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H. Sörgel, colui che voleva creare un mare (anzi due)

È una figura poco conosciuta e alquanto bizzarra, per certi aspetti affascinante e per altri quasi inquietante, quella di Herman Sörgel (Ratisbona, 2 aprile 1885-Monaco di Baviera, 25 dicembre 1952). Ingegnere, architetto aderente alla corrente espressionista del Bauhaus, filosofo e studioso di geopolitica, ha lasciato traccia di sé — ed è una traccia che fa ancora discutere — per i suoi colossali, quasi inverosimili progetti d’intervento ingegneristico mirante a trasformare radicalmente la superficie dell’orbe terracqueo. Convinto, come Francis Bacon, che sapere è potere, e niente affatto intimidito all’idea di modellare la natura e modificare radicalmente il paesaggio terrestre come se fosse un plastico malleabile a piacere, forte dei suoi calcoli teorici e dotato di una vastità di vedute che ha qualcosa di leonardesco, arrivò a ideare niente di meno che la formazione di un nuovo continente, da lui chiamato Altantropa o Panropa, esponendo nel 1928 il progetto di costruire una immensa diga, con relativa centrale idroelettrica, attraverso lo Stretto di Gibilterra; cosa che, unitamente alla chiusura del Canale di Suez e dello Stretto dei Dardanelli, avrebbe isolato il Mar Mediterraneo dall’Oceano Atlantico e ne avrebbe provocato il progressivo abbassamento da 100 a 200 metri, stante la differenza di livello fra i due bacini. Ciò avrebbe reso disponibili circa 650.000 chilometri quadrati di nuove terre coltivabili, che avrebbero costituito un sbocco per gli Stati europei sovrappopolati e bisognosi di ritagliare nuovi spazi per l’agricoltura, in particolare la Germania e l’Italia, dal 1939 legate dal Patto d’Acciaio.

A coronamento del grandioso progetto di Alantropa, la cui chiave di volta era la diga nello Stretto di Gibilterra, Herman Sörgel aveva previsto anche la creazione di un immenso lago africano, anzi di due laghi, che sarebbero stati il necessario prolungamento del progetto principale. Infatti la chiusura del Mediterraneo avrebbe provocato un innalzamento del livello degli altri mari, e sia pure di circa un metro, secondo i calcoli dell’ingegnere tedesco: cosa cui si sarebbe dovuto rimediare sbarrando con un’altra diga il corso del fiume Congo, impedendogli di defluire nell’Atlantico e formando così un enorme lago nell’Africa Centrale, con la possibilità di costruire numerose centrali idroelettriche; e al tempo stesso deviando il corso del fiume Ubanghi, così da spingerlo nello Chari e da lì nel lago Ciad (del quale il Chari è il principale immissario), il quale avrebbe così riacquistato le ragguardevoli dimensioni che ebbe in lontane epoche preistoriche. A sua volta il Ciad, attraverso l’escavazione del letto per un nuovo grande fiume, avrebbe convogliato le sue acque in eccesso fino al Mare Mediterraneo, dove questo sarebbe stato fatto sboccare all’altezza della Tunisia centrale. Insomma: tutta la geografia dell’Africa sarebbe stata radicalmente modificata; due vastissimi bacini di acqua dolce sarebbero sorti, l’uno dal nulla o e l’altro ampliando enormemente un lago già esistente; la presenza coloniale europea in quel continente si sarebbe rafforzata e l’Italia, in particolare, oltre alla Germania (ma questa solo indirettamente, dato che con la Prima guerra mondiale aveva perduto il suo impero coloniale africano) avrebbe giocato un ruolo da protagonista, divenendo uno dei principali beneficiari dell’enorme progetto, sia a livello economico che a livello geopolitico.

Non è questa la sede per soffermarci sulle complesse relazioni che Sörgel ebbe prima con la Repubblica di Weimar, poi col governo nazista, infine anche con il governo fascista italiano, da lui individuato, probabilmente a torto, come un valido interlocutore per la realizzazione dei suoi progetti quasi fantascientifici. Sta di fatto che egli seppe dare vita ad un Istituto Alantropa, il cui consigliere di amministrazione fu il poeta senegalese Léopold Sédar-Senghor (nonostante le idee razziste di Sörgel che, in un primo tempo, aveva concepito il suo progetto nella prospettiva d’un rafforzamento del dominio europeo, specie della Germania e dell’Italia, sulle moltitudini africane, oltre che come esempio lampante della superiorità tecnologica dell’uomo bianco sull’uomo di colore) e che sopravvisse alla guerra e solo nel 1952, alla morte del suo ideatore e fondatore, venne disciolto, riconoscendo l’irrealizzabilità della diga di Gibilterra o, comunque, il carattere ormai superato del progetto. E questo dopo che, nel 1942, le autorità naziste avevano definitivamente bocciato le idee di Sörgel, proibendo la pubblicazione dei suoi scritti, mentre Mussolini, e in genere l’ambiente politico e culturale italiano, a cominciare dai maggiori giornali, si erano mostrati estremamente freddi nei suoi confronti, visto che la creazione di Atlantropa avrebbe causato l’insabbiamento dei maggiori porti commerciali, come Genova e Trieste, e quindi causato danni gravissimi all’economia del nostro Paese. È vero che Sörge aveva previsto l’obiezione e intendeva offrire come contropartita la creazione di nuove terre emerse da destinare ad uso agricolo, magari con la costruzione di un sistema di dighe, all’altezza del Canale di Sicilia, che separasse il Mediterraneo occidentale da quello orientale; ma evidentemente tali vantaggi apparvero incerti e comunque insufficienti per compensare la certezza del danno che avrebbe causato l’abbassamento delle acque costiere.

Così ricostruisce quello stranissimo progetto il divulgatore scientifico russo Igor Ivanovic Adabachev nel volume Come l’uomo trasforma il pianeta; traduzione e adattamento di Mario Doplicher, Milano, Soc. Editrice Vie Nuove, 1971, pp. 234-239):

Il grandioso fiume Congo nasce dalle foreste tropicali e versa le sue acque nell’Atlantico. La sua portata annua è di 1.260 chilometro cubi d’acqua, pari a quella dello Jenissei, del’Ob, del Volga e del Dniepr messi insieme. La parte centrale del bacino del Congo è costituita fa una vastissima e falsa depressione che, benché raggiunga i 340 metri, è sempre a 300 metri sopra il livello del mare. Questa depressione è circondata da alture che scendono bruscamene a terrazze, come delle gigantesche scalinate. Il Congo e i suoi affluenti sono quindi molto ricchi anche di cascate e di rapide invalicabili.

Ci fu un tempo in cui il bacino del Congo era un grande mare interno. Ma in pieno periodo cretaceo il fiume infranse la barriera montana e si scavò a poco a poco la strada verso l’oceano. Al posto del mare interno rimase tutta una serie di laghi più o meno grandi, come il lago Leopoldo II.

Herman Soergel, un noto ingegnere di Monaco autore di numerosi progetti di trasformazione della natura, ha recentemente proposto di… ripristinare questo antico mare. Per far questo basterebbe, secondo lui, "colmare" la breccia apertasi nella barriera montuosa perché le acque dolci del Congo si trovino nuovamente isolate e cessino di perdersi inutilmente nell’oceano.

Il Congo è un fiume talmente largo che, su quasi tutto il suo percorso non si può scorgere l’altra sponda. In certi punti, come all’altezza dello Stanley Pool, la sua larghezza raggiunge i 25 chilometri. Ma appena superata la depressione, questo fiume si trova sempre più rinserrato tra le montagne e il suo corso inferiore si restringe progressivamente fino a ridursi a una strozzatura dalle rive alte e scoscese larga appena 1700 metri.

Il fatto però che attraverso un’apertura relativamente così stretta debba passare una quantità d’acqua pari a quella dei quattro più grandi fiumi europei e asiatici, rende il corso del fiume talmente impetuoso e turbolento, che costituire una diga in quel punto diventa un’impresa quasi disperata. D’altra parte non si può nemmeno scavare al fiume un letto provvisorio di deviazione a causa della presenza di ripide montagne.

Herman Soergel ha allora proposto di ricorrere a un altro sistema: quello di far saltare, con forti cariche di esplosivo, le montagne situate un po’ più a monte. Così le pietre e il terriccio spostato dall’esplosione, ostruirebbe per un certo tempo il letto del fiume impedendo del tutto o in parte lo scorrimento delle acque. Nel frattempo comunque si potrebbe costruire una diga provvisoria e poi una definitiva. In base ai calcoli basterebbero tre o quattro ani perché la depressione si riempisse talmente d’acqua, da provocare il riflusso verso Nord-Ovest del principale affluente del Congo, l’Ubanghi, che andrebbe così a gettarsi nello Chari. È a questo punto che avrebbe inizio la seconda parte del progetto di trasformazione dell’Africa.

Il Chari non è un grande fiume, ma è il solo immissario che tiene ancora in vita il Ciad, questo immenso lago in via di prosciugamento. Fino a poco fa il Ciad era ancora grande come il Caspio, ma a poco a poco si è disseccato lasciando dietro a sé delle grandi paludi in cui cresce il papiro. Negli ultimi cento anni la sua superficie si è ridotta della metà perché tutti i piccoli fiumi che vi si gettano hanno un regime stagionale e tante volte rimangono secchi per anni interi.

Herman Soergel ha calcolato che una volta l’antico mare del Ciad si spingeva fino al massiccio montagnoso di Hoggar, che si trova quasi al centro del Sahara. Quindi, quando il mare interno del Congo incomincerà a riversare le sue acque attraverso l’Ubanghi e il Chari, nel lago Ciad, questo riprenderà un po’ alla volta le sue antiche dimensioni. Verrà così ricostituito l’antico mare interno africano che in 50 anni si estenderà su 1.300.000 chilometri quadrati di terre desertiche o semidesertiche, cioè su una superficie pari a quella del mar Baltico, del mar Bianco, del mar d’Azov, del Caspio e del mar Nero messi assieme. Contemporaneamente il mare interno del Congo finirà di riempirsi raggiungendo un’estensione di 800 mila chilometri quadrati.

Ancora Herman Soergel propone: una volta che i due mari interni avranno raggiunto il loro livello naturale si faranno defluire le acque eccedenti del "mare del Congo" nell’Atlantico e quelle del "mare del Ciad" nel Mediterraneo. In questo caso le acque costeggerebbero la parte occidentale del massiccio di Hoggar, attraverserebbero il Sahara settentrionale e si getterebbero nel golfo di Gabes, formando quello che Soergel ha pittorescamente definito "un secondo Nilo".

Del resto è ben possibile che questo nuovo fiume non sia affatto nuovo come potrebbe sembrare, ma che piuttosto risulti anche esso un antico corso d’acqua "ripristinato". Infatti una spedizione archeologica francese diretta dall’esploratore Henri Lhote ha scoperto nel Sahara centrale il letto disseccato di un antico fiume assai più lungo e ricco d’acqua del Reno o della Loira.

La domanda che sorge spontanea è se vi fosse, nelle idee di Herman Sörgel, una sia pur remota possibilità di realizzazione; se non fossero cioè solamente dei bellissimi progetti che parrebbero usciti da un romanzo di fantascienza di Jules Verne, dove il capitano Nemo o qualche altro sognatore-scienziato padroneggiano con invidiabile sicurezza e impeccabile precisione le forze della natura, ma qualcosa di possibile, di concreto, di umanamente realizzabile. A tali interrogativi, che in molti si sono posti, è possibile dare risposte diversificate, a seconda del punto di vista che si adotta e del concetto che si possiede circa ciò che è tecnicamente possibile, astraendo però dai molti fattori imprevisti e imprevedibili che sempre si frappongono ai più ambiziosi e complessi disegni umani, sovente agendo come il classico granello di sabbia capace d’inceppare una macchina di proporzioni colossali. È certo che non pochi, nei primi decenni del secolo scorso, guardarono con notevole interesse ai grandiosi progetti dell’ingegnere tedesco, mostrando di non considerarli affatto assurdi o utopistici; così come è certo che Hitler (e Mussolini) finirono per dare un giudizio negativo su di essi non per ragioni legate alla loro dubbia fattibilità, bensì per ragioni di opportunità politica e strategica e, nel caso del Führer tedesco, forse anche per un’oscura forma di gelosia "professionale". Anche Hitler infatti, che si riteneva un artista e un architetto, coltivava immensi progetti urbanistici e architettonici e sognava, fra le altre cose, di fare di Berlino la nuova Babilonia, la città imperiale dalle dimensioni gigantesche e dalle architetture altrettanto gigantesche, con viali larghissimi ed immensi edifici, tali da far impallidire tutte le capitali che si erano mai viste nel corso della storia. E l’eventuale fama di Sörgel, il cui nome sarebbe stato per sempre associato alla nascita di una nuova geografia, avrebbe messo in ombra la sua, rimpicciolendo agli occhi del pubblico le sue realizzazioni.

Pare che nessuno, o pochi, allora, si siano posti un’altra domanda, e cioè quali costi avrebbe avuto la realizzazione della diga di Gibilterra e la creazione dei due immensi laghi del Congo e del Ciad, con l’eventuale sbocco dell’Ubanghi-Chari nel Mediterraneo, nonché l’abbassamento di cento o duecento metri della superficie del Mediterraneo, non solo sul piano economico e politico, ma anche ecologico e ambientale. Oggi che abbiamo visto morire il più vasto lago dell’Asia, quello d’Aral, e vediamo agonizzare uno dei maggiori laghi africani, il Ciad, possiamo valutare meglio costi e benefici di opere d’intervento ambientale come la radicale modifica del corso dei fiumi: perché i fiumi sono la vita, ma la deviazione del loro corso può significare la morte per un numero incalcolabile di piante, animali ed esseri umani. Anche a ciò dovrebbero pensare gli ingegneri dalle grandi ambizioni; e se non ci pensano, dovrebbero farlo amministratori, politici e uomini di cultura.

Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by NastyaSensei from Pexels

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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