
Prove di guerra civile
30 Ottobre 2016
«L’invisibile corsa di animali vaganti, l’urlo selvaggio
31 Ottobre 2016Il principio fondamentale dell’agricoltura biodinamica, che la caratterizza rispetto a tutte le altre, e anche rispetto a quella che le è maggiormente simile, l’agricoltura biologica, è quello della salvaguardia della fertilità. Per un agricoltore biodinamico, la cosa più importante non è avere un raccolto abbondante, o regolare, o qualitativamente perfetto, ma è preservare le condizioni di fertilità del terreno: vale a dire, tutelare il meccanismo attraverso il quale la terra ricostituisce i sali minerali e le altre sostanze di cui ha bisogno per poter continuare ad essere fertile, e, in tal modo, ad assicurare agli uomini dei raccolti per il futuro. Potremmo anche esprimerci così: la cosa più importante è fare in modo che non venga chiesto alla terra più di quel che essa può dare, senza che la sua capacità riproduttiva venga seriamente messa in pericolo. È un po’ come se una coppia di sposi si preoccupasse, più che di avere tanti figli, di poter avere dei figli anche in futuro, evitando tutto ciò che può pregiudicare la fertilità della donna (ed, eventualmente, quella dell’uomo). È un pensare in grande: non solo all’oggi e al domani, ma anche al dopodomani.
Troppo spesso, in passato, gli uomini si sono preoccupati solo del presente. È in questo modo che, ad esempio, hanno distrutto delle specie di animali selvatici, come il bisonte, o le stanno distruggendo ai nostri giorni, come la balena; ed è in questo modo che, per l’eccessiva pressione ambientale sulla terra, esercitata per costringerla a dare il massimo dei raccolti e ad allevare il massimo degli animali, egli sta provocando, specialmente attraverso l’impiego massiccio di fertilizzanti chimici, un progressivo e sempre più rapido esaurimento del suolo, attraverso la distruzione dello strato di humus e lo spreco, tanto dissennato quanto antieconomico, delle materie prime che consentirebbero una concimazione naturale. I potenti getti d’acqua che scaricano nella canaletta le deiezioni animali, in una grande stalla moderna, portano via proprio quelle sostanze fertilizzanti che sarebbero utilissime per rinnovare la fertilità del suolo, restituendo alla terra arabile quei minerali e quei sali che le sono stati sottratti, sia con l’agricoltura e l’orticoltura, sia con l’allevamento. Viceversa, il ricorso sempre più esteso ai fertilizzanti chimici provoca la morte biologica del terreno, e, pertanto, la necessità di aumentare sempre più le dosi di sostanze chimiche; tuttavia anche così, alla lunga, il destino di quelle superfici agrarie risulta segnato: la terra, impossibilitata a produrre le sostanze naturali che le permettono di alimentare dei nuovi raccolti, finisce per esaurirsi del tutto, e i campi si trasformano in sterili e desolate superfici di terra dura, tagliente, secca, come una donna che non potrà mai più partorire.
Scrivevano Herbert Koepf, B. D. Petterson e Wolfgang Schuman in Agricoltura biodinamica (titolo originale: Biologische Landwirtschaft, Verlag Eugen Ulmer, Stuttgart, 1976; traduzione dal tedesco di E. Mamoli, Milano, Editrice Antroposofica, 1980, p. 31):
Nella formazione di un’azienda biodinamica viene riconosciuta un0unfuenza preminente a un tipo di coltivazione del terremo e di allevamento del bestiame che mette in primo piano la salute la conservazione della fertilità, cioè le condizioni per il "fiorire" dei mezzi di produzione. […] Solo se l’azienda è messa in grado di trovare l’equilibrio fra le condizioni di vita dei mezzi di produzione (terreno, bestiame, piante) e i legittimi interessi economici, essa potrà assolvere le altre sue finzioni che oggi sembrano problemi insolubili: conservazione della capacità di rendimento dei mezzi di produzione, qualità dell’ambiente, qualità degli alimenti, giusto rapporto del contadino e del giardiniere con il loro ambiente.
Ebbene: un ragionamento del tutto analogo a quello dell’agricoltura biodinamica si può fare per ciò che riguarda la vita complessiva di una società e, in particolare, i suoi aspetti spirituali.
Il lungo predominio della cultura marxista e di quella psicanalitica freudiana, e, in genere, l’instaurarsi di una prospettiva materialista nella società contemporanea, hanno fatto sì che la dimensione spirituale, sia per la vita del singolo individuo, sia per quella dell’intera comunità, venisse trascurata, screditata, ignorata, quasi che si trattasse di qualcosa d’inconsistente, di superfluo, e, tutt’al più, interessante solo come testimonianza di una elaborazione fantastica dei dati della vita reale, e di una alienazione dell’uomo dalla realtà concreta della vita "vera", ridotta alla sua dimensione esclusivamente. materiale.
Si tratta, a nostro avviso, di un errore clamoroso, perché la dimensione spirituale comprende, e quindi spiega, quella materiale, ma non viceversa; per cui lo stato di salute, o di malattia, della dimensione spirituale, tanto di un individuo, quanto di una intera società, ci aiuta a comprendere le manifestazioni della vita materiale, molto più in profondità di quanto possano fare delle spiegazioni puramente immanentistiche. Una società spiritualmente sana è anche caratterizzata da una economia sostanzialmente sana, perché riflette il rapporto saggio e ragionevole che l’uomo instaura con le cose, che, a sua volta, è il riflesso esteriore di un rapporto saggio ed equilibrato dell’uomo con se stesso. In una società spiritualmente sana, l’economia occupa il posto che le spetta, quello di garantire la sopravvivenza e un certo grado di sicurezza e di comodità ai suoi membri, e non deborda fino ad occupare un ruolo che non lo spetta: quello di condizionare, manipolare, ricattare, inibire e soggiogare ogni altro aspetto della vita pubblica e privata. Se ciò accade – come sta accadendo – vuol dire che quella società è impazzita e sta alimentando una sindrome tumorale: alcune cellule si stanno moltiplicando a ritmo folle e senza alcuna utilità per l’organismo, anzi, con un loro apparente vantaggio (ma solo temporaneo) e con il danno e la rovina di tutto l’insieme, fino a condurlo alla distruzione irreversibile e totale.
In una società spiritualmente sana, tutti gli aspetti della vita si tengono in equilibrio reciproco, favoriscono ciò che accresce il bene e inibiscono ciò che condurrebbe alla disgregazione; non solo l’economia, infatti, ma qualunque altro aspetto, se incominciasse a crescere in maniera patologica a danno degli altri, diverrebbe un pericolo mortale per la sopravvivenza stessa dell’insieme. Vi sono, peraltro, aspetti più importanti di altri, energie spirituali più benefiche di altre, priorità che s’impongono rispetto ai fini secondari: ed è proprio di una società sana il fatto di riconoscere queste differenze e di porre quelle priorità, mentre è tipico di una società malata e impazzita il fatto di concedere uno spazio eccessivo alle forze della dissipazione e di preoccuparsi troppo poco delle forze della conservazione, del ripristino, della difesa di sé e della propria espansione. Per fare un esempio: una società sana ha bisogno anche di un certo numero di individui irregolari, turbolenti, imprevedibili, perché, fra essi, vi è quella minoranza creativa che, specie in certe situazioni speciali (ad esempio, di crisi o di pericolo) sa prendere in mano le redini e offrire le risposte, o trovare le soluzioni, là dove gli altri, i normali, i disciplinati, i rispettosi della legge, non le vedono, né le trovano. D’altra parte, una società in cui tali individui diventano troppo numerosi, o acquisiscono troppo ascendente, rischia di non poter poi gestire e metabolizzare l’eccesso di stimoli, non sempre positivi, che costoro le trasmettono, con il pericolo di perdere la propria coesione interna, la propria saldezza e la propria capacità di tenuta, specie se, contemporaneamente, deve fronteggiare anche altre sfide e altre minacce.
Ebbene: è da molto, da troppo tempo, che la nostra società si prende il lusso di alimentare non i propri valori, ma dei controvalori; non le energie costruttive, ma quelle distruttive; non le persone capaci di fornire stimoli positivi, ma quelle che danno stimoli negativi: sesso, droga, violenza, eccessi d’ogni genere, dissacrazione di tutte le tradizioni. Da molto, troppo tempo, la nostra società vezzeggia, blandisce, accarezza ed applaude i cattivi maestri che lavorano contro di essa, mentre disprezza, ignora od ostacola gli esempi virtuosi, gli stili di vita sani, la dimensione costruttiva. I cattivi maestri che imperversano nella sottocultura giovanile, e che traviano e confondono milioni di giovani, mentre fanno soldi e carriera, dovrebbero essere considerati alla stregua di parassiti altamente dannosi: prendono senza dare, anzi, prendono energie spirituali potenzialmente positive (la generosità, l’entusiasmo, l’idealismo dei giovani) e spargono, in cambio, semi di distruzione, incitando a comportamenti distruttivi e auto-distruttivi. Frattanto, se sono abbastanza cinici e furbi, i cattivi maestri si guardano bene dal varcare l’ultima soglia dalla quale non si torna indietro; giocano stando sul filo, spingono gli altri a varcarla, ma loro se ne stanno prudentemente al di qua: un tipico esempio di quel che stiamo dicendo è il gruppo musicale dei Rolling Stones, che ha una responsabilità enorme nello smarrimento spirituale di moltissimi giovani, ma che, da parte sua, si è ben guardato dal mettere in pratica tutte le forme di trasgressione sulle quali ha costruito la propria carriera artistica e anche la propria immagine pubblicitaria. In una società sana, simili parassiti velenosi verrebbero riconosciuti ed eliminati (per carità, senza bisogno di ricorrere a mezzi estremi), cioè letteralmente espulsi dal corpo sociale: perché una società sana riconosce di primo acchito ciò che rappresenta, per essa, una minaccia mortale, così come sa riconoscere quel che la alimenta, la arricchisce, la migliora.
Purtroppo, con la cultura del relativismo, divenuta ormai (come denunciato da Benedetto XVI, specie con la storica omelia del 18 aprile 2005) una vera e propria dittatura, gli stessi meccanismi di auto-difesa della società sono aggrediti, inceppati, scardinati alla base: perché il relativismo contesta che si possa parlare di "bene" e di "male" in senso forte, e, pertanto, rifiuta che qualcuno osi dire che una certa cosa rappresenta un bene, o che un’altra cosa rappresenta un male, sia nella vita delle singole persone, sia in quella del’intera società. Il risultato è che i cialtroni, i parassiti, i funghi velenosi, possono prosperare e si conquistano uno spazio sempre più grande, una influenza sempre più diffusa, una capacità di proliferare sempre più incontrastata. Si verifica una selezione alla rovescia, una meritocrazia all’incontrario: chi più è causa di male per la società, più viene ammirato e applaudito e più viene ad occupare spazi e visibilità, che gli consentono di moltiplicare la sua azione infettiva; mentre chi è, o potrebbe essere, fonte di bene, viene a tal punto marginalizzato, o semplicemente ignorato, che la sua voce e il suo esempio si perdono nel frastuono generale.
Qualcuno potrebbe obiettare che così va il mondo, e così è sempre andato: che i più generosi, positivi, disinteressati, da sempre soccombono davanti ai più egoisti, ai più aggressivi, ai meno scrupolosi. Questo è vero, ma fino ad un certo punto. In una società complessivamente sana, lo spazio che le persone e gli esempi negativi riescono a conquistare, è più apparente che reale, più temporaneo che durevole, più superficiale che profondo. In una società sana, i peggiori hanno, talvolta, l’impressione di essere irresistibili, ma, a conti fatti, si scopre che non sono mai stati seriamente in grado di far perdere l’equilibrio alla società intera, di destabilizzarla per davvero. In una società malata, viceversa, che ha consumato o distrutto i propri anticorpi, questo pericolo esiste. In una società malata, un individuo schizofrenico e violento può salire ai vertici del potere, o della cultura, o della finanza, o dello spettacolo, e provocare, direttamente o indirettamente, il massimo danno ai propri simili e al proprio ambiente (nel senso più ampio della parola "ambiente"). Pertanto, se è relativamente normale che chi ha molta faccia tosta e aggressività riesca a scavalcare, nel merito e nella percezione dei più, gli individui moralmente, intellettualmente e spiritualmente migliori, non lo è che costoro arrivino al punto d’ipnotizzare la maggior parte della gente e che seguitino a provocare danni gravissimi, senza che il loro gioco venga scoperto e che, in qualche modo, alla fine sia neutralizzato.
Una società sana, in definitiva, è una società fertile; e una società si mantiene fertile fino a tanto che sa amare la vita, e trasmettere tale amore alle nuove generazioni. Non si tratta solo di riprodursi e avere dei figli, ma di tirar su delle generazioni che siano innamorate della vita, che credano in se stesse, che non temano la sfida del domani. La cultura europea degli ultimi tre secoli, specialmente dall’illuminismo in poi, ha prodotto sempre meno amore per la vita, sempre meno fiducia nel domani e delegato sempre più potere alle macchine, illudendosi chele macchine possano risolvere i problemi umani, Le macchine possono solo rendere più facile o più veloce questa quella operazione, e nient’altro; se la società è malata, le macchine ne affretteranno la fine. L’importante non è la macchina, ma l’uomo che sta dietro la macchina. L’umanità potrà anche ricominciare daccapo, dopo una notte tecnologica dovuta, per esempio, ad un conflitto nucleare; ma nessuna tecnologia potrà salvare una società che, non credendo più a niente, abbia perso la voglia di vivere…
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