loro, giovane e bello, che poi rivestivano con panni regali, a somiglianza di Saturno, Così paludato, e seguito da una moltitudine di soldati, il giovane si aggirava per le strade, dando sfogo alle sue passioni e alle sue voglie, anche le più basse e vergognose. Ma se il suo regno era gioioso, era anche breve, e finiva tragicamente allo scadere dei trenta giorni, quando avevano inizio i saturnali, e il giovane si tagliava la gola sull’altare di quel dio che egli impersonava. Nell’anno 303 d.C., la sorte cadde su un soldato cristiano, Dasio, il quale però rifiutò di prestarsi ad incarnare una divinità pagana e di contaminare i suoi ultimi giorni con azioni vergognose. A nulla valsero le preghiere e le minacce del suo comandante Basso, per convincerlo; Dasio, come registra fedelmente il martirologio cristiano, fu quindi decapitato a Durostorum. da un soldato di nome Giovanni, il ventiquattresimo giorno della luna, all’ora quarta.

Da quando il professor Cumont pubblicò quel manoscritto, la sua autenticità storica, prima messa in dubbio o negata, trovò conferma in un’interessante scoperta. Nella cripta della cattedrale che si erge sul promontorio di Ancona, fra le altre pregevoli opere antiche, è conservato un sarcofago di marmo bianco con un’iscrizione in greco, nei caratteri usati al tempo di Giustiniano, che dice così: «Qui giace il santo martire Dasio, portato da Durostorum». Il sarcofago venne trasferito nella cripta della cattedrale nel 1848, dalla chiesa di S. Pellegrino, sotto il cui altar maggiore, come indica un’iscrizione latina inserita nel muro, riposano ancora le ossa del martire con quelle di altri due santi.. Non sappiamo per quanto tempo il sarcofago rimase nella chiesa di S. Pellegrino; dai documenti, risulta che ancora vi si trovasse nel 1650. È probabile che le reliquie del santo siano state traslate ad Ancona per sicurezza, durante uno dei tanti periodi tumultuosi che caratterizzarono i secoli successivi al suo martirio, quando la Mesia fu ripetutamente invasa e saccheggiata dalle orde dei barbari. Comunque, grazie alla testimonianza, indipendente e reciprocamente probante, del martirologio e dei monumenti, è sicuramente accertato che Dasio non fu un personaggio mitico ma un uomo in carne e ossa che, per la sua fede, diede la vita a Durostorum, in uno dei primi secoli dell’era cristiana. Confermato così il racconto dell’ignoto autore del martirologio, e cioè che il martirio di S. Dasio avvenne veramente, possiamo anche accettarne la testimonianza circa i modi e le cause di i quel martirio, tanto più che il suo racconto è preciso e circostanziato, assolutamente scevro da spunti miracolistici. Di conseguenza, ritengo che la descrizione della festa dei saturnali fra le legioni romane sia senza dubbio degna di fede.

Ed è un resoconto che getta una luce nuova, e molto più sinistra, sulla funzione del re dei saturnali, l’antico signore della trasgressione, che presiedeva ai bagordi invernali nella Roma di Orazio e di Tacito. A quatto sembra, il suo compito non era sempre stato quello del buffone, del buontempone incaricato di far divertire e scatenare il popolo, fra il crepitare della legna accesa nei focolari, la folla e la confusione per le strade, mentre lontano, a nord dell’Urbe, il monte Soratte sfavillava candido di neve nell’aria gelida e cristallina.

Abbiamo scelto apposta di raccontare la storia di san Dasio attraverso la ricostruzione di un autore ultra-positivista e ultra-evoluzionista, che si considerava un continuatore di Darwin e che pertanto è quanto di più lontano si possa immaginare da uno spirito devoto. Perfino lui è "costretto" a riconoscere che il personaggio san Dasio è storico; che il suo martirio è reale; e che si svolse esattamente come racconta la passio a lui dedicata e chissà come dimenticata (guarda caso, la prima pubblicazione di essa, quella di Urbino, è del XVIII secolo, un periodo non troppo favorevole al punto di vista cattolico). E sentire un antropologo darwinista affermare che la storia di san Dasio è assolutamente vera e che nel racconto del suo martirio non c’è alcun elemento favolistico, né alcuna esagerazione apologetica, è in un certo qual senso una soddisfazione: diciamo che non capita tutti i giorni.

Eravamo partiti osservando che è in atto una rinascita del paganesimo, o di qualcosa che vorrebbe assomigliare al paganesimo (il che non è la stessa cosa); dobbiamo ora notare che paganesimo vuol dire anche Saturnali, vuol dire anche re dei Saturnali, vuol dire assoluta licenza morale e sacrifici umani, nonché soppressione fisica di quanti, come i cristiani, non approvavano i valori pagani e non si piegavano ad adorare gli dèi sfrenati, lussuriosi e sanguinari. Abbiano la netta sensazione che il paganesimo del quale oggi sembra si abbia nostalgia, è un paganesimo rivisto e corretto in una versione politicamente accettabile: un paganesimo mite e benevolo, e soprattutto gioioso, come gioiose erano le feste dei Saturnali; un paganesimo nel quale, chi sa come, non vi è traccia delle crudeltà tipiche di quella religione, né dei sacrifici umani, né di qualunque altra cosa possa ferire la sensibilità degli uomini moderni. I quali sono, appunto, molto sensibili allorché si toccano certi argomenti: infatti chi considera il battesimo come un’orribile prevaricazione compiuta su un ignaro bambinetto, come potrebbe accettare l’idea di un modo di festeggiare il solstizio d’inverno che si accompagna alle cieche dissolutezze ed alle efferate crudeltà dei saturnali? Insomma il paganesimo che oggi si vorrebbe far rivivere, e che filosofi come Salvatore Natoli portano ad esempio di sana ed equilibrata visione della vita, è un paganesimo mondato di tutte le macchie, purificato di ogni bruttura, di ogni grossolanità, di ogni ferocia: tutto il contrario di ciò che storicamente è stato. E non parliamo solamente della religione, o piuttosto delle religioni, praticate nell’Impero Romano, ma del modo di vedere la vita, di porsi di fronte al mondo, proprio di quella civiltà; un modo nel quale l’assistere ai crudeli spettacoli del circo era un divertimento graditissimo per ogni cittadino, indipendentemente dal ceto, dall’età e dal sesso. E come ricordare a questi ferventi neopagani che fu proprio un imperatore cristiano, Onorio, a porre fine per sempre, con una legge del 404 d.C., ai combattimento dei gladiatori nel circo, lasciando solo le evoluzioni militari e altre forme di spettacolo incruente? Parlare di ciò, vorrebbe dire ricordare che l’uomo pagano era un uomo che non riconosceva una dignità a ogni essere umano per il fatto di esistere: perché tale dignità è scaturita dal concetto di persona, che i pagani non avevano e che fu elaborato e fatto penetrare nelle coscienze dalla cultura cristiana.

Tuttavia è chiaro che esiste il problema d’indirizzare il bisogno di spiritualità della gente, specialmente oggi, nella società materialista e nella cultura relativista nelle quali siamo immersi e abbiamo la sensazione di soffocare. Perché il bisogno di spiritualità, il bisogno di trascendenza, il bisogno di Dio, sono cose autentiche, profondamente radicate nella natura umana: e se non trovano la maniera giusta di manifestarsi e l’oggetto vero al quale rivolgesi, prenderanno le vie traverse e si indirizzeranno verso oggetti deformi. Una delle cose più tristi che abbiamo osservato in questi due anni di totalitarismo sanitario e di follia pandemica è che molte persone, le quali hanno avuto la lucidità di comprendere l’inganno ordito dai governi e dai mezzi d’informazione e il coraggio civile di opporsi alle loro inaudite pretese, bugiardamente presentate come necessarie per fronteggiare l’emergenza sanitaria (che non c’è mai stata), nel loro bisogno di certezze e punti fermi ai quali aggrapparsi hanno adottato le credenze più strane e le forme di spiritualità più discutibili. Per fare un esempio, oggi è molto diffusa una sorta di spiritualità ispirata alla controversa figura del mistico e guaritore tedesco Bruno Gröning (Danzica, 1906-Parigi, 1959), il quale si crede che abbia guarito suo figlio dalla distrofia muscolare. Ebbene, una quantità di persone in apparenza ragionevoli ed equilibrate lo ha elevato al rango di nume protettore e lo prega, lo invoca per ottenere da lui i benefici della "guarigione spirituale". Vi chiederete cosa c’entri tutto ciò col paganesimo. Il nesso è questo: sia i neopagani, sia i seguaci delle spiritualità "alternative" cercano un cibo interiore più nobile di quello che viene fornito dalla cultura ufficiale (e dalla chiesa ufficiale), e non trovandolo cadono in ogni sorta di fascinazione. Perché se si caccia Dio, qualcun altro verrà a prenderne il posto.

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Jorgen Hendriksen su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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