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C’è chi vuol cambiare la storia: il caso di Leo Frank

La Anti Defamation League of B’naï B’rith, oggi nota semplicemente come A.D.L., Lega Anti Diffamazione, omettendo l’imbarazzante filiazione dal B’naï B’rith, è stata fondata negli Stati Uniti nell’ottobre del 1913 da Sigmund Livingston, con una duplice motivazione. Da un lato, quella di

garantire la giustizia e un equo trattamento nei confronti di tutti i cittadini indistintamente e mettere fine una volta per tutte alla discriminazione e alla ridicolizzazione ingiusta e iniqua contro qualsiasi minoranza o gruppo di cittadini,

e quindi parrebbe voler patrocinare qualunque buona causa, anche di persone non appartenenti all’ebraismo. Dall’altro, quella di combattere

l’antisemitismo e tutte le forme di pregiudizio negli Stati Uniti e all’estero, il terrorismo internazionale, sondando le radici dell’odio, sostenendo la libertà davanti al Congresso degli Stati Uniti d’America, porgendo aiuto delle vittime del pregiudizio, sviluppando programmi educativi e di servizio; di essere infine una risorsa pubblica per il governo, i mezzi di comunicazione di massa, le forze dell’ordine e il pubblico, tutti rivolti verso l’obiettivo finale che è quello di contrastare e ridurre l’odio [cit. da Wikipedia],

e quindi porsi al servizio della sola causa ebraica, con la pretesa non solo di riparare ai torti subiti dagli ebrei, ma anche di curare il male alla radice, reprimendo, ovvero ottenendo la repressione dalle autorità competenti dei singoli Stati, di qualunque "crimine d’odio" o azione dettata dal pregiudizio nei confronti degli ebrei.

In genere si pone la nascita della A.D.L. in diretta relazione con la vicenda giudiziaria di Leo Frank, un ricco ebreo di Atlanta, in Georgia, condannato all’impiccagione per un odioso delitto sessuale ai danni di una minorenne, poco più di una bambina, May Phagan, ritrovata stuprata e uccisa. La sola cosa certa è che la vicenda Frank si era conclusa più di due anni prima, nell’agosto del 1915, con il linciaggio del condannato, dopo che una incomprensibile sentenza aveva commutato la pena di morte in quella dell’ergastolo. Ebbene, settanta anni dopo, nel 1983, il caso è stato riaperto dalla magistratura statunitense dietro le pressioni della A.D.L., finché non è stato concesso un provvedimento di grazia, ovviamente retroattivo e ovviamente ininfluente sul piano pratico, non però su quello giuridico, sulla base del fatto che a Leo Frank era stata negata la giustizia, visto che le autorità non avevano saputo proteggerlo dalla folla infuriata. Il fatto che non avrebbe potuto inoltrare l’ennesimo ricorso, nonostante avesse goduto di tutta l’assistenza legale possibile perché il B’nai B’rith aveva raccolto una grossissima somma per sostenere le spese processuali, non è bastato a mettere in chiaro il punto essenziale: che Frank era e restava colpevole e che la sua brutale uccisione non modifica d’un millimetro questa verità processuale, confermata in tutti i diversi gradi di giudizio, uno dopo l’altro. Eppure il perdono concesso alla memoria di Frank dallo Stato della Georgia è stato interpretato dall’A.D.L. come l’equivalente di una sentenza di assoluzione, o quanto meno come l’equivalente di una sentenza di non colpevolezza, il che non è affatto vero, ma si è imposto come una nuova verità processuale e storiografica. Ecco, ad esempio, cosa si può leggere nella versione italiana di Wikipedia:

L’omicidio di Mary Phagan venne commesso ad Atlanta il 26 aprile 1913; responsabile del delitto venne ritenuto Leo Max Frank il quale, a seguito della controversa commutazione della pena di morte in ergastolo, venne poi linciato; il fatto attirò l’attenzione dell’opinione pubblica in tutti gli Stati Uniti d’America in particolare per le accuse di antisemitismo. Successivamente la condanna venne ritenuta dagli storici un errore giudiziario. (…)

La maggior parte dei ricercatori storici concorda sul fatto che fu con molta probabilità Conley, il principale accusatore di Frank, il vero colpevole. Il caso ha ispirato varie produzioni multimediali tra cui film, miniserie televisive e libri. A seguito della sua condanna venne fondata l’Anti-Defamation League. Dopo la sua morte si ebbe un rinnovato sviluppo del Ku Klux Klan in tutto il profondo Sud.

Come si vede, il perdono concesso alla memoria di Leo Frank, sebbene non equivalga per niente a un’assoluzione, sembra segnare una svolta da parte del giudizio storico sull’intera vicenda, accreditando l’idea che Frank sia stato condannato a morte perché ebreo e quindi per un pregiudizio antisemita. Tesi assai difficile da sostenere, visto che l’altro possibile colpevole era un operaio negro, condannato a sua volta alla prigione per aver partecipato al tentativo di trafugare il cadavere; e a quei tempi, in Georgia, si sa che fine avrebbe fatto un negro, giudicato da una giuria bianca, se vi fosse stato anche solo il più piccolo sospetto circa la sua colpevolezza nell’omicidio di una tredicenne bianca. E certo un negro non avrebbe potuto permettersi di pagare i migliori avvocati, oltre a ricevere il sostegno di una parte della stampa, come invece accadde a Leo Frank.

La vicenda è stata rievocata dal saggista e giornalista Emmanuel Ratier (Avignone 1957-Organ l’Aven 2015), nel suo libro Misteri e segreti del B’naï B’rith (titolo originale: Mystères e Secrets du B’naï B’rith. La plus importante organisation juive internationale, Paris, Facta, 1993; traduzione dal francese Centro Librario Sodalitium, Verrua Savoia, 1999, pp. 198-200):

Leo Frank, Presidente del capitolo del B’naï B’rith di Atlanta, dirigeva un’officina di stilografiche, la National Pencil Company, di cui era importante azionario. Sotto un’apparenza di rispettabilità, egli conduceva una vita dissoluta e faceva abitualmente venire nel suo ufficio, nelle ore extra-lavoro, delle prostitute che sodomizzava (cosa attestata sotto giuramento da due di loro). Mary Phagan, un’adolescente di tredici anni, lavorava nello stabilimento di Leo Frank e ne diffidava. Più volte ella aveva riferito a persone a lei vicine che Leo Frank le aveva fatto delle proposte. Il 26 aprile 1913 fu ritrovata all’interno dell’officina violentata sadicamente e selvaggiamente strangolata.

Frank fu condannato al capestro il 25 agosto 1913 da una giuria di dodici persone, tra cui un ebreo, al termine di un processo durato cinque settimane e che all’epoca tutti giudicarono equilibrato, regolare ed equo. Una delle testimonianze principali fu quella di un dipendente nero, Jim Conley, che confessò di aver ricevuto da Frank 200 dollari per trasportare il cadavere e farlo sparire. Lui pure fu condannato ad una pena detentiva. L’avvocato di Frank fece per tre volte appello alla Corte suprema di Giustizia della Georgia e due volte alla Corte Suprema degli Stati Uniti. Ogni volta il verdetto fu identico: Frank era colpevole. Bisogna sapere che nel 1914 il Presidente del Congresso Ebraico americano, l’avvocato Louis Marchall, lasciò il suo lavoro e si consacrò esclusivamente, per più di un anno, al caso Frank. La comunità ebraica si era mobilitata ed aveva largamente finanziato la sua difesa (furono raccolti più di 100.000 dollari). Marchall rappresentò Frank davanti alla Corte Suprema dove l’appello venne rigettato per sette voti contro due. Quando ogni ricorso fu abbandonato, la sentenza di morte fu commutata in detenzione a vita, il 21 giugno 2015, dal Governatore dello Stato, un avvocato che contava tra i suoi clienti la dotta di Frank. La popolazione dello Stato fu scandalizzata. Il 16 agosto un gruppo di vigilantes penetrò nella prigione di Stato di Milledgville, s’impadronì di Frank e lo impiccò a Marietta. Al momento del linciaggio, Frank non si protestò innocente. Interrogato dai suoi rapitori circa l’eventuale colpevolezza di Jim Conley domandò solamente Dio di perdonarlo.

La riapertura del caso, regolarmente respinta, avvenne nel 1982 in seguito a un’inchiesta di un giornale locale di sinistra, il "Nashville Tennesean". Alonzo Mann, un dipendente dello stabilimento di Frank, che aveva allora ventiquattro anni e che aveva testimoniato al processo, affermò, settant’anni dopo i fatti, di aver visto Jim Conley trasportare il corpo e che era stato lui l’autore del crimine. Lo stesso Conley aveva ammesso di aver ricevuto 200 dollari da Frank per trasportare il cadavere. Come abbiamo visto, Conley era stato condannati ed era morto nel 1962. Mann dunque, benché testimone al processo, avrebbe tenuto il silenzio per settant’anni, a sentire lui per timore di rappresaglie, anche se l’operaio nero era stato condannato ed era morto. Pare probabile che nel 1913, epoca in cui i neri erano sfortunatamente dei perfetti capri espiatori, la giuria, dopo cinque settimane di sedute, avrebbe preferito condannare il nero piuttosto di Frank, a patto che fosse sussistito il minimo dubbio. Fu questa l’opinione della camera delle grazie e delle liberazioni condizionali della Georgia che, il 22 dicembre 1983, stimò che la testimonianza di Mann non cambiava niente e che pertanto la sentenza rimaneva immutata: "Dopo un esame esauriente e una seduta durata numerose ore, è stato impossibile concludere in maniera decisiva circa la colpevolezza o l’innocenza di Leo Frank".

L’11 marzo 1986 la stessa Camera, che in seguito riconobbe di aver avuto, dopo il 1983, tre incontri fuori aula con tre organizzazioni ebraiche (il B’naï B’rith, l’A.D.L. e la Federazione ebraica di Atlanta), si smentì totalmente, a partire dalle stesse prove del 1983: "In riconoscimento dell’incapacità dello Stato di proteggere la persona di Leo Frank e di permettergli quindi di continuare i suoi appelli legali… l’Ufficio accorda il suo perdono a Leo Frank". È quindi a causa del suo linciaggio che Leo Frank è stato graziato settantun anni dopo i fatti. Un verdetto di circostanza dal momento che il caso era disperato non avendo più Frank possibilità d’appello. "The A.D.L. Bulletin" (aprile 1986) conferma con soddisfazione che la Camera delle grazie ha accorato il suo perdono "secondo l’istanza di una nuova petizione dell’A.D.L., del Congresso ebraico americano e della Federazione ebraica di Atlanta". Da allora L’A.D.L. e il B’naï B’rith affermano che l’innocenza di Frank è stata riconosciuta, cosa assolutamente falsa. Il direttore per il sudest americano dell’A.D.L., Stu Lewengrub è arrivato a chiedere la rimozione dal Campidoglio dello Stato della Georgia della statua di Tom Watson, procuratore all’epoca del processo Frank e divenuto in seguito uno dei più celebri Senatori della Georgia.

Riassumendo. Leo Frank era, ai termini della sentenza, un pervertito sessuale che abusava delle donne di strada e si approfittava delle operaie che lavoravano nella sua fabbrica, oltre che uno spietato assassino. Però era anche un uomo facoltoso e un pezzo grosso della comunità ebraica, nonché, ciò che più conta, il presidente della loggia del B’naï B’rith di Atlanta. Per strapparlo dalle mani della legge ci fu una grandiosa mobilitazione, anche di tipo finanziario, da parte della comunità ebraica, e il Presidente del Congresso Ebraico statunitense, che era un famoso avvocato, Louis Marchall, rinunciò a un anno di lavoro e di guadagni per dedicarsi anima e corpo alla difesa del suo correligionario. Il fatto che settanta anni dopo il caso sia stato riaperto e che sia stata ottenuta un’ambigua e irrituale sentenza di perdono dallo Stato della Georgia, dimostra la potenza e, al tempo stesso, l’incrollabile memoria della A.D.L., la quale evidentemente considera suo compito riabilitare qualsiasi ebreo sia stato condannato da non ebrei, e ciò anche molto tempo dopo la sua morte, sbandierando sempre e comunque il vessillo della lotta contro i pregiudizi antisemiti. Come è avvenuto nella vicenda del capitano Dreyfuss, nella Francia della Terza Repubblica, pare che la linea del B’naï B’rith sia quella di sostenere che gli ebrei sono sempre innocenti e che se una giuria li condanna, non può che trattarsi di una sentenza sbagliata, ispirata da sentimenti di odio. Non si sa cosa abbiano pensato i negri di Atlanta, quando hanno visto gettare un’accusa tanto infamante su un membro della loro comunità; non ci risulta che abbiano montato campagne di stampa, né chiesto alla magistratura la riapertura del caso, adducendo un pregiudizio razziale ai loro danni. Quanto alla memoria incrollabile di quei signori, basti pensare che i rabbini avevano lanciato, il cherem (anatema) contro la città di Trento dopo il famoso processo del 1475, e che esso venne tolto solo nel 1965, dopo il dietro-front della Chiesa cattolica che nel 1965, nella persona dell’arcivescovo Gottardi, cancellò il culto di San Simonino, decise la rimozione della sua salma dalla chiesa che la ospitava e la soppressione della processione in suo onore. Il cherem era rimasto operante, quindi, per quattrocentonovanta anni. E pazienza se proprio uno studioso ebreo, Ariel Toaff, ha affacciato l’ipotesi che le accuse di omicidio rituale rivolte agli ebrei non fossero poi così campate in aria, almeno in linea di principio. Ma per dire certe cose bisogna essere ebrei: altrimenti, si è antisemiti…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Tingey Injury Law Firm su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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