
Salvare il mondo, ma come?
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23 Agosto 2018Dobbiamo confessarlo: le vignette satiriche di Francesco Tullio Altan non ci sono mai piaciute; le abbiamo sempre trovate insopportabilmente grevi, di un cinismo pesantissimo, quasi rivoltante, anche se, sul piano dei fatti, e specialmente quando descrivono il mondo della politica e del malcostume italiano, centrano il bersaglio con acuminata, disperante precisione. Quei personaggi brutti, fisicamente e moralmente, con l’occhio pesante, l’espressione ottusa ma perfida, il profilo da uccelli rapaci, hanno sempre offeso il nostro senso estetico. E di poco più simpatico è il personaggio del metalmeccanico Cipputi, scanzonato operaio in tempi di post-industrializzazione, con la tuta blu e la bandana in testa, un Mauro Corona ante litteram, oppure chissà che Mauro Corona si sia ispirato proprio a lui, qualche anno dopo; a parte gli occhiali, potrebbe pure essere suo figlio, almeno in senso sociologico. Eppure, proprio dalla penna di questo vignettista antipatico è scaturita, un giorno, un’idea estremamente poetica: miracoli dell’amore paterno. Per soddisfare una richiesta della sua figlioletta, ha disegnato una cagnolina, tutta bianca e a pallini rossi, con le lunghissime orecchie che svolazzano ai lati del muso simpatico e intelligente, la lingua molto spesso a penzoloni: ed è nato un personaggio dolcissimo, indimenticabile, che ha riempito la fantasia e scaldato il cuore di una generazione di piccoli lettori. Migliaia di bambini hanno sognato i sogni d’oro, addormentandosi dopo aver letto i fumetti della Pimpa, o dopo aver seguito i cartoni animati che l’hanno per protagonista. E che dire dell’Armando, il suo padrone ed amico, poco padrone molto amico, con quel buffo naso lungo, i suoi strani baffetti e il suo inseparabile cappello verde? E di tutti gli altri animali che sono amici della Pimpa o che lei incontra nel corso delle sue storie, alcune perfino spostandosi in aereo, che pilota con perfetta naturalezza? Sono tutti carini, sena essere affettati; sono tutti simpatici, senza esser zuccherosi: sanno di pulito, di buono, di ordinato; fanno venire in mente come dovrebbe essere il mondo, se soltanto ci fossero un po’ meno egoismo, superbia, avarizia e lussuria. Fanno venire in mente, agli adulti, si capisce, che potrebbe essere un posto tanto, tanto più bello e più vivibile. Ai bambini, consentono di crederlo, almeno fino quando lo potranno, fin quando non dovranno ricredersi; perché dalle storie della Pimpa sono rigorosamente bandite le brutture del mondo degli adulti.
Come personaggio dei fumetti la Pimpa nasce nel 1975 sul Corriere dei Piccoli, la storica e gloriosa rivista settimanale per i bambini che avrebbe resistito fino al 1994, per poi passare di mano dalla Rizzoli e dalla Panini ad una multinazionale scandinava, la Egmont, che l’avrebbe liquidata l’anno seguente, dopo quasi un secolo di storia (era nata nel 1908); ed era stata protagonista di una serie di albi singoli, editi prima dalla Rizzoli, poi dalla Panini. Come personaggio della televisione, ella fa il suo esordio nel 1980 e ha deliziato schiere di bambini italiani, trasportandoli in un magico mondo che, pur essendo appartenente vicinissimo, perché fatto di cose e situazioni quotidiane e normali, confinava misteriosamente con un altrove smisurato, imprevedibile, nel quale tutto era possibile e si svolgeva con la massima naturalezza, come appunto il fatto che una tenera cagnetta sappia salire su di un minuscolo aereo da turismo, di quelli che paiono giocattoli, si metta gli occhialoni e si diriga in volo dall’altra parte dell’Atlantico, per andare in America; oppure che salga in barca e raggiunga l’Australia, così come, nella vita reale, si sale in barca per attraversare un canale o per recarsi sull’isoletta che si scorge dalle finestre di casa (come dalla finestra di casa Altan, nella verde campagna friulana, fra Aquileia e Grado, si possono intravedere, o immaginare, le isole della laguna che si alzano all’orizzonte come le quinte fastose di un teatro all’aperto). Tutto è possibile e tutto è fantastico, nel mondo della Pimpa: ma sempre in tono sommesso, senza mai strafare, senza mai alzare la voce; sia lei che gli altri personaggi sono sempre garbati, parlano in maniera semplice a calma, senza arrabbiarsi, senza mai trascendere; non ci sono orari, non c’è fretta, non c’è la fatica del lavoro, ogni cosa vive in una pace antica, una quiete senza tempo. E alla fine di ogni avventura, la sera, la Pimpa chiede e ottiene dall’Armando il suo bel bicchierone di latte, lo tracanna scodinzolando di piacere, poi s’infila nelle lenzuola fresche di bucato, sotto una coperta a quadrettoni coloratissimi, in stile con i pallini rossi del suo mantello, spegne la luce e s’addormenta, serena e felice, col cielo stellato fuori dalla finestra, stanca dopo tanto correre ma già pronta a vivere, nel sogno, altre avventure, altri viaggi e altre amicizie, forse perfino più belli. La Pimpa, oltre a essere piena di entusiasmo in qualsiasi cosa faccia o dica, è curiosa, sanamente curiosa del mondo, come può esserlo un bambino di cinque o sei anni: chiede sempre perché, non ha le fette di salame sugli occhi, è sveglia e con gli occhi bene aperti. E l’Armando è sempre calmo e disponibile, le risponde con gentilezza, le dà una spiegazione per ogni cosa, sicuro, tranquillo, senza assumere toni cattedratici, ma con la dolcezza e la simpatia di un padre. Insieme, formano una coppia molto bene assortita: lei è vispa, piena di freschezza, salta e scodinzola, butta ogni cosa all’aria, ma con tale innocenza che nessuno avrebbe voglia di sgridarla; lui è posato, di poche parole ma sorridente, un po’ taciturno ma di buon cuore, silenzioso ma non musone. Sembrano fatti apposta per stare insieme e per capirsi al volo; dai loro colloqui scaturisce una corrente di simpatia, di comprensione come quella che può esistere fra un papà e la sua bambina; e tutti i bambini possono riconoscersi nella Pimpa, e possono riconoscere nell’Armando il loro papà, oppure il papà che vorrebbero avere: comprensivo senza essere troppo accomodante, indulgente senza essere permissivo, affettuoso senza essere appiccicoso.
Un fumetto come quello della Pimpa è un vero toccasana nel mondo dell’immaginario infantile, oggi così sovraffollato di mostri spaziali, di supereroi dai poteri sconcertanti, che si muovono in un mondo spietato, ostile, popolato di grattacieli e di città tentacolari, dove non esistono lo stupore, la tenerezza, la semplicità; per non parlare dei giochi elettronici impregnati di violenza, concitati, aggressivi. Il mondo della Pimpa è un mondo appartato, riposante, come un giardino, pieno solo di cose belle, gatti, uccellini, perfino pinguini, perché nessuno ha detto loro che qui non possono esserci, che devono starsene al Polo Sud; e siccome non lo sanno, essi vengono, così come nessuno ha detto alla Pimpa che lei non può guidare una braca, e allora lei sale a bordo e prende il timone come un esperto marinaio. Non c’è quasi tecnologia, nel mondo della Pimpa, o, quando c’è, è una tecnologia soft, silenziosa, non invadente: i suoi oggetti si lasciano usare e poi vengono messi da parte, svolgono una funzione puramente strumentale, non generano alcun senso di dipendenza, non attirano l’attenzione e, se è possibile sostituirli da strumenti naturali, tanto meglio. Un mondo bucolico, una fuga dalla realtà, una forma di alienazione? Lasciamo che a pensarlo siano i soliti rabbiosi, infelici, frustrati adulti che vorrebbero rubare l’infanzia ai bambini; quelli che non vedono l’ora di dir loro che Babbo Natale non esiste, che la Befana non scende dalla cappa del cammino, e che è ridicolo riempire d’acqua una scodella per l’asinello di Gesù Bambino, tanto si tratta solo di leggende, di storie raccontate dai genitori. Lasciamo che gli adulti cresciuti con tristezza, con rancore, senza alcun rispetto per l’infanzia altrui, facciano del loro meglio, o del loro peggio, per sporcare, per insozzare l’età più bella, quella dei sogni, con il loro sordido materialismo, che è solo il paravento per sfogare la loro rabbia, la loro ira repressa, per prendersi la loro misera rivincita sulla vita che li ha sconfitti. Non se ne andranno senza aver prima avvelenato i pozzi, si potrebbe dire di loro: ebbene, non ci riusciranno ad avvelenarli tutti, perché una Pimpa farà sempre capolino anche dal fango, coi suoi occhioni pieni di stupore spalancati sul mondo, con le sue orecchie svolazzanti qua e là, con la sua lingua perennemente fuori, più per fare festa al mondo che per espellere il sudore. La Pimpa è indistruttibile, perché nasce dal bisogno di bellezza, di armonia e di significato che albergano nel cuore umano, e tutti i bambini sani, cioè non ancora guastati dal diabolico consumismo, possono riconoscersi in lei, nella sua meraviglia, nel suo entusiasmo, nel suo amore per la vita. Perché il segreto della Pimpa è questo: lei è innamorata della vita, non la cambierebbe, né la vorrebbe diversa da come è. Sa vedere il suo lato bello in ogni cosa, non perché sia una ingenua sempliciotta, ma perché possiede un cuore puro, e a chi ha il cuore puro il mondo si offre con i suoi colori più belli, con i suoi profumi più intensi, con le sue musiche più affascinanti. E questo, per i piccoli lettori o spettatori del cartone animato, è il messaggio più importante: il mondo è un luogo bello, pieno di poesia, se si possiede un cuore puro per vedere, e se ci si sa accostare alle cose con bonarietà e indulgenza, ma soprattutto con spontaneità ed entusiasmo.
Ma c’è un’altra lezione importante che viene ai bambini dal mondo della Pimpa, oltre alla capacità di stupirsi e oltre al senso di pace, di calore, di amicizia che emana da lei e dai suoi amici, come la gatta azzurra Rosita: ed è il clima generale in cui si svolgono le sue piccole avventure, o meglio, ciò che si intuisce al di là di quel clima: che il mondo è dotato di senso. Che il mondo è bello e che vale la pena viverci, perché le cose sono come devono essere; e se anche la realtà non conferma questa idea, resta pur sempre il fatto che il bambino non deve essere messo troppo precocemente davanti alle cose brutte, ma deve coltivare in sé e negli altri un senso di fiducia, deve sapere che dietro il disordine c’è l’ordine, o almeno l’aspirazione all’ordine. Crescendo, avrà tempo di restare deluso, di restare disincantato; o forse no. L’importante è che, da piccolo, gli siano forniti gli strumento per rafforzare il senso positivo della vita, la percezione ottimistica di essa. Non è vero che ciò equivale a tenerlo in una prolungata minorità; il bambino sano, crescendo, farà comunque le sue esperienze, e, da ragazzo, si formerà una propria opinione sul mondo, mentre prima viveva in modo istintivo, senza farsi domande di tipo esistenziale. Però, se il bambino è cresciuto conservando il senso del bello, del sano, del pulito, avrà maggiori probabilità di elaborare in maniera costruttiva le inevitabili delusioni cui andrà incontro, e potrà conservare anche dopo le esperienze negative che tutti, prima o dopo, finiscono per fare, un sano amore per la vita, ricavato dalla percezione che la vita è un bene, e che esistere è meglio che non esistere. Insomma, il contrario del nichilismo e di tutto ciò che dice la cultura moderna, cinica e disillusa, amara e distruttiva, o il suo filone principale, da Leopardi a Schopenhauer, da Svevo a Pirandello, da Montale a Sartre, da Moravia a Eco. Tutti costoro, e molti altri della medesima tendenza, hanno fatto tutto quanto stava in loro per avvelenare i pozzi e per trasformare, come direbbe il filosofo Costanzo Preve, la loro personale delusione in un nichilismo generalizzato, da lasciare alle nuove generazioni come il testamento avvelenato di una generazione cinica ed egoista, che non ha creduto in niente e che è gelosa all’idea che i giovani possano ancora credere in qualcosa, perché ciò la farebbe sentire ancora più fallita e ancora più frustrata. Per il bambino, invece, è di fondamentale importanza preservare l’immagine di un mondo sensato e armonioso il più a lungo possibile, perché solo così potrà resistere, da adulto, alla tentazione del nichilismo; solo così potrà fabbricarsi gli strumenti per poter affrontare la vita a testa alta, con fiducia e con la coscienza che quel che farà non sarà inutile o indifferente, perché in un mondo fornito di senso, diventa fondamentale fare le cose giuste e resistere alla tentazione di fare quelle sbagliate.
In fondo, esistono solo due categorie di uomini: quelli che sporcano il mondo e lo lasciano un po’ più brutto di come lo hanno ricevuto, e quelli che lo ripuliscono e lo consegnano un po’ più bello alle generazioni che vengono dopo. Non ci sono esistenze neutre, perché la vita è una guerra e i due eserciti, nonostante possano esserci momenti di confusione, sono nettamente distinti: o si sta con la sozzura, o si sta con il pulito. I Moravia, gli Eco, i porno teologi (come li chiamava un teologo vero, Cornelio Fabro), gli imprenditori strozzini, i politici ladri, gli artisti ambiziosi ma senza talento e senza decenza, hanno scelto la sozzura e hanno dato il loro contributo, grande o piccolo, affinché il mondo sia un poco peggiore, dopo di loro, di quel che era prima. Francesco Tullio Altan, con la bella e delicata invenzione della cagnetta Pimpa, ha contribuito a lasciarlo un po’ più bello. Ha regalato il sorriso e alcune ore serene a parecchie migliaia di bambini, e scusate se è poco. Per merito della Pimpa, gli perdoniamo anche Cipputi e gli altri squallidi personaggi della sua satira per adulti, quelle facce disumane, con dei nasi che paiono proboscidi, abbrutite dal cinismo, che grugniscono mini dialoghi come questo: C’è sempre una prima volta per fare cazzate; Però non c’è mai l’ultima; oppure questo: Ci vuole più sicurezza; Giusto: andare a puttane è diventato un vero incubo. Gli adulti hanno però gli strumenti per rielaborare le cose; nessuno può dare seriamente la colpa a qualcun altro di averlo reso peggiore o più infelice, tanto meno può accusare un vignettista satirico. La Pimpa, invece, è un personaggio creato per i bambini, ed è perfetto. Li aiuta a vedere le cose con un tocco di dolcezza e di poesia, che è ciò di cui hanno bisogno. Il resto, lo capiranno da soli, quando verrà il suo tempo: se qualcuno, prima, non avrà avvelenato i pozzi a cui devono bere…
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