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A chi dà fastidio il crocifisso a scuola?

A chi dà fastidio il crocifisso nelle aule scolastiche, e perché?

Prima di tentare di rispondere, ricordiamo che le risposte alle domande dipendono non solo dal genere delle domande, ma anche dal modo in cui queste vengono formulate.

Proviamo a formulare la domanda di cui sopra in un’altra maniera, molto più "politicamente corretta"; ad esempio questa: Il crocifisso a scuola è contrario al principio della laicità dello Stato? Scommettiamo che, posta in questi termini, la domanda troverebbe una facile risposta sul piano giuridico: sì, tale presenza è contraria alla laicità dello Stato; e tutto quel che si può sperare, se si desidera che il crocifisso, nonostante tutto, rimanga appeso alla parete sopra la cattedra, è di trovare un tribunale civile che si adoperi a mettere una pietosa foglia di fico sulle pudenda dalla laicité democratica e giacobina, offesa da quel simbolo religioso che sa tanto di Medioevo, oltre a rappresentare uno sgradevole memento della condizione umana, irta di sofferenze e destinata alla morte fisica.

Cominciamo col dire che non c’è una legge che prescriva di esporre il crocifisso nelle aule scolastiche italiane. Esistono due regi decreti, uno del 1924, l’altro del 1928, che raccomandano di esporlo, rispettivamente, nelle scuole elementari e in quelle medie; ma non si parla esplicitamente né degli asili, né delle scuole superiori o delle università. Nondimeno, la consuetudine era quella di esporlo, accanto al ritratto del Re (e, dal 1946, del Presidente della Repubblica); sebbene il Concordato del 1929, rivisto nel 1984, non ne facesse esplicita menzione. Nel 1988 e nel 2006 il Consiglio di Stato, interpellato, ha espresso parere favorevole al mantenimento di quanto stabilito dai due regi decreti e ha sostenuto che la laicità dello Stato non è sminuita dalla esposizione del crocifisso, il quale, nella nostra cultura, è simbolo non solo di pace e fratellanza, ma anche di garanzia dei diritti della persona e, quindi, dello stesso principio di laicità, inteso come rispetto e tutela di tutte le opinioni religiose.

Tanto non è bastato, nel 2002, ad una signora italiana di origini finlandesi e domiciliata in Veneto, una certa Soile Tulikki, la quale, da Abano Terme (provincia di Padova), ha sollevato la questione del crocifisso nelle aule scolastiche frequentate dai sui figli, chiedendone la rimozione., in quanto sarebbe lesivo dei sentimenti degli studenti non cattolici. Il Tribunale Amministrativo Regionale, investito della faccenda, dapprima ha cercato di scaricare la patata bollente, rivolgendosi alla Corte costituzionale, la quale, però, ha rispedito la causa al mittente; sicché, letteralmente costretto ad esprimersi in prima persona, nel 2005 ha sentenziato in senso sfavorevole alla querelante. Questa, lungi dal ritenersi soddisfatta, si è allora rivolta ad una istanza superiore per avere "giustizia", niente di meno che alla Corte europea per i diritti dell’uomo; da cui ha ricevuto piena soddisfazione, perché la Corte europea, con una sentenza del 2009, ha riconosciuto la fondatezza della sua richiesta e ha condannato l’Italia, rea di non rispettare le opinioni dei fanciulli assisi sui banchi di scuola, i loro sentimenti e quelli delle loro famiglie, una multa di 5.000 euro "per danni morali": cifra che non rappresenta certo un grave danno finanziario per lo Stato italiano, ma che suona come un sonoro ceffone impartito dagli irreprensibili e integerrimi signori di Strasburgo, ove ha sede la Corte europea, ad uno Stato così barbaro e troglodita da imporre un obsoleto simbolo del cattolicesimo alle nuove generazioni, turbando i loro sonni laici e aconfessionali con fastidiose immagini evocanti chissà quali scene raccapriccianti di Giudizio universale e di peccatori puniti nelle fiamme eterne. Il quale Stato, pur così arretrato e troglodita, non si è dato per vinto e ha fatto a sua volta ricorso contro la severa sentenza, ottenendo che venisse ribaltata, nel 2011, da una nuova sentenza che assolveva pienamente l’Italia, in quanto non esistono prove del fatto che l’esposizione del crocifisso eserciti effettivamente un condizionamento sugli alunni. Una foglia di fico, dicevamo: perché, se il principio della laicità statale deve essere assoluto, allora aveva ragione la signora.

E adesso torniamo a fare la domanda in termini schietti e diretti, così come la farebbe non un laicista arrabbiato e mosso da sentimenti anti-cristiani, ma come la farebbe qualsiasi persona di buon senso, purché non ottenebrata da pregiudizi illuministi e massonici: dal momento che siamo in Europa, e precisamente in Italia, e non in Arabia Saudita, o in Israele, o in India; dal momento, cioè, che siamo in un Paese di antichissima civiltà cattolica, e non islamica, o giudaica, o induista, il quale si è storicamente configurato, anzi, come centro del cattolicesimo stesso: a chi e per quale ragione dà tanto fastidio la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche?

Ma prima di dare una nostra risposta, vediamo come affronta la questione un manuale di Storia e Geografia per il biennio delle scuole superiori, scelto a caso (Dorotea Cotroneo, I luoghi della storia, Milano, Sansoni, 2014, vol. 2, pp. 146-148):

Nel 1861, con lo Statuto Albertino, la religione cattolica è riconosciuta come religione di Stato. La presenza della massima autorità cattolica all’interno del territorio italiano, però, procura continue ingerenze reciproche tra Stato e Chiesa. Solo con i Patti Lateranensi del 1929 si giunge a un accordo con cui la Chiesa cattolica rinuncia, in cambio di un contributo finanziario dello Stato, al potere temporale esercitato sul proprio territorio, ma conserva il privilegio d veder riconosciuto il cattolicesimo come religione di Stato.

Nel 1948 la Costituzione tratta la materia in modo contraddittorio. Per un verso, infatti, vieta ogni forma di discriminazione basata sulla religione (art. 3) e riconosce l’uguaglianza di tutti i credi religiosi. Per un altro, tramite l’articolo 7, assorbe i Patti Lateranensi in cui la religione cattolica è definita religione di Stato e quindi privilegiata rispetto alle altre. La questione risolta nel 1984, quando una modifica dei Patti, condivisa tra Stato e Chiesa, elimina definitivamente il riferimento alla religione cattolica come religione di Stato e riscrive di conseguenza i rapporti tra i due enti.

Tale innovazione è stata resa possibile proprio dall’articolo 7, in quanto rimette ai Patti Lateranensi la definizione dei rapporti e delle relazioni tra Stato e Chiesa, senza però rendere il loro contenuto parte integrante della Costituzione. Di conseguenza, le due istituzioni possono, di comune accordo, modificare i Patti, senza con questo dover cambiare la Costituzione.

IL PRINCPIO DI LAICITÀ. Lo Stato e la Chiesa cattolica, secondo quanto afferma l’articolo 7, "sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani". Una tale affermazione serve a suggellare il reciproco riconoscimento delle due autorità, ma anche a sottolineare che Stato e Chiesa agidcono su piani distinti e sono per questo nettamente separati.

Ciò equivale a dire che la Repubblica non fa propria nessuna morale religiosa, considerandola estranea all’ordine dello Stato.

Tale posizione sancisce un altro principio essenziale della Costituzione, vale a dire la laicità. Contrariamente allo Stato clericale, lo Stato laico non abbraccia alcuna confessione religiosa, anche se — come aggiunge l’articolo 8 — le definisce tutte "egualmente libere davanti alla legge". Per lo Stato, cioè, tutte le religioni sono uguali e per questo vanno analogamente tutelate. Tale uguaglianza si esprime in due modi:

1) nella libertà concessa a ogni religione di aprire luoghi di culto e di organizzarsi in totale autonomia, incontrando come unico limite il rispetto delle norme costituzionali (una religione non può, ad esempio, praticare riti in grado di mettere a repentaglio il diritto alla salute o di chiedere agli studenti in età dell’obbligo di non frequentare la scuola);

2) nella possibilità per ogni religione di stringere intese con lo Stato per regolare, analogamente a quanto avvenuto per la Chiesa cattolica con i Patti Lateranensi, i rapporti reciproci tra le due entità.

LA DOMANDA: IL CROCIFISSO IN CLASSE È CONTRARIO ALLA LAICITÀ DELLO STATO? La risposta corretta a questa domanda è "in teoria sì, anche se al’atto pratico può essere considerato un simbolo incapace di creare condizionamenti". Questa, almeno, è la risposta fornita dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, chiamata a giudicare sul ricorso di una signora italiana nata in Finlandia, che chiedeva di rimuovere i crocifissi dalle aule scolastiche frequentate dai figli, giudicandoli incompatibili con la libertà di pensiero e con diritto a un’educazione conforme alle convinzioni religiose dei genitori.

In realtà, nel 2009 la Corte dette ragione alla signora. Soltanto ne processo di appello del 2011 ha modificato il proprio pensiero stabilendo che la presenza del crocifisso nelle scuole non viola i diritti umani, in quanto non esistono elementi sufficienti per provare influenza sugli alunni del simbolo della religione cattolica. In pratica, lo Stato che sceglie di affiggere un crocifisso, non perde la sua laicità, in quanto di per sé la semplice affissione non può essere considerata un indottrinamento, né paragonata all’attività didattica degli insegnanti.

A nostro modo di vedere, il male non sta nella sentenza di primo grado della Corte europea, ma nel principio stesso dalla laicità, benché esso non sia più difeso nemmeno dai cattolici: tanto è vero che nel 1984, quando il vecchio Concordato fu riesaminato, dalle due parti contraenti, mediante l’accordo di Villa Madama, e parzialmente modificato, il Vaticano, nella persona del Segretario di Stato, Agostino Casaroli, non si oppose alla eliminazione di qualsiasi riferimento al cattolicesimo quale "religione di Stato" della Repubblica italiana. Craxi, insomma, fece quel che né Cavour, o Crispi, o Giolitti, avevano osato fare, ma nemmeno Mussolini: tirò un colpo di spugna su duemila anni di cultura cattolica italiana, e fece come se lo Stato italiano non avesse niente a che fare con la tradizione religiosa dei suoi abitanti. E aveva ragione, dal suo punto di vista. Un Paese serio deve essere coerente.

In Francia, il crocifisso a scuola è stato rimosso da più di un secolo: lo fece la Terza repubblica, ai primi del Novecento, nel contesto della generale offensiva anti-religiosa tesa ad affermare l’assoluta laicità dello Stato. Ragion per cui, nelle scuole francesi, una apposita legge, voluta dall’ex Presidente Nicolas Sarkozy, ha vietato di indossare il burqa alle studentesse islamiche di stretta osservanza; e la Corte dei diritti umani, con una sentenza del 2014, l’ha assolta dall’accusa di violazione dei diritti medesimi, sostenendo che la proibizione del velo integrale non lede né il diritto alla libertà di religione, né il rispetto dovuto alla vita privata delle persone. Nella Repubblica italiana di Pulcinella, invece, quella scaturita nel 1945 dalla liberazione/conquista anglosassone, e che degli Anglosassoni è rimasta una colonia per tutti questi decenni, le cose vanno un po’ diversamente: si preferisce salvare capra e cavoli, aver la moglie ubriaca e la botte piena, per non urtare le suscettibilità di nessuno. Una normativa generale per dare il contentino ai laicisti, e una serie di eccezioni procedurali per rassicurare i credenti: fatta la legge, trovato l’inganno. Tanto per non smentire mai la propria fama di machiavellici furbetti.

Il male, ripetiamo, non sta nelle sentenze di questo o quel giudice, ma nel principio stesso. Si dirà che esso è uno pei principi fondanti della modernità: ed è vero. La modernità è male. La modernità è la negazione delle radici, della tradizione, dell’identità, dell’anima dei popoli, dei valori spirituali; è appiattimento, omologazione, massificazione, alienazione, spoliazione di ogni patrimonio storico e ideale. La modernità è il deserto che avanza; deserto riempito dai beni di consumo che la Coca-Cola, la Ford e la Monsanto si affrettano a riempire di ogni sorta di delizie usa e getta, per la gioia di adulti e di piccini. Altro che crocifisso: dovrebbero esporre, sui muri di tutte le aule scolastiche, l’immagine del vero patrono del consumismo oggi imperante: il Diavolo. Il consumismo, infatti, viene dal Diavolo: esso fa leva su quanto c’è di peggio, di più basso, di più sordido, nelle cantine oscure e maleodoranti dell’anima umana: l’egoismo, l’avarizia, la cupidigia, la brama, il narcisismo, la superbia, l’invidia, la lussuria.

Crediamo che da ciò scaturiscano logicamente le risposte alle due domande iniziali: il crocifisso dà fastidio ai massoni (e ai radicali), in primo luogo, desiderosi d’instaurare in terra la nuova religione dell’Uomo, anzi, dei Diritti dell’Uomo (perché, per costoro, un uomo senza diritti riconosciuti a norma di legge è come un consumista senza un quattrino in tasca da spendere: ossia un poveraccio che non vale nulla e del quale non importa a nessuno); a tutti quanti odiano il cristianesimo, in secondo luogo; a quanti vorrebbero sostituire alla croce la mezzaluna, in terzo luogo. Ma c’è una quarta categoria che si unisce a queste prime tre, e non è la meno zelante nella sua imbecillità: quella dei cattolici "progressisti" e di sinistra, smaniosi di farsi vedere più laicisti dello Stato laico…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Tingey Injury Law Firm su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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