
Alla fine, redenta, ogni cosa tornerà in Dio
19 Gennaio 2018
Ci sono già due chiese, lo scisma è nei fatti
20 Gennaio 2018Una gradevole canzone dei Ricchi e poveri del 1981, Come vorrei, cominciava con le parole: In quest’inverno c’è qualcosa che non va… Anche nel nostro inverno del 2017-2018 c’è qualcosa che non va; anzi, ci sono molte, moltissime, troppe cose che non vanno; e non solo in questo inverno, ma in tutti questi ultimi anni, in misura sempre crescente, fino a veder restringersi paurosamente il nostro orizzonte di speranza.
La prima cosa che non va è l’invasione in atto dell’Europa e dell’Italia, spacciata da tutti i mass media come migrazione, cioè come qualcosa di perfettamente naturale, mentre è vero il contrario, che essa è largamente fomentata, pianificata e diretta dall’alto, cioè dal potere finanziario mondiale; e affrontata dalle autorità politiche e religiose come un qualcosa a cui non solo non si può, ma, soprattutto, non si deve resistere, perché opporsi ad essa sarebbe inumano, razzista, anticristiano, intollerabile. Questo è il problema prioritario, il problema che precede tutti gli altri: perché, come quando incendio minaccia di divorare una casa, prima ci si occupa di quello, poi di tutti gli altri. Per quanto gravi, gli altri problemi possono aspettare, perché se la casa se ne va in fumo, dopo non ci sarà più nulla da fare. Ora, quel che minaccia di andare in fumo è la nostra civiltà: migliaia d’anni di storia, di tradizioni, di lingua, di cultura, di famiglia, di religione, di arte, di filosofia, di scienza, di urbanistica, di cucina, di abbigliamento, e soprattutto di valori morali. Tutto questo è in pericolo: forse, nel breve giro di due generazioni, sarà solo un ricordo del passato, e poi neppure quello, perché verrà fatto sparire anche il ricordo.
Prendete una guida turistica di Pola, cioè, Pula, Croazia. Nemmeno una parola sul fato che quella città è sempre stata italiana, italianissima, indipendentemente dalle vicende politiche. Nemmeno una parola sul fatto che, ancora nel 1947, dei suoi 30.000 abitanti, 27.000 erano italiani. E nemmeno una parola del fatto che dovettero andarsene, senza poter portare via nulla con sé, e che, uscendo di casa, lasciarono le porte aperte, come dire: Venite, prendete, rubate tutto: noi non possiamo opporci... No: il turista, e persino il turista italiano, che si reca a Pola, cioè a Pula, per le vacanza estive (oppure a Zara, cioè Zadar, o a Fiume, cioè a Rijeka, o a Capodistria, cioè, volevamo dire a Koper), e che si fida di quanto c’è scritto su quella guida, non immagina neppure, specie se è giovane e poco informato, che quella era una città italianissima, anche se lo può intuire dall’architettura e dalla parlata di qualche raro vecchio. Né si può attribuire la colpa di questa rimozione del passato ai soli croati, autori materiali del furto di una città e di un pezzo di storia: responsabili sono stati anche gli italiani di allora, dal governo all’opinione pubblica. Gli abitanti di Pola, insieme a quelli di Fiume, Zara, Capodistria, ecc., divennero profughi (con la tragedia delle foibe alle spalle), ed erano fratelli in tutto e per tutto degli altri italiani, quelli del Paese destinato ad accoglierli: ma né lo Stato, né la Chiesa ebbero alcuna pietà di loro. Vennero accolti con indifferenza o con ostilità; i loro treni vennero fermati, e i "compagni" comunisti sputavano loro addosso attraverso i finestrini, li insultavano, li chiamavano fascisti e li esortavano, con derisione, a tornarsene indietro. Nei campi allestiti per loro, vivevano in baracche di legno e ricevevano un piatto di pessima minestra al giorno. E non la rovesciavamo per terra, come fanno certi sedicenti profughi africani negli odierni, confortevoli centri di accoglienza, perché si sono stancati di mangiare le solite pietanze, o perché non li hanno sistemati in albergo o in case private, col riscaldamento, l’acqua corrente, la luce elettrica e tutto il resto – pagato dai cittadini italiani. Forse anche per questo, per la nostra cattiva coscienza, di Pola nessuno parla più; semmai si dice, parlando fra amici: Sai, ad agosto sono stato a Pola, si mangia bene, gli alberghi sono buoni e il prezzo conveniente… è bella, la Croazia! Appunto: la Croazia…
Ebbene: lo stesso destino riguarderà l’Italia tutta, e probabilmente la maggior parte dell’Europa, se non ci renderemo conto che quella in atto è una invasione islamica-africana, volta a modificare irreversibilmente la struttura etnica, culturale e religiosa dl nostro continente. Nostro perché costruito da noi, realizzato da noi, abitato da noi, popoli europei, attraverso lunghe e complesse vicende; nostro come è nostra la famiglia in cui siamo nati, come è nostra la città della della nostra infanzia, come è nostra la memoria del passato, dalla chiesa ove abbiamo ricevuto i Sacramenti, al cimitero dove abbiamo accompagnato i nostri cari defunti… Tutto questo sta per esserci sottratto, senza combattere, senza spargimento di sangue, in maniera "pulita" e quasi indolore, facendo leva su una assurda parola d’ordine, gabellata per dovere civico e per imperativo cristiano: accoglienza. Dobbiamo accogliere, non qualche decina o centinaia di perone, ma decine e centinaia di migliaia, milioni di persone, stranieri che vengono da un mondo completamente differente dal nostro, che portano una cultura completamente diversa, e che credono in valori enormemente diversi, sovente opposti, ai nostri. Un mondo che, una volta messo in movimento e opportunamente allettato, anche da noi, che moltiplichiamo ogni giorno gli sfori per facilitare la nostra auto-invasione, fino al punto di destinare uomini, mezzi e somme di denaro considerevoli per pattugliare il mare e andarli a prendere fin quasi ai porti d’imbarco, non si fermerà più. Secondo alcuni calcoli, tutt’altro che fantasiosi, ci sono almeno 300 milioni di persone pronte a mettersi a loro volta in movimento verso le coste dell’Europa, cioè verso l’Italia, a partire soprattutto dall’Africa centrale: come dire che tutto quanto abbiamo visto finora è solo un piccolissimo assaggio di quel che vedremo nei prossimi anni. 300 milioni di persone vogliono dire cinque volte la popolazione dell’Italia. Ma, se accogliere i "poveri migranti" è un imperativo morale; se si tratta di salvare dalla morte persone bisognose e innocenti, chi mai sarà tanto meschino da fare una questione di numeri? Ne abbiamo già accolti tanti; perché non potremmo fare ancora di più?
Tutti costoro, del resto, si presentano davanti alle nostre coste, o ai nostri confini terrestri, fermamente convinti di avere il diritto di venire qui, in casa nostra, e di essere accolti, di venire ospitati, di trovare lavoro (quando non ce n’è per i nostri figli…), ammesso, bontà loro, che siano disposti a lavorare, perché moltissimi si danno alla criminalità fin da subito, prima ancora di sapere se le loro richieste di asilo per motivi umanitari verranno accolte oppure no. Però non dobbiamo rifiutarli, abbiamo il dovere di accogliergli, di stringerci e di aggiungere un posto a tavola: ce lo dicono e ce lo ripetono le autorità del nostro Stato e quelle della nostra Chiesa: cattolica, apostolica e romana. Perfino nella omelia della santa Messa del giorno di Natale, il (falso) papa Bergoglio e decine e centinaia di preti della sua "scuola" non ci hanno parlato d’altro. Non di Dio, dei Migranti. Sostengono che è la stessa cosa. Sarà. Ci dicono e ripetono che si deve fare così, e più non dimandare. Ci dicono persino che è peccato vederla diversamente. E aggiungono che pensarla in altro modo, volersi opporre a questa invasione, che essi naturalmente non chiamano con il suo vero nome, ma con nomi ingannevoli, significa essere razzisti, egoisti e cattivi cristiani. E così, per non essere cattivi ed egoisti, ci dobbiamo adattare, ci dobbiamo rassegare; no, nemmeno questo è abbastanza per placare il furore autodistruttivo dei buonisti a senso unico, i seguaci della nuova religione del Migrante Assoluto: dobbiamo anche essere felici e contenti, dobbiamo accogliere gli invasori come angeli mandati dal Signore, parole testuali di monsignor Lauro Tiso, vescovo di Trento (uno della stessa pasta di monsignor Perego, di Ferrara, quello che predice agli italiani il meticciamento come loro destino necessario ed auspicabile), nella santa Messa dell’Epifania, cioè, volevamo dire, della Epifania dei Popoli. Cioè: non l’Epifania del nostro Signore Gesù Cristo, che si manifesta a noi, ma dell’epifania dei Migranti, che vengono a noi come angeli, e che dobbiamo accogliere allestendo pranzi nelle chiese e trasformando le nostre città in degni luoghi di accoglienza per spacciatori, prostitute e rapinatori.
Nel frattempo, in attesa che l’Italia diventi come Pula, cioè che si perda perfino il ricordo di quando essa era l’Italia degli italiani, e non si vedrà più neppure un italiano in giro (e a ciò contribuiamo con il crollo delle nascite, la politica degli aborti di Stato e dei matrimoni omosessuali), né una scritta in lingua italiana, né una chiesa, né un crocifisso, né si udrà un suono di campane, né qualcuno che legga ad alta voce, nella lingua italiana, il Cantico delle creature di san Francesco o i versi della Divina Commedia di Dante, in compenso le donne andranno in giro velate e i bambini frequenteranno la scuola coranica fin da piccoli, e secoli e secoli di arte e di edilizia saranno trasformati in qualche cosa d’altro, o abbattuti, come accadde ai Buddha di Bamian quando in Afghanistan andarono al potere gli "studenti islamici", in attesa di tutto ciò, dicevamo, noi ci stiamo già attrezzando mirabilmente ai tempi nuovi. Perfino le femministe, cos’ fiere delle loro conquiste, si stanno mobilitando per favorire questa auto-invasione e per spianare la strada all’islamizzazione del nostro Paese. Basta vedere come si affrettano a mettersi il velo in testa, ad esempio le signore radicali, quando fanno un viaggio di natura politica nei Paesi islamici, loro che non si sognano di metterlo neppure quando sono ricevute in udienza dal papa; loro che si sono rigorosamente autocensurate quando gli islamici immigrati in Germania si sono resi responsabili della pagina vergognosa degli stupri e delle molestie di massa nel famoso Capodanno di Colonia. Se si tratta di africani e specialmente d’islamici, le signore femministe e i loro amici di sesso maschile perdono improvvisamente la parlantina insieme alla loro inconfondibile arroganza, si defilano, si squagliano, e chi s’è visto, s’è visto. Ma non è solo la cultura femminista che subisce, anzi, che crea essa stessa il ricatto del politicamente corretto: sono anche le istituzioni pubbliche, a cominciare dal potere giudiziario. Per meglio spiegarci, vogliamo fare qualche esempio.
A Padova, il 6 febbraio 2015 (ma è storia che si ripete quasi tutti i giorni; parliamo di questo fatto scegliendolo quasi a casaccio nel mucchio), un libico, spacciatore di cocaina, viene sorpreso con le mani nel sacco: tenta di venderla a due carabinieri in borghese: arrestato, resiste, tira fuori il coltello e li ferisce entrambi, uno al braccio, l’altro alla gamba. Duplice tentato omicidio, fino a prova contraria, non certo legittima difesa. Si aggiunga che quel "signore" ha quattro provvedimenti di espulsione sulle spalle, mai eseguiti, e tre pagine di procedimenti penali, che vanno dallo spaccio, alla rapina, alla violenza. Ebbene, il giudice che fa? Lo rimette in libertà il giorno successivo a quello dell’arresto. Diciamolo il nome di questo magistrato: Domenico Gambardella. L’unico provvedimento preso nei confronti del delinquente è stato un platonico divieto di dimora in quella città. La motivazione giuridica di tanta indulgenza? Disagio ambientale. Dunque, lo spacciatore libico è libero di andare a spacciare, a rubare, ad aggredire altre persone in altre città del Bel Paese. Chissà dove si trova ora e come si guadagna da vivere: l’Italia è piena di clandestini di quel genere: sono migliaia, decine e centinaia di migliaia. E sempre trovano un Gambardella pronto a rilasciarli. Oppure spostiamoci a Belluno, storia di questi giorni: un altro giudice comprensivo e lungimirante con gli stranieri, ma non altrettanto con gli italiani che fanno il loro dovere e rispettano le leggi, infligge venti giorni di condanna a un capotreno il quale, sulla linea Padova-Belluno, ha fatto scendere un nigeriano che viaggiava senza biglietto. Per due volte il capotreno gli aveva chiesto di vedere il biglietto, e quello non gli aveva dato retta, continuando a parlare al cellulare; poi, il nigeriano lo aveva preso a calci e schiaffi, facendogli volare via gli occhiali. Ora il capotreno è stato condannato per violenza privata, ed è stato pure ipotizzato, a suo carico, il reato di abuso d’ufficio. Si noti che il fattaccio è accaduto due anni fa, e in tutto questo tempo il capotreno ha vissuto nell’incubo del processo che si è concluso a questo modo. Il nome del giudice? Raffaele Riposati. È giusto che si sappia il nome e il cognome di questi magistrati. Se quel libico o quel nigeriano ammazzeranno qualcuno, o stupreranno una donna, o andranno a rapinare e picchiare in qualche abitazione privata, gli italiani sapranno chi devono ringraziare; e le madri che piangeranno i figli rovinati dalla droga, acquistata da codesti individui, anche loro sapranno chi ringraziare.
Arrivate le cose a questo punto, vien quasi da chiedersi se valga ancora la pena di prendersela, di indignarsi, di lottare per il futuro di un Paese che ha deciso di morire, per proteggere una società che, invece, è fermamente decisa a suicidarsi. Sono momenti di scoraggiamento; ma passano, e torna la voglia di lottare. Per una ragione molto semplice: che questo è il nostro Paese, non ne abbiamo un altro dove rifugiarci, sono qui tutte le cose, le persone e le memorie che amiamo; e anche se ne avessimo un altro, non ce ne andremmo ugualmente, non ci arrenderemmo, non getteremmo la spugna, per due altre ottime ragioni: primo, perché qui dovranno vivere i nostri figli e i nostri nipoti; secondo, soltanto perché non sarebbe giusto. E lo stesso ragionamento vale, a fortiori, nei confronti della Chiesa, per quelli che sono cattolici e vogliono continuare ad esserlo, nonostante la massoneria ecclesiastica abbia vergognosamente portato sul seggio di san Pietro un uomo come Jorge Mario Bergoglio, che i suoi superiori non avrebbero voluto neanche vescovo…
Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Wallace Chuck from Pexels