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I misteri del lago Vostok, antichi 20 milioni d’anni, ci invitano a una maggiore umiltà concettuale

Nel 1936 apparve negli Stati Uniti d’America il romanzo «At the Mountains of Madness» («Alle montagne della follia», impropriamente tradotto, in italiano, semplicemente con «Le montagne della follia»), scritto, in realtà, cinque anni prima, nel 1931, e già rifiutato da numerose case editrici, finché l’autore non si adattò ad apportarvi significative modifiche.

Questi, Herbert Phillips Lovecraft, oggi riconosciuto come uno dei più grandi autori di quel particolare ramo della fantascienza che sconfina nel terrore, forse il più grande dopo Edgar Allan Poe – era, all’epoca, un personaggio conosciuto da pochi, ma avvolto da un alone quasi leggendario: estremamente schivo e riservato, era soprannominato "il solitario di Providence", dal nome della sua città natale, capitale del Rhode Island, ove egli trascorse quasi tutta la sua povera esistenza: uscendo la notte e dormendo — e sognando intensamente — di giorno.

Il libro apparve quasi "in articulo mortis": Lovecraft, infatti, si sarebbe spento, povero e sconosciuto ai più, in una stanza d’ospedale, a metà marzo dell’anno successivo (era nato nel 1890), appena quarantaseienne. In esso si narra la drammatica vicenda di alcuni scienziati i quali, durante alcune ricerche geologiche nell’Antartide, scoprono, all’interno di una caverna situata ai piedi d’una immane catena di montagne — da cui il titolo dell’opera -, alcune creature aliene congelate nel ghiaccio, probabilmente anfibi, ma che avevano saputo creare, in tempi remotissimi, una civiltà superiore, con edifici giganteschi dalle pareti interne decorate con lunghe e strane incisioni, che parevano rappresentare la storia della loro razza, quella degli Antichi, e gli sforzi fatti per colonizzare la Terra, difendendosi, nel medesimo tempo, dalla continua minaccia d’invasione da parte di un’altra razza di mostruose creature aliene, gli Shoggoth, costituiti da enormi masse di plasma nerastro, e rappresentanti le forze tenebrose e incontrollabili del Caos e della Morte.

Queste cose ci vengono in mente allorché apprendiamo che gli scienziati russi, sin nel febbraio del 2012, hanno annunciato di essere riusciti a perforare, per uno spessore di quasi quattro chilometri, lo scudo ghiacciato che ricopre il continente antartico nel punto in cui, sotto la massa gelata, giace un lago d’acqua dolce, vasto ben 15.690 kmq. e profondo da 400 a 1.000 metri, rivelato dagli strumenti di prospezione tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta del ‘900: il Lago Vostok, posto a 77° di latitudine Sud e a 105° di longitudine Est, dunque nella parte orientale dell’Antartide. La cosa più sconvolgente è che il lago, come subito si era immaginato, sembra contenere delle forme di vita: e poiché esso giace "ibernato" da qualcosa come 20 milioni di anni, si può bene immaginare quale significato avrebbe una eventuale conferma per le prospettive della biologia e delle teorie relative alla presenza della vita nell’Universo. Infatti le condizioni ambientali esistenti nel Lago Vostok, sopra il quale si è formata un’ampia "bolla d’aria", sono abbastanza simili a quelle esistenti su Europa, un satellite ghiacciato di Giove: se vi è vita nel lago sotterraneo dell’Antartide, potrebbe esserci anche su questo corpo celeste.

Insomma: il Vostok è un lago preistorico, rimasto nelle condizioni che esistevano sulla Terra in lontanissime epoche geologiche; e, se fosse confermata la presenza di pesci e crostacei, ma soprattutto di un batterio non corrispondente ad alcun gruppo già noto, le conseguenze sarebbero enormi per la nostra visione scientifica del mondo. Alcuni dei batteri rinvenuti potrebbero essere dovuti a una contaminazione accidentale; ma che dire della sequenza genetica anomala nel DNA?

Riportiamo qui di seguito un articolo a carattere divulgativo apparso a suo tempo su di un mensile italiano (Aldo Falchi, «Perduto 20 milioni di anni fa»; da: «Misteri in cronaca», Roma, gennaio 2014, pp. 28-29):

«C’è un lago a pochi passi dal Polo Sud che sta facendo impazzire gli scienziati. È il cosiddetto Lago di Vostok, fu scoperto negli anni ’70, è lungo 250 km., largo 50 e profondo 1.000 metri. Questo immenso specchio d’acqua non è visibile, perché è coperto da uno strato di ghiaccio di oltre tre chilometri. Sotto il colossale spessore gelato, però, c’è acqua corrente, identica a quella di un lago normale, ma in più, assolutamente pura, incontaminata e "vecchia" di 20 milioni di anni!

40 LITRI D’ACQUA

Com’è possibile che, alla temperatura dell’Antartico, che spesso raggiunge i 90° sotto zero, e sotto 3 mila metri di ghiaccio, si possa trovare acqua come quella che esce dai nostri rubinetti? La spiegazione è affascinante. La temperatura dell’acqua, che verso l’alto è freddissima, in alcuni punti più profondi arriva intorno ai 30 gradi. In quella zona del mondo, infatti, la crosta terrestre è più sottile e le zone vulcaniche sottostanti scaldano l’acqua. Gli scienziati, poi, hanno capito che, tra la superficie del lago e il ghiaccio, c’è anche una sacca d’aria. Ma come si fa ad arrivare fino a questo "mondo perduto"? I russi, dopo venti anni di trivellazioni, ce l’hanno fatta: hanno bucato i tre chilometri di spessore ghiacciato con trivelle specifiche, sono arrivati alla superficie del lago e hanno raccolto circa 40 litri d’acqua che ora stanno analizzando.

LA VITA È POSSIBILE

Se le acque sono incontaminate da 20 milioni di anni, tutto quello che si trova sul fondo appartiene a quell’epoca. Insomma, siano sulla porta di un mondi dimenticato, tutto da scoprire. E potremmo trovare anche un’incredibile sorpresa: forse lì ci sono forme di vita sconosciute. Ci sono di certo batteri, ma c’è la possibilità di scoprire anche organismi più complessi. E c’è un motivo: l’aria che sta tra il ghiaccio e il pelo dell’acqua si muove, crea venti, nuvole e perfino piogge e temporali. Si potrebbe dunque trattare di un ambiente buio, ma non per questo spopolato, anche perché l’ambiente sembra ricco di ossigeno e quindi la vita potrebbe essersi sviluppata tranquillamente. Ma bisogna stare attenti, perché siamo di fronte a un ambiente delicatissimo e, se mettiamo in contatto il mondo del lago con il mondo in cui viviamo, i nostri batteri potrebbero danneggiarlo irreparabilmente. Per questo, i russi ci hanno messo 20 anni, perché hanno scavato il ghiaccio in modo da evitare qualunque contatto tra il "sopra" e il "sotto".

I FRAMMENTI DI UN’ASTRONAVE

C’è infine il punto interrogativo. In una zona di centinaia di chilometri a sud-ovest del lago, i ricercatori hanno riscontrato un fenomeno magnetico molto forte e non sono riusciti fino a darsi una spiegazione. Ma, sul fondo del lago, hanno rilevato la presenza di un elemento metallico circolare o forse cilindrico, con contorni ben definiti. Si tratta di una massa misteriosa, enorme e, per ora, non identificabile. È possibile che sia proprio questa inspiegabile struttura metallica a causare l’anomalia magnetica? Forse, ma c’è anche la possibilità, che proprio sul fondo del Lago di Vostok, giacciano i resti di un’immensa astronave sepolta tra i ghiacci. Sarà vero? Basterà aver pazienza ancora per poco e poi lo scopriremo…»

Anche se il batterio dal DNA "anomalo" non è stato ancora identificato, la sua presenza fa pensare a una fauna superiormente organizzata, perché è più facile immaginarlo nell’intestino dei pesci, anziché vivente direttamente nelle gelide acque di un lago sotterraneo dell’Antartide: di che cosa si sarebbe alimentato, altrimenti? Si aggiunga che la zona del Lago Vostok, fino a circa 35 milioni di anni fa, era verdeggiante e sgombra dai ghiacci: dunque non stupisce affatto che ospitasse delle forme di vita superiore. Sono stati trovati anche batteri già noti, simili a quelli che vivono nella pelle umana; di nuovo, dunque, è difficile, se non impossibile, immaginare dei batteri "sciolti".

I misteri del Lago Vostok appaiono dunque, sotto ogni punto di vista, quanto mai affascinanti per la scienza: si tratta di un’occasione, pressoché unica, di gettare uno sguardo all’indietro nel tempo, fino a venti milioni d’anni fa: ma non, come avviene solitamente nel campo della paleontologia, attraverso i resti fossilizzati di forme di vita da gran tempo scomparse, bensì con la prospettiva di trovare delle forme di vita in atto — i batteri essendo, di fatto, pressoché immortali in senso biologico – e, come se non bastasse, diverse da tutte quelle finora conosciute; senza contare le implicazioni che ciò avrebbe riguardo alla probabilità che altri corpi celesti, come — appunto — il satellite gioviano Europa — ospitino la vita, cosa fino ad oggi da molti supposta, da quasi tutti ammessa, ma, allo stato attuale, non dimostrata concretamente.

Il problema è che i quaranta litri d’acqua prelevati dal Lago Vostock contengono anche abbondanti residui del lubrificante adoperato per far funzionare le lunghissime trivelle, con le quali gli scienziati russi sono riusciti ad aver ragione dell’immenso strato di ghiaccio ed a raggiungere, con incredibile tenacia e pazienza, la superficie del lago stesso. Non potrebbe darsi che i batteri trovati ed osservati abbiano questa provenienza, diciamo così, alquanto plebea, invece di essere i rappresentanti d’una nobile fauna indigena? Questo spiega la prudenza degli scienziati russi: come ha detto Serghej Bulat, ricercatore dell’Istituto di Fisica nucleare di San Pietroburgo, bisogna accertarsi che non vi sia stata una fatale contaminazione dei campioni prelevati dalle acque del lago, prima di tirare delle conclusioni che potrebbero rivelarsi affrettate. In realtà, sembra che ci sia stata una "fuga" di notizie, sicché la stampa è venuta a conoscenza di una notizia che i ricercatori russi avrebbero preferito vagliare bene, prima di comunicarla ufficialmente alla comunità scientifica internazionale. Ad ogni modo, Bulat ha confermato che è stato trovato anche un DNA del tutto sconosciuto ai database e, dunque, virtualmente "nuovo". E che dire di quella misteriosa, enorme massa metallica di forma circolare? Ciò apre degli scenari assolutamente sorprendenti, degni — appunto — di un romanzo di fantascienza, o di un film come «La cosa da un altro mondo» (girato nel 1951 da Christian Nyby) , anche se, lo speriamo, non altrettanto inquietanti e minacciosi.

Da parte sua, uno scienziato inglese, David Pierce, del British Antarctic Survey di Cambridge, non si è detto per nulla stupito della presenza di organismi viventi nelle acque del Lago Vostok, dal momento che la vita è capace di adattarsi alle condizioni più estreme, pur di conservarsi («Oubliette Magazine.com», marzo 2014). Di fatto, organismi unicellulari possono vivere sia alle più basse temperature, sia a quelle più alte, in una maniera che ha veramente dell’incredibile: la verità è che non dovremmo mai avere troppa fretta di definire una cosa "impossibile", anche solo dal punto di vista naturale (per non parlare, naturalmente, del soprannaturale, che richiede un altro ordine di ragionamento), perché la natura è sempre in grado di stupirci e di sorprenderci in flagranza di pigrizia mentale. Siamo troppo abituati a costruirci degli schemi mentali e ad immaginare che esistano delle rigide categorie di fatti, i quali "debbono" per forza rientrare in quegli schemi; in pratica, capovolgiamo il giusto ordine concettuale, perché non sono le cose che devono adattarsi alle nostre convinzioni, ma è vero l’esatto contrario.

La nostra colossale ignoranza nei confronti del reale incomincerebbe forse a diminuire, nel momento in cui assumessimo un abito mentale di maggiore umiltà e di più chiara consapevolezza del nostro limite. La conoscenza certa (la "epistème" dei filosofi greci), ossia la scienza, non va intesa come un dato che si acquisisce una volta per tutte, ma come una progressiva approssimazione dalla semplice opinione ("doxa") VERSO LA CERTEZZA: verso, e non FINO ALLA CERTEZZA; perché la certezza vera e piena, assoluta, non fa parte del sapere umano. Il sapere umano è sempre relativo e, quindi, sempre imperfetto: tende verso la perfezione; ma tendere verso una cosa non equivale ad averla raggiunta. Possiamo forse spiegare come Teresa Neumann abbia vissuto per 36 anni senza assumere cibo, né bevande, ma "alimentandosi" solo con la comunione sacramentale? Oppure possiamo spiegare — spiegare razionalmente, scientificamente — come San Francesco d’Assisi e Sant’Antonio da Padova, la venerabile Maria de Agreda e San Giovanni Bosco, siano stati protagonisti del fenomeno della bilocazione, per attestato di decine di testimoni? No, non lo possiamo. Quante cose crediamo di sapere e di poter spiegare: e, invece, non lo possiamo affatto…

Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by NastyaSensei from Pexels

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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