
Il crimine più odioso della modernità: la distruzione dell’innocenza infantile
21 Giugno 2016
Pensieri d’una notte di mezza estate
22 Giugno 2016Parigi, 18 luglio 1830, festa di San Vincenzo, nel convento delle Figlie della Carità di san Vincenzo de’ Paoli, al numero 140 di Rue du Bac. È notte e tutti dormono. Una giovane di ventiquattro anni, Zoe Labouré, (1806-1876), che prenderà il nome di Caterina dopo la pronuncia dei voti, è entrata come novizia in quel luogo, contro la volontà del padre – che ha già visto entrare nella stessa Compagnia femminile un’altra figlia e non vorrebbe privarsi anche di lei – ma con l’aiuto del fratello e della cognata, i quali hanno deciso di assecondare la sua vocazione.
Nella capitale francese fa caldo e si respira aria di rivoluzione, che scoppierà, infatti, pochi giorni più tardi; ma gli echi del mondo giungono ovattati, lontanissimi, dietro le fresche mura del convento, immerso nel silenzio e nella preghiera. Caterina non riesce a dormire. Quel giorno, la direttrice delle novizie, suor Marta, ha tenuto alle giovani una istruzione sulla devozione ai Santi e specialmente alla Madonna, e lei si è coricata con un fortissimo, struggente desiderio di vedere la Signora celeste. Quando infine si addormenta, ha compiuto un gesto insolito: ha inghiottito una piccolissima reliquia, un pezzettino della cotta di San Vincenzo, formulando voti ardenti affinché il santo le conceda la grazia di vedere la Vergine Maria, quella notte stessa.
Ed ecco, mezz’ora prima della mezzanotte del 19 luglio, una voce la chiama nel silenzio della sua cella: Suor Labouré!, per ben due volte. Non può essere stato un sogno: Caterina dormiva ed è stata quella voce a risvegliarla; una voce infantile, come di un bambino piccolo. Ella si tira su, scosta la cortina del letto e vede un Fanciullo biancovestito, dell’apparente età di quattro o cinque anni, che la invita a seguirlo nella Cappella e le assicura che la Madonna la sta aspettando. La ragazza è abbastanza lucida da formulare immediatamente un pensiero molto pratico e umano, dettato dal buon senso: se si alzerà per recarsi alla Cappella, le altre suore la sentiranno e troveranno la cosa ben strana; ma il Fanciullo, senza bisogno che lei formuli questa perplessità con le parole, la rassicura, dicendole di star tranquilla, perché l’ora è avanzata e tutte dormono profondamente.
Caterina non ha più dubbi o esitazioni, si veste e scende in Cappella, dove si inginocchia nel presbiterio, mentre il Fanciullo le rimane accanto, ritto in piedi. È perfettamente sveglia e lucida, non si è mossa in uno stato di sonnambulismo: e, poiché ancora non succede nulla, si trova a pensare, di nuovo, che le suore vigilatrici, passando, prima o poi finiranno per accorgersi della sua presenza. Dunque, sta calcolando il trascorrere dei minuti e non è per niente in uno stato di estasi che le toglie le coordinate spaziali o temporali; sa dove si torva e perché. A un tratto, il Fanciullo la riscuote, dicendole: Ecco la Madonna; eccola che arriva! Caterina fa per voltarsi e già sente avvicinarsi un fruscìo leggero, come prodotto da una morbida veste di seta: poi la Santissima Vergine entra nel presbiterio, proveniente dalla tribuna, e va a posarsi sui gradini dell’altare, in cornu Evangelii, dal lato ove si legge il Vangelo.
Per un momento, Caterina pensa che si tratti di Sant’Anna, alla quale appare in tutto simile, tranne che nel volto; ma il Fanciullo ripete: Ecco la Madonna!, e la giovane capisce che è proprio lei, la Signora che aveva così intensamente desiderato di vedere. Quello che provò allora suor Labouré, nemmeno lei stessa fu mai capace di descriverlo: fu una di quelle esperienze che eccedono le possibilità della parola umana. Si stava concretizzando l’evento più importante della sua vita. Altri incontri sarebbero seguiti con Maria Vergine, nei mesi seguenti; e ne sarebbe derivato un culto particolare, quello della Medaglia miracolosa. Esistono molti libri e articoli su questo argomento, per cui non ci spingeremo oltre: è una storia molto nota, e, per chi desidera approfondirne la conoscenza, non c’è che l’imbarazzo della scelta. A noi, in questa sede, basta avere rievocato l’inizio delle apparizioni miracolose di Rue du Bac, e soprattutto quel fruscìo come di seta.
È un particolare interessantissimo, d’un realismo estremo. A quale simulatore, a quale esaltato, a quale sonnambulo, sarebbe mai venuto in mente di descriverlo? Quale falsa veggente si sarebbe fatta venire in mente un simile dettaglio, invece di passare subito a descrivere l’apparizione di Maria? Il senso della vista è, fra tutti, il più immediato, il più pregnante: la parola stessa "visione" rimanda immediatamente a qualcosa che si è visto, o che si è creduto di vedere. Ma, se la cosa non fosse stata vera; se si fosse trattato di mera immaginazione, di fantasticheria, in buona o in cattiva fede: a chi sarebbe venuto in mente di ricordare un fatto che coinvolge il senso dell’udito, e che lo coinvolge in maniera così lieve, quasi impalpabile? Si potrebbe immaginare un rumore più delicato, più attutito, del fruscìo prodotto da una veste di seta, indossata da qualcuno che si muove in una stanza? Umanamente parlando, si sarebbe portati a credere che Caterina avrebbe dovuto udire, innanzitutto, un rumore ben più nitido: quello dei piedi della nuova venuta, sul pavimento della Cappella silenziosa. Invece no. La Madonna, più che camminare, sembra essere arrivata sfiorando la terra; e, più che sedere sui gradini dell’altare, sembra essersi posata sopra di essi. L’unico rumore da lei prodotto, prima di parlare, è stato il fruscìo della sua veste. E Caterina ha udito quel fruscìo prima di vederla; anzi, è stato proprio quel fruscio che l’ha indotta a voltarsi.
Il fruscìo prodotto da una fronda mossa dal vento, il fruscìo di un uccello che si sposta fra i rami d’un albero, il fruscìo dell’acqua di un torrente tranquillo, che scorre e lambisce la vegetazione della riva, a una certa distanza da noi: sono tutti suoni delicati e discreti, quasi delle carezze per l’udito della persona in ascolto. Ma il fruscìo di una veste di seta è quanto di più dolce, di più grazioso, di più aereo sia dato immaginare nell’ambito dei suoni percepibili da un orecchio umano, con la sola eccezione delle note di una melodia; le quali, però, sono il prodotto di un suono che nasce dall’artificio dell’uomo, non dalla natura.
Caterina è talmente rapita dalla sua visione, che, inginocchiata sui gradini, spontaneamente posa le proprie mani sulle ginocchia della Madonna, la quale le rivolge la parola con soavità materna e le rivela di volerle affidare una importante missione fra gli uomini, dalla quale ricaverà molta sofferenza, ma anche una grandissima consolazione. Migliaia, milioni di persone si sentiranno portate a una speciale devozione per la Madonna di Rue du Bac e porteranno al collo la Medaglia miracolosa, realizzata secondo le istruzioni ricevute da Caterina Labouré nel corso della seconda apparizione, il 27 novembre successivo; e vi cercheranno conforto spirituale durante l’epidemia di colera che infierì a Parigi due anni dopo, nel 182. Sul recto della Medaglia, Maria schiaccia la testa al serpente, mentre dalle sue mani scaturiscono dei raggi di luce, e compare la scritta (in francese): O Maria, concepita senza peccato originale, pregate per noi, che ricorriamo a voi. Sul verso, circondati da una corona di dodici stelle, vi sono due cuori: uno, coronato di spine, è il Sacro Cuore di Gesù, dispensatore di grazie (secondo la promessa fatta da Gesù stesso a santa Margherita Maria Alacoque 1647-1690); l’altro, trafitto da una spada, è il Cuore Immacolato di Maria; inoltre vi sono due iniziali, una M, di Maria, e una I, di Jesus, che s’intersecano a formare una traversa, simbolo di unione, e la croce, simbolo della prova. E si deve notare, peraltro, che il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria, dopo lunghe dispute, verrà solennemente proclamato dal Magistero della Chiesa, ad opera di Pio IX, con l’enciclica Ineffabili Deus, soltanto l’8 dicembre del 1854, cioè qualche anno prima delle apparizioni di Lourdes a Bernadette Soubirous, ma ben ventiquattro anni dopo le apparizioni di Rue du Bac a Caterina Labouré.
E tutto ha avuto inizio da quel fruscìo nel silenzio della notte, come di una veste di seta, prima ancora che la novizia avesse fatto in tempo a scorgere con gli occhi Colei che era entrata nella Cappella della Casa madre delle Figlie della Carità. Qui c’è un grande mistero; un mistero che non si può penetrare con lo strumento della ragione, ma che chiede di essere accolto con umiltà e con fede, come ciò che non appartiene alla dimensione dell’umano, ma del soprannaturale. I mistici sorridono, quando qualcuno chiede loro su che cosa fondino la loro certezza nell’esistenza di Dio e nella intercessione dei Santi e della Madonna, e quali prove possano addurre. No, non hanno particolari prove da addurre: loro hanno visto e hanno sentito. A chi verrebbe in mente di chiedere a un geografo su quali prove egli fondi la sua certezza nell’esistenza dell’America? L’America, basta prendere un aereo, o imbarcarsi su una nave, e la si può vedere, la si può percorrere.
In America, tuttavia, chiunque ci può andare; e chiunque, ad ogni modo, può vedere le fotografie satellitari che mostrano quel continente, per cui è impossibile dubitare della sua esistenza. Della fede, invece, si può dubitare: se no, che fede sarebbe? Non sarebbe fede, sarebbe conoscenza. Ma delle cose di Dio, gli uomini possono avere solo una conoscenza indiretta, una conoscenza, per così dire, indiziaria. Vi sono numerosi indizi, sparsi ovunque, così nelle pieghe della vita quotidiana di ciascun essere umano, come nelle vicende della grande storia: la storia dei popoli, delle nazioni, delle civiltà. Cento indizi, mille indizi, un milione d’indizi, comunque, non saranno mai abbastanza, per chi ha deciso di non credere, di non vedere, di non udire. Se gli uomini fossero obbligati a credere, la fede non sarebbe più tale, e il libero arbitrio sarebbe spento. In tal caso, gli uomini non sarebbero altro che delle marionette nelle mani del loro Creatore. Egli poteva farli tutti buoni, tutti santi; e poteva impedire, in tal modo, che compissero il male, e che lo infliggessero ad altri, magari a dei poveri innocenti: ma, in tal caso, l’uomo non sarebbe stato che un servitore di lusso, non una creatura fatta a immagine di Dio.
Il fruscìo della veste di seta, udito da Caterina Labouré, quella notte, a Parigi, in Rue du Bac, ha rappresentato una di quelle esperienze che rafforzano gli indizi del divino, che dischiudono uno spiraglio sul mistero dell’Infinito. Nella nostra povera vita, fatta d’imperfezione, debolezza, rammarico, sete di Verità e di Assoluto che mai trova pieno appagamento, accadono, talvolta, simili prodigi: che una porta si socchiuda, e un fascio di luce penetri entro la semioscurità nella quale, viviamo abitualmente, muovendoci a tentoni. È come se un soffio di eternità penetrasse nell’aria chiusa e stagnante d’una casa decrepita, e un palpito di vita sfiorasse le ragnatele pendenti dai muri e i vecchi mobili, coperti da un fitto strato di polvere. Sono esperienze privilegiate, che capitano non quando le vogliamo noi, ma quando e come piace a Dio. Con quale criterio ciò accada, è un mistero nel mistero. La frequenza relativa delle apparizioni soprannaturali a dei bambini (La Salette, Lourdes, Fatima, e, se sarà confermata, Medjugorje) o a delle persone umili e semplici, sprovviste di cultura o fornite d’una cultura decisamente modesta (suor Faustina Kowalska, ad esempio, aveva frequentato appena due anni di scuola elementare, prima di entrare in convento) fa pensare che l’innocenza e la semplicità siano degli elementi propizi, più del sapere universitario o delle cariche prestigiose, quand’anche si trattasse dei vertici della Chiesa. In ogni caso, è inutile che tentiamo di capire, di analizzare, di spiegare: lo Spirito soffia dove vuole; e le vie del Signore non sono le nostre vie, ma seguono una logica che a noi sfugge interamente.
Il segreto più prezioso, comunque, pare che sia l’umiltà. Le anime umili sono chiamate a vedere Dio, i Santi e la Madonna, ben più delle anime superbe: basta rileggersi le parole di Gesù stesso (Matteo, 18, 1, 10): In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: "Chi dunque è più grande nel regno dei Cieli?". Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: "In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei Cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei Cieli. […] Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro Angeli nel Cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei Cieli.
E sempre Gesù, in un’altra occasione, aveva esclamato (Matteo, 11, 25-27): Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così ti è piaciuto. Ogni cosa mi è stata data in mano dal Padre mio; e nessuno conosce il Figlio, se non il Padre; e nessuno conosce il Padre, se non il Figlio e colui al quale il Figlio voglia rivelarlo.
E qui c’è tutto il mistero della fede. Chi vuole delle prove, dimostra di non aver fede in ciò che non si vede. Ancora Gesù, rivolto all’apostolo Tommaso, dopo la Risurrezione, ha detto (Giovanni, 20, 29): Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che crederanno pur non avendo visto.
Caterina Labouré, quella notte, credeva, credeva con tutta se stessa, ancor prima di aver visto, ancor prima d’aver udito quel fruscìo. Certo, si può dare una "spiegazione" di tipo scettico, e dire: Ha creduto sin troppo; si è suggestionata; e ha finito per vedere e per udire ciò che la sua stessa mente sovreccitata ha prodotto. Padronissimi, gli scettici, di pensarla così. Troppo intelligenti, appunto: e la ragione umana, quando pretende di spiegare i Misteri divini, cade nell’assurdo o nel grottesco…
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