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Dietro il dogma geologico dell’attualismo traspare la coda di paglia dell’evoluzionismo darwiniano

Così si esprime il paleontologo francese Eric Buffetaut, Direttore di Ricerca presso il Centre national de la Recherche Scientifique, nel suo saggio «La misteriosa fine dei dinosauri» (titolo originale: «La fin des dinosaures», Paris, Fayard, 2003; traduzione italiana di Flavia Capitani, Roma, Newton & Compton Editori, 2004, pp. 113-122):

«L’articolo pubblicato nel 1980 dai ricercatori di Berkeley [ossia Walter Alvarez e la sua équipe] destò subito un enorme interesse e provocò le reazioni più disparate, dall’entusiasmo al rifiuto più totale, dallo scetticismo asl’incredulità. Oggi, a vent’anni di distanza, l’interesse è in patte scemato 8anche se non si è ancora giunti a un parere unanime), ma negli anni Ottanta le polemiche furono molto vivaci (ciò non deve comunque stupire perché si tratta di un segnale di buona salute della comunità scientifica). […]

È normale che ogni nuova teoria sia accolta con un certo scetticismo, non fosse altro perché ci obbliga a rimettere in discussione le nostre convinzioni. Per rimanere nell’ambito delle scienze della Terra non mancano esempi di teorie che hanno impiegato anni o decenni per affermarsi. Basti pensare alla deriva dei continenti teorizzata nel 1912 da Alfred Wegener, accettata e condivisa solo negli anni Sessanta, meglio nota come tettonica a placche. L’ipotesi avanzata dagli Alvarez e dalla loro équipe non poteva che generare forti resistenze. Prima di tutto perché, ipotizzando un evento di natura catastrofica, si andava contro un secolo di attualismo e di uniformitarismo, e poi perché facendo appello a un evento di origine extraterrestre , si urtava un certo modo di pensare (spesso inespresso) secondo il quale la Terra era un sistema abbastanza chiuso, gestito in qualche modo da forze che operano nel resto dell’universo.

Nel primo caso non ci si può stupire: con la vittoria di Lyell ( e degli altri attualisti) verso la metà del XIX secolo, le catastrofi furono radiate dalla lista delle ipotesi plausibili per spiegare la storia del globo. Di fatto, il catastrofismo era considerato privo di valore scientifico, perché faceva appello a fenomeni anormali o addirittura soprannaturali. Abbiamo già osservato che il primo catastrofismo, quello di Cuvier, non aveva quel sostrato religioso che poi gli è stato attribuito, ma l’immagine che è rimasta nella mente di molti paleontologi e geologi è quella delle 28 creazioni di Alcide d’Orbigny, che dopo l’affermazione dell’evoluzionismo faceva solamente sorridere. Negli anni Ottanta, quindi, sia i paleontologi sia i geologi erano inseriti in un quadro intellettuale (sostenuto già da diversi decenni dall’insegnamento universitario) che non lasciava alcuno spazio agli eventi catastrofici: sia i fenomeni geologici sia l’evoluzione (e l’estinzione) erano visti come fenomeni lenti e graduali, su periodi di tempo estremamente lunghi,.

Il carattere dogmatico di questa teoria era chiaro: i fenomeni geologici lenti e di breve durata (come sismi o eruzioni vulcaniche) esistono, ma la loro influenza è limitata. Ora, la teoria da impatto meteorico attribuiva ad un evento unico, brutale e di breve durata, delle conseguenze devastanti, ovvero forniva la spiegazione di una delle più grandi estinzioni di massa mai avvenute sulla Terra. […]

Bisogna dire che anche il fatto di sottolineare un evento di origine extraterrestre non giocava a favore dell’ipotesi dell’impatto meteorico. La diffidenza di molti scienziati verso questo tipo di spiegazione era, in effetti, molto forte (e in una certa misura lo è ancora).[…]

Al di là di una legittima sfiducia verso le idee prive di una solida base scientifica,il problema era che tra la scienziati vi era una vecchia resistenza ad ammettere che dei fenomeni extraterrestri potessero influenzare il corso ella storia della Terra. Questa resistenza si è diffusa anche al di fuori dei circoli scientifici: in un editoriale del 2 aprile 1985 sull’estinzione dei dinosauri, il "New York Times" pensò di dare questo consiglio: "Gli astronomi dovrebbero lasciare agli astrologi la preoccupazione di cercare nelle stelle le cause degli eventi terrestri." […]

Nell’antichità, e poi nel Medioevo nessuno metteva in dubbio che le pietre potessero cadere dal cielo, e questi fenomeni erano visti come presagio di qualcosa che doveva avvenire. […] Con il Rinascimento arrivò anche lo scetticismo: il cielo non era un posto da dove potevano arrivare delle pietre. […]

Thomas Jefferson […] diede il suo parere sulla caduta di un meteorite nel dicembre 1807 a New England, di cui gli scienziati di Yale avevano già accertato l’esistenza. In questa occasione si dimostrò ancora una volta poco lungimirante,dichiarando di essere più disposto a credere che dei professori yankee potessero mentire piuttosto che ammettere che delle pietre potessero cadere dal cielo.[…]

Per quanto le meteoriti fossero ricercate, analizzate e classificate, la loro importanza a livello geologico, comunque, fu sottostimata per lungo tempo. La vecchia abitudine di separare nettamente i fenomeni terrestri da quelli dello sazio resistette a lungo, in maniera più o meno cosciente. […]

Ormai non c’è più alcun dubbio che la Terra sia occasionale bersaglio di oggetti extraterrestri di grandezza tale da generare crateri di grandi dimensioni, anche se non ci sono documenti scritti diretti che testimonino questi eventi. D’altra parte, un evento relativamente recente, anche se non ha lasciato crateri in superficie, ci rende noti i possibili effetti degli oggetti extraterrestri. Il 30 giugno 1908 una misteriosa "palla di fuoco" esplose nell’atmosfera e devastò un’immensa regione remota della Siberia, la Tunguska, abbattendo gli alberi in un raggio di 30 chilometri e producendo un’onda di shock atmosferico che fu registrata anche dai barometri di precisione disposti in Inghilterra. […]

Ancora oggi, l’idea che un fenomeno de genere [cioè la caduta di un grosso meteorite] possa esercitare un’influenza così notevole sulla storia della Terra e della sua popolazione, non è condivisa da tutti. Lo dimostrano chiaramente gli sforzi che sono stati fatti negli anni Ottanta per trovare alle anomalie geochimiche (iridio) e mineralogiche (quarzi) nel passaggio tra Cretaceo e Terziario, una causa strettamente legata alla Terra (vulcanica o di altro genere).

In conclusione, bisogna ricordare che ci fu una certa resistenza ad accettare una causa unica per l’estinzione di massa di quel periodo. In realtà […], la catena degli eventi che portò dall’impatto alle estinzioni non fu così semplice e, come sostengono molti scienziati, queste rappresentano un evento complesso con molteplici cause.

Nel suo libro "L’empreinte des dinosaures", del 1994, il paleontologo francese Philippe Taquette si esprime in questo modo:

"Dopo aver dominato la Terra per 155 milioni di anni e dopo una breve decadenza di qualche milione di anni, i celebri dinosauri scomparvero definitivamente alla faccia della Terra 66,4 milioni di anni fa, non per un’unica causa improvvisa e limitata nel tempo, ma più probabilmente per cause diverse, complesse e distribuite nel tempo."

Un’affermazione del genere è sicuramente più istintiva che ragionata, e spesso ritorna in occasione di conferenze dedicate al grande pubblico.»

Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by NastyaSensei from Pexels

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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