L’assoluzione “politica” secondo don Milani
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12 Gennaio 2019Della chiesa di San Quirino, in borgo Gemona, abbiamo già palato a suo tempo; tuttavia abbiamo soffermato la nostra attenzione su una delle due chiese che portano questa intitolazione, quella moderna dedicata, in effetti, a Maria Regina Madre di Misericordia e a San Luigi Gonzaga, in calcestruzzo e mattone cotto a vista, iniziata nel 1967, in piena euforia postconciliare, su progetto dell’ingegnere Antonio De Cilia, che si è ispirato nella forma a un teatro greco. Invece all’altra, quella antica – che ha subito l’oltraggio di essere affiancata da uno dei più brutti edifici religiosi della città, reso ancor più sgradevole dalle vetrate del servita Fiorenzo Gobbo – abbiamo riservato solo poche parole. Ed è su questa che ora vogliamo tornare, per renderle il dovuto omaggio e far conoscere una delle chiese più suggestive di Udine, ora frequentata dalla cittadinanza soprattutto in occasione dei concerti d’organo che vi si tengono regolarmente, mentre le funzioni sacre sono state dirottate sull’altra, quella moderna, o meglio modernista, sin dalla fine degli anni ’60 del secolo scorso. Rimandiamo perciò il lettore al precedente articolo per quanto riguarda le notizie storiche essenziali riguardo alla chiesa seicentesca di San Quirino e sui suoi antecedenti, fino alla chiesa extraurbana che esisteva nel XV secolo, e che era stata danneggiata piuttosto seriamente da un’incursione ottomana nel 1472, per essere infine demolita circa un secolo dopo. Adesso vogliamo aggiungere qualche più precisa informazione di tipo storico-artistico, per completare il quadro di quella che è stata la parrocchiale di via Gemona dal 1701, anno della consacrazione (ma era stata ultimata fin dal 1686, pur se ancor priva del campanile, terminato nel 1725), fino al 1969, con la breve parentesi della soppressione napoleonica, dal 1808 al 1815, quando era stata accorpata alla parrocchiale del Redentore, in borgo Santa Lucia, l’odierna Via Mantica, al tempo dell’arcivescovo Baldassarre Francesco Rasponi (mentre la chiesa di Santa Chiara in borgo d’Isola, ora via Giovanni da Udine, era stata assegnata alla parrocchia delle Grazie, in Giardino Grande).
Abbiamo accennato alle serate d’organo e clavicembalo, sia primaverili che autunnali, promosse dalla parrocchia di San Quirino, che hanno già toccato la trentina di edizioni e che si svolgono tanto nella chiesa antica che nella nuova. Entrambi gli edifici sacri, infatti, sono dotati di un organo di buonissima qualità, regolari rispettivamente, da Francesco Zanin nel 1994 e da Gustavo Zanin nel 1989, quest’ultimo con 24 registri e 1396 canne. Va detto che la chiesa antica di San Quirino non è particolarmente significativa dal punto di vista artistico, e infatti le guide di Udine, come quella del Cremonesi e quella del Buora, spendono per essa poche parole; altre, come quella della Commessatti, la ignorano del tutto, come se neppure esistesse. Senza dubbio a ciò hanno contribuito la scarsa memoria dei cittadini e la costruzione, in aderenza, della chiesa moderna, per la quale si sono sprecate le parole di elogio, anche se a quanti la lodano così appassionatamente non è forse venuto in mente che una chiesa non deve piacere agli amanti dell’architettura moderna, ma ai fedeli cattolici, i quali devono trovare in essa un ambiente religioso confacente alla loro fede; Questo, però, in tempi come i nostri, tempi di demagogia sfrenata e di apostasia strisciante, incoraggiata dal signore argentino che risiede alla Casa Santa Marta, è un discorso che non piace, che suscita immediate reazioni di sdegno e di totale chiusura, perché non si vuol ricordare cosa è sempre stata e cosa effettivamente è la vera religione cattolica: non un culto antropocentrico e modernista, e tanto meno una idolatrica papolatria, un tifo da stadio per questo o quel papa, bensì un riconoscimento della piccolezza dell’uomo e del suo assoluto bisogno di redenzione da parte del solo Redentore, Gesù Cristo, Figlio di Dio e Dio Lui medesimo. Per la stessa ragione, preferiamo stendere un velo pietoso su quel locale orrendo, inqualificabile, che è stato battezzato Sala Madrassi, un auditorium da 268 posti, inaugurato nel 1999 e donato da un industriale che ha voluto autocelebrarsi nel nome della sala: una via di mezzo fra una discoteca e una astronave di Star Trek, che sarà anche utile per organizzare certi eventi a livello parrocchiale, ma che non solo non ha nulla di religioso, ma sembra, semmai, la realizzazione di una vera distopia: l’avvento di una architettura esoterica, post-cristiana se non anticristiana, dalla quale è stata bandita qualsiasi dimensione spirituale,e che, col suo soffitto nero come la notte e con le scalinate sghembe, che ricordano le scenografie allucinate del Gabinetto del Dottor Caligari, capolavoro e antesignano del cinema horror, ha veramente qualcosa d’inquietante.
E ora torniamo alla chiesa antica. Abbiamo detto che non è particolarmente significativa sul piano artistico; dobbiamo però aggiungere che è bella, di una bellezza modesta e non appariscente, ma aggraziata, sia all’esterno che all’interno; e, soprattutto, che vi si respira un’atmosfera raccolta, suggestiva, pienamente idonea a favorire il sentimento religioso. La facciata, semplice, domestica, sormontata da un timpano, e l’interno a navata unica, con poche decorazioni, ma un bell’organo sulla cantoria della controfacciata, un pulpito in legno intagliato sul lato sinistro, un bel crocefisso, sempre in legno, sul lato destro, e due altari laterali che incorniciano l’arco del presbiterio e fanno risaltare il bell’altare maggiore, in marmo bianco, affiancato dalle statue di San Quirino e San Pietro; il pavimento a lastre alternate, bianche e nere, il bel soffitto affrescato e stuccato sopra l’altar maggiore, unica nota sfarzosa dell’intero edificio: tutto ciò crea un’armonia dell’insieme che fa scordare l’assenza di opere veramente significative, ma, nello stesso tempo, fa sì che l’attenzione del visitatore, anziché sulla maestria di un singolo scultore o pittore, sia interamente assorbita dall’effetto complessivo dell’ambiente, che appare sereno e spirituale, quanto mai favorevole alla contemplazione e all’adorazione di Colui per incontrare il quale si entra in una chiesa. Se lo scopo principale dell’andare in chiesa fosse ammirare le opere, il visitatore di San Quirino resterebbe probabilmente deluso, visto che nessuna delle opere in essa presenti si segnala in modo particolare: né le sculture di San Quirino e San Pietro, né la pala dell’altar maggiore, di Antonio Carneo, che raffigura Storie della vita del re Davide; né le Scene bibliche di Lucio Candido, o Ester e Assuero di Secante Secanti, o le altre tele di Gaspare Diziani e Andrea Celesti; tutte opere più che dignitose, ma nessuna delle quali reca l’impronta del genio o spicca, per una qualche ragione, al di sopra di un’aurea mediocritas. Neppure l’abside, con il Padre Eterno in gloria, gli Evangelisti, gli Apostoli e le Virtù teologali, dipinto da Antonio Micesio nel 1682, o l’ampia scena dei Santi Rocco, Apollonia, Agata e Luigi, sul soffitto della navata, di Rocco Pitacco, si segnalano per un maggior pregio sul piano strettamente artistico. Tuttavia, lo ripetiamo, è dalla semplicità e dalla naturalezza dell’insieme che scaturisce il fascino di questa chiesa; e se chi vu entra, lo fa per pregare e adorare il Signore, questo è il luogo adatto. O meglio sarebbe, perché la chiesa nuova ha sostituito l’antica nelle funzioni liturgiche, declassandola allo status di chiesa sussidiaria; e in essa, con i suoi piloni di cemento s’innervano sul soffitto facendo pensare alle mostruose escrescenze di un pauroso film di fantascienza come Alien e le sue vetrate fiammeggianti, ma iconograficamente dubbie e quasi incomprensibili, non si respira affatto un’atmosfera propriamente religiosa, meno che meno un’atmosfera mistica.
Per la descrizione della chiesa antica sotto l’aspetto tecnico, ci affidiamo, come già altre volte, al sito http://www.chieseitaliane.chiesacattolica.it/, cghe ringraziamo sentitamente:
Edificio ad aula rettangolare, orientato est-ovest, con sedime rialzato rispetto al piano stradale; presbiterio a pianta rettangolare di volumetria ridotta rispetto all’aula. Corpo di sacrestia ad un piano, con una falda di copertura, annesso al presbiterio a ponente. Torre campanaria inglobata nell’innesto fra aula e presbiterio. L’edificio è, a meridione, addossato a costruzioni civili mentre a settentrione tange l’ampio atrio coperto della nuova costruzione parrocchiale in stile contemporaneo. Il semplice prospetto principale è inquadrato alle estremità da lesene doriche lapidee; portale lapideo dall’architrave a timpano con estremità arcuate e ricciolo centrale, affiancato dai due ingressi minori (oppilati all’interno), dalla cornice e architrave lapidei; nel loro asse superiore una finestra rettangolare; architrave dalla cornice modanata con timpano e oculo di areazione. L’interno, dal soffitto piano con dipinto centrale in cornice polilobata, dalle superfici parietali chiare, è suddiviso dalla cornice marcapiano a correre di cromia grigia ripetuta all’attacco del soffitto e in tre partiture da lesene doriche di cromia grigia nella parte inferiore e in quella superiore. In ciascuna delle due partizioni laterali una finestra termale oppilata; aperta a finestra quella a settentrione in prossimità del presbiterio. Riquadri in cromia grigia decorano le partizioni superiori. Nel primo registro inferiore presso l’ingresso due riquadri arcuati, quello di sinistra contiene il fonte battesimale entro cancellata, quello di destra un Crocifisso; nella partizione centrale i due confessionali lignei contrapposti e al di sopra di quello a sinistra il pulpito a baldacchino; nel terzo registro di destra l’ingresso alla sacrestia della nuova chiesa. Nella parete di fondo prospetta la nicchia del presbiterio a pianta rettangolare rialzato di due gradini, con arcosanto dalla cornice a tutto sesto su pilastrini angolari, ai cui lati i due altari secondari; le pareti sono suddivise dalla cornice marcapiano a correre sulla quale si impostano le due finestre termali contrapposte, quella a settentrione oppilata e nella parete di fondo il trittico di dipinti intervallati da stucchi; soffitto barocco a decorazioni fitoforme, suddiviso in cinque cornici a stucco circolari e quattro polilobate laterali, con tele dipinte. In controfacciata la cantoria lignea e l’organo a cui si accede tramite la scala a chiocciola posta a settentrione. La pavimentazione è in lastre quadrate di marmo bianco e nero disposte a losanga.
Un dettaglio storico: qui, nella chiesa di San Quirino – in quella nuova, neanche a dirlo — si è tenuta, il 29 dicembre 2009, alla presenza delle autorità e con una vasta partecipazione di popolo, la Messa per celebrare le esequie funebri dello scrittore Carlo Sgorlon, trapassato il giorno di Natale, che ha ben meritato nel far conoscere il mondo rurale, nascosto e raccolto, del suo Friuli, nonostante la sua lontananza dai modi del realismo e l’ostracismo che ha subito dalla critica "ufficiale", praticamente monopolizzata dalla sinistra; la stessa critica che ha sempre magnificato fino alle stelle ogni singolo scritto e ogni singolo verso di Pier Paolo Pasolini o di David Maria Turoldo, ma che ha fatto finta che Sgorlon, nonostante la sua vasta popolarità nazionale, non esistesse neppure. D’altra parte, Sgorlon ha sempre parlato, nei suoi libri, della dimensione interiore, spirituale, magica e incantata della vita; ha sempre descritto storie sospese fra la "realtà", intesa in senso materiale, e la fiaba, o meglio il mito, che per lui era la vera espressione di ogni vero discorso sull’uomo. Non crediamo gli sarebbe piaciuta questa chiesa, che non sembra una chiesa, e infatti non si ispira, volutamente, al modello delle chiese cristiane, ma ad un modello laico e pagano, quello dei teatri greci: che c’entra il teatro greco con la spiritualità cattolica? Al contrario, crediamo che, potendo scegliere, lui persona semplice e schiva; lui, scrittore così legato alla tradizione e alla memoria del passato, avrebbe preferito, e di gran lunga, ricevere l’ultimo saluto della sua gente nella chiesa antica, una chiesa che sa di paese, perché borgo Gemona un tempo era quasi un minuscolo paese posto al margine della città, popolato da gene comune, da onesti lavoratori; un paese che forse poteva ricordargli la sua Cassacco. Ma, naturalmente, c’era la scusa della maggior capienza della chiesa nuova rispetto all’antica; e così, ancora una volta, il nuovo, il moderno, è stato imposto a tutti quanti, anche alla memoria di uno scrittore che, la modernità, non l’amava davvero.
Queste due chiese affiancate e giustapposte, questa volontà di far prevalere il moderno a scapito della tradizione, questa incapacità di costruire senza offendere e deturpare l’opera dei padri, in senso sia materiale che intellettuale e spirituale: tutto questo sembra uno "spaccato", un caso esemplare di una situazione generale, e non consente di essere ottimisti circa il futuro cui stiamo andando incontro. Che cos’è questo fastidio, questa antipatia nei confronti delle nostre radici, di quello che siamo stati; questa volontà di rompere i legami con la tradizione, questa smania di idolatrare tutto ciò che è nuovo, sia nella società laica, sia nell’ambito religioso? Come si può dare l’ultimo saluto a uno scrittore come Sgorlon, in una chiesa che è il concentrato di tutto ciò contro cui egli ha lottato e protestato? Non è forse uno sfregio alla sua memoria? E come si può incontrare Dio, il Dio cristiano, il Dio che si è fatto Uomo ed è morto per noi sulla Croce, in un edificio che deliberatamente si riallaccia a una tradizione non cristiana? E perché si fanno progettare le chiese a degli architetti che non sono cristiani, o non si curano della Tradizione cattolica, o non pensano a ciò che un credente si aspetta di trovare, quando entra in un luogo sacro, ma vogliono far sfoggio di bravura, originalità e soprattutto modernità? Tutto ciò non è solo contraddittorio e poco intelligente: è autolesionistico. Disprezzando la Tradizione, disprezziamo e rimpiccioliamo anche noi stessi…