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Alla fine, redenta, ogni cosa tornerà in Dio

Il mondo, così come lo conosciamo, è segnato dal disordine della ferita del Peccato originale, che ha incrinato la relazione fra Dio e l’uomo e ha trafitto tutta l’umanità con il pungiglione della concupiscenza, ossia della tendenza al male, retaggio fatale e inesorabile di quella prima rivolta e disobbedienza. E tuttavia, il mondo è stato creato da Dio secondo un progetto mirabilmente amorevole e intelligente, quindi secondo un ordine preciso, sorretto costantemente dalla divina Provvidenza; ordine che non è stato completamente distrutto da quel peccato, ma soltanto incrinato, e che poi, con l’Incarnazione del Verbo, ha ricominciato a brillare, sia pure parzialmente, in attesa della pienezza finale, quando tutti i tempi e tutti i singoli membri del genere umano saranno chiamati a rendere testimonianza al Figlio di Dio, in presenza del Padre e dello Spirito Santo, per essere definitivamente giudicati e premiati o condannati, ciascuno in base alle sue opere, secondo verità e giustizia assolute. Al presente, perciò, possiamo dire che tutte le cose tendono verso quel’ordine originario che è andato perduto, ma che non è completamente scomparso e le cui tracce sono ancora visibili nella bellezza e nell’armonia della creazione, e la cui ardente nostalgia punge il cuore delle anime fin dall’infanzia, e poi, con il crescere della consapevolezza, non fa che aumentare, palesandosi sempre più evidente la discrepanza che esiste fra il mondo così com’è, e noi stesi così come siamo, e il mondo come dovrebbe essere, e noi stessi come dovremmo e potremmo essere, se la concupiscenza non ci spingesse costantemente vero il male e se fossimo capaci di quel’abbandono generoso, totale, incondizionato, della creatura che risponde prontamente all’invito d’amore del suo Creatore.

Una singola creatura, in verità, è stata capace di quel tipo di abbandono assoluto; una creatura privilegiata, concepita senza il fardello del Peccato originale, appunto perché destinata da Dio, fin da prima che il mondo cominciasse ad esistere, a rendere possibile il mistero sublime, insondabile, dell’Incarnazione del Verbo: Maria, la Madre di Gesù Cristo. In lei quel pegno di amore totale è passato interamene dal Creatore alla creatura ed è ritornato, immacolato e perfetto, dalla creatura fino al suo Creatore. In quel fiat c’è tutto il mistero di Maria e c’è una prefigurazione di quel che potremmo essere noi, di ciò che potrebbe essere il mondo, se ciascuno fosse capace di dire al Padre celeste Sia fatto di noi così come Tu vuoi, con la stessa fede e con la stessa radicale disponibilità mostrate da Maria Vergine, quando fu visitata dall’Arcangelo Gabriele. Per quanto Maria sia una creatura assolutamente privilegiata, la sola concepita senza il Peccato originale, il suo "sì" a Dio è stato ugualmente del tutto libero e volontario: il posto speciale che ella occupava, nella mente di Dio, per la redenzione dell’umanità, fin dall’abisso dei secoli, richiedeva comunque una adesione completamente libera; e anche una perfetta coscienza del prezzo che quel "sì" avrebbe comportato, in termini di umana sofferenza, perché Dio non inganna le sue creature. Si ricordino le parole di Simeone a Maria, al momento della presentazione di Gesù al tempio (Lc 2, 34-35): Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i disegni di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima. Eppure, grazie a quell’atto di totale obbedienza e di totale fiducia in Dio, con cui Maria ha risposto all’invito dell’Arcangelo Gabriele, l’esatto contrario del "no" di un’altra donna, Eva, la quale non volle fidarsi dell’amore di Dio e provò invidia per la propria condizione di creatura rispetto al suo Creatore, istigata dal diavolo alla disobbedienza, l’umanità è stata reintegrata pienamente nel progetto salvifico di Dio e in lei, umile creatura, si è realizzato un anticipo di quella condizione felice e perfetta che caratterizzerà i tempi nuovi, quando ogni cosa sarà rifatta a piena immagine di Dio. In altre parole, in Maria si realizza una reintegrazione dello stato paradisiaco dell’umanità, poiché la condizione fondamentale di quello stato risiedeva proprio nella piena fiducia e obbedienza, non offuscata da alcuna ombra, da parte delle creature verso il loro Creatore.

Questo aspetto della riflessione mariologica è stato specialmente approfondito dal beato Luigi Caburlotto, un umile sacerdote veneziano dell’Ottocento, che viene oggi ricordato soprattutto per aver fondato, nel 1850, la Congregazione delle Figlie di San Giuseppe, comunemente conosciute come suore giuseppine, il cui carisma è quello dell’educazione cristiana dei giovani, dall’asilo fino alle scuole superiori; ma era anche un appassionato devoto della Madonna e, pur essendo meno noto questo aspetto della sua personalità, egli ha svolto delle profonde riflessioni teologiche sul ruolo di Maria nel piano della salvezza. Scrive Nereo Zamberlan nel suo saggio La devozione a Maria del venerabile Luigi Caburlotto, Venezia, Istituto Figlie di San Giuseppe, 2007, pp. 83-84; riportiamo anche le note, molto interessanti, cambiando solo, di necessità, la numerazione):

L’assoluta preminenza del punto di riferimento e di orientamento che Maria rappresenta per ogni destinatario della salvezza si comprende alla luce dell’infinita perfezione del piano salvifico,che ha il suo fulcro nella carità divina. Dio – spiega il Caburolotto – ama infinitamente le sue creature, ha sognato Maria fin dall’eternità, e HA TROVATO – in Colei che da sempre ha contemplato – IL SUO PIENO COMPIACIMENTO; ha rivolto il suo sguardo d’amore proprio verso QUESTA creatura in particolare, facendone, con la sua Potenza, la primizia della redenzione da cui prende inizio la RICAPITOLAZIONE UNIVERSALE (Ef, 1, 10). (1) In modo portentoso l’ha costituita FIGLIA sua, FIGLIA DELLA LUCE (e lei stessa  LUCE DI CONSOLAZIONE, DI PACE E DI GIOIA che deve apparire tra le tenebre); l’ha scelta come CORREDENTRICE accanto al Redentore (e Lei medesima REDENTRICE) (2); l’ha creata DALLA COMUNE PENA ESENTE sottraendola ai colpi del nemico (salvandola, fortificandola, proteggendola, elevandola, trasferendola in un luogo inaccessibile al maligno). Il Verbo l’ha nobilitata, BELLAMENTE ONORATA, fregiata di DONI SINGOLARI E SPECIALISSIMI in misura illimitata (vero ABISSO di carismi), ed ha santificato come SUO tabernacolo quest’Arca mistica, UNICA E SOLA RISERVATA DAL COMUNE NAUFRAGIO, aurora felice del giorno della grande liberazione.

La BELLEZZA della sposa del Cantico, nel discorso DELLA CONCEZIONE, è oggetto di infinito stupore: Maria è l’"hortus conclusus"… il "paradiso" dove abita per sempre ormai Dio. (3)

1) La ricapitolazione è da intendersi come RI-UNIFICAZIONE e RE-INTEGRAZIONE di tutti gli esseri nel piano divino mediante il Cristo costituito capo dell’universo; "così alla universalità  della creazione mediante il Verbo, corrisponde l’ampiezza cosmica delle redenzione mediante il Verbo Incarnato, nel quale tutte le creature ritrovano il loro vero senso e valore. Una palingenesi cristocentrica e teocentrica, già annunciata dai profeti Isaia ed Ezechiele: un ricreare l’ordine essenziale, l’unità che è la legge di vita…" ("Lettere di s. Paolo. Lettere cattoliche. Apocalisse", versione dal testo greco e note di A. Rizzato, comm. L. Favero, Vicenza 1963, p. 261).

2) Entrambi i titoli sono usati da Luigi Caburlotto; la con-redenzione non è una redenzione accessoria. Per grazia, è una associazione A PIENO TITOLO all’opera della salvezza. Del resto, non siamo noi chiamati a portare a compimento "ciò che manca ai patimenti di Cristo"? (Col. 1,24).

3) Vale la pena di notare che "hortus"  (Ct 4,12) nella Vulgata traduce l’ebraico "gan"-giardino e che tale vocabolo è quello usato nel libro della Genesi a partire da Gen 2,8.9.15ss dove la Vulgata traduce lo stesso termine con paradisum". In Gen 2,9 si dice che è proprio nel "gan" in Eden (da cui usciva un "fiume" che irrigava il "giardino" che Dio piantò l’albero della vita. L’indicazione di Maria come "fons" (sempre sulla scorta del Cantico) viene ripresa da Anastasio Sinaita (VII sec.): "in medio FONTIS VITAE PUELLAE DEI MATRIS" (CMP, vol. IV/2, Burgos 1979, 4852). Ma Efrem (IV sec.) aveva già visto benissimo quando, unendo le due prospettive (Genesi e Cantico), cantava: "Maria FONS PURUS EST…: ipsa ventre FLUMEN VITAE CONCEPIT, QUOD DESCENDENS MUNDUM IRRIGAVIT OMNIBUS PER EUM MORTUIS RENATIS – Maria è la sorgente pura…: essa nel suo ventre CONCEPIÌ IL FIUME DELLA VITA, IL QUALE DISCENDENDO IRRIGÒ IL MONDO per tutti coloro che – per mezzo di Lui – sono rinati da morti che erano…" (Cf "Carmina Soghita": 1,37 in "Testi Mariani del Primo Millennio (=TMPM) 1, Città Nuova Editrice, Roma, 1988, p. 91; CMP, vol. II, Burgos, 1970, 1392, 37). È l’identificazione di Maria con il GIARDINO/PARADISO DI DIO, ed è chiara l’interpretazione di Gen 2,9 in senso mariologico e cristologico insieme: il Figlio di Dio è il fiume che esce da quel Giardino. Il Cantico dei Cantici rinvia al libro della Genesi. Bisogna PROSEGUIRE la meditazione del Caburolotto, che porta davvero lontano, e al recupero del prezioso e fertile pensiero patristico largamente sotteso alla sua devozione mariana.

La riflessione mariologica del Caburlotto, dunque, si muove fra il libro della Genesi e il Cantico dei Cantici, e fra la Lettera agli Efesini e la Lettera ai Colossesi di san Paolo, passando per i Padri della Chiesa, come Efrem il Siro. Due sono i concetti-chiave in questa riflessione mariologica: che tutte le cose saranno ricapitolate in Gesù Cristo, per mezzo del quale esse furono fatte, e senza il quale nulla di ciò che esiste è stato fatto (cfr. Gv 1,3); e che Maria è la primizia di questa "ricapitolazione", e quindi, in un certo senso, ella è già, fin da ora, il nuovo "paradiso", la nuova realtà rifatta e redenta dal Peccato originale, interamente riconciliata con Dio e divenuta a pieno titolo figlia di Lui. Scrive infatti san Paolo nella Lettera ai Corinti, 3-12:

Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà. E questo a lode e gloria della sua grazia, che ci ha dato nel suo Figlio diletto; nel quale abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati secondo la ricchezza della sua grazia. Egli l’ha abbondantemente riversata su di noi con ogni sapienza e intelligenza, poiché egli ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà, secondo quanto nella sua benevolenza aveva in lui prestabilito per realizzarlo nella pienezza dei tempi: il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra. In lui siamo stati fatti anche eredi, essendo stati predestinati secondo il piano di colui che tutto opera efficacemente conforme alla sua volontà, perché noi fossimo a lode della sua gloria, noi, che per primi abbiamo sperato in Cristo.

Questa "ricapitolazione" di tutte le cose in Cristo equivale a un ritorno di tutti gli esseri a Dio, e ad una loro reintegrazione in quello stato di pienezza e perfezione originaria, che era loro prerogativa prima che intervenissero le funeste conseguenze del Peccato originale. Ogni cosa creata, infatti, tende a tornare verso Dio, sua origine e suo motore primo, sua pace, suo scopo e sua meta finale; come dice ancora san Paolo, sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo (Romani, 8, 22-23). E sempre san Paolo, nella Lettera ai Colossesi (1,24): Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa. "Quello che manca ai patimenti di Cristo" è un’ altissima meditazione sul mistero della salvezza. Noi siamo redenti dal sangue di Cristo; tuttavia, Egli non può fare tutto da solo: non può redimerci, se noi non lo vogliamo; e, se lo vogliamo, allora è giusto che noi partecipiamo a pieno titolo anche ai patimenti che essa comporta, aggiungendoli umilmente a quelli sofferti dal nostro Signore, Gesù Cristo. E anche in questo Maria ci ha preceduti e ci precede: la spada che le ha trafitto il cuore è stata l’aggiunta ai patimenti di Cristo che ella ha preso su di sé, per essere fedele alla chiamata. Proprio qui si vede l’abisso che separa la concezione cattolica da quella protestante, nella quale è Dio che fa tutto e Cristo non ha bisogno della nostra collaborazione. Fa sorridere l’invenzione, da parte di una certa "teologia" di questi ultimi anni, della cosiddetta mariologia ecumenica (cfr. Mariologia ecumenica, l’ultimo cavallo di Troia dei modernisti per decattolicizzare la Chiesa, pubblicato sul sito di Accademia Nuova Italia il 15/07/2017), per cui una certa rivista cattolica ci rende edotti, ad esempio, di quanto belle e toccanti siano le parole rivolte da Zwingli alla Madonna. In realtà, non c’è alcuna mariologia ecumenica, queste sono elucubrazioni postconciliari: solo per i cattolici Maria svolge quel ruolo di anticipatrice del Paradiso e di primizia dell’umanità redenta, che ne fa, come dice Dante (Par. XXXIII, 2), umile e alta più che creatura…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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