
E adesso, che fare?
30 Agosto 2020
Che ne è stato del quarto Comandamento?
1 Settembre 2020Mano a mano che la nostra società, e in verità non solo la nostra, prosegue, un girone dopo l’altro, la sua inarrestabile discesa all’inferno, con lo sfaldamento progressivo di tutto ciò che la teneva unita e ne assicurava la sopravvivenza, e con l’irruzione limacciosa di tutto il fango e la sozzura che la sta avvelenando a morte, una cosa appare sempre più evidente: i tempi che stiamo vivendo richiederebbero degli uomini dalla forte tempra, dalla mente chiara e dalla coscienza limpida nei posti di maggiore responsabilità, così come una nave sballottata da una terribile tempesta, per avere la possibilità di salvarsi, avrebbe bisogno di un capitano, un timoniere e dei marinai perfettamente preparatati e all’altezza della situazione. E invece, purtroppo, non è così; anzi, si ha la netta sensazione che chi occupa i posti di maggiore responsabilità, a cominciare dagli uomini di governo, non solo non spicca per nulla al di sopra del livello medio della popolazione, ma è decisamente al di sotto di tale livello, sia per onestà, sia per coraggio, sia per competenza (che ne sa di medicina il ministro Speranza? Che ne sa di agricoltura la ministra Bellanova? E di affari esteri, che ne capisce il ministro Di Maio, quello che s’immagina Matera nelle Puglie e la Russia nel Mar Mediterraneo?). La triste constatazione è che non solo non abbiamo gli uomini giusti al momento giusto, vale a dire nel momento più drammatico di una crisi senza precedenti, ma non li abbiamo neppure nel posto giusto. E il quadro sarebbe, se possibile, perfino più desolante, qualora ci mettessimo a esaminare settori quali il giornalismo, la magistratura (o meglio, il sistema Palamara), le docenze universitarie, e moltissimi medici della sanità pubblica, cominciando dai medici di base e dalle cosiddette guardie mediche, quelle che non sanno o non vogliono mai rendersi utili se, per caso, qualcuno si sente male di notte, e che, per dirla tutta fuori dai denti, a volte non riescono neppure ad esprimersi in un italiano che risulti comprensibile al disgraziato che si rivolge loro. Regnano un’enorme confusione e una macroscopica inadeguatezza complessiva; né lo scenario muta se dai livelli più alti della responsabilità sociale si scende verso quelli più bassi, fino ai più modesti impiegati dei pubblici uffici, agli assessori di un piccolo comune, ai sottufficiali dell’esercito, ai postelegrafonici d’un minuscolo ufficio ove il direttore è anche l’unico operatore, ai bidelli e ai custodi di una scuola o un palazzetto dello sport. Quanta impreparazione, quanto pressapochismo, quanta superficialità, quanta strafottenza è costretto a registrare il comune cittadino, tutte le volte in cui ha a che fare con essi; né si vergognano a dire a voce alta, con brutale franchezza: A me non importa nulla, basta che mi paghino! E i vigili urbani che si fanno timbrare da altri cartellino, o che scendono in mutande a timbrarselo, per poi tornare beatamente a letto? A me non importa nulla; basta che mi paghino! Questa è la loro filosofia di vita: basta che lo Stato paghi loro lo stipendio, anche se pessimamente guadagnato. Solo che lo Stato siamo noi, e a pagarli siamo noi, non una qualche entità invisibile e metafisica: li paghiamo con il nostro lavoro e il sudore della nostra fronte, attraverso le tasse esorbitanti che lo Stato ci impone.
Ora, premesso che l’emergenza attuale, sanitaria, politica economica e morale, ha portato i nodi al pettine e quindi ha semplicemente mostrato in piena luce ciò che restava un po’ in ombra, per cui, da questo punto di vista, dovremmo esserle addirittura grati, la domanda che dobbiamo farci è come siamo arrivati a questo punto. Come è successo che un popolo come il nostro, il quale avrà certo numerosi difetti, ma certo non manca d’intelligenza, sia venuto a trovarsi in una situazione così strana e quasi surreale: di scoprire, nel bel mezzo della tempesta, che il capitano è un traditore, pagato per condurre la nave al naufragio; che il nostromo è un pazzo; e che quasi tutti gli uomini dell’equipaggio sono degli ubriaconi, degli scansafatiche e degli attaccabrighe d’infimo livello, oltre che dei perfetti incompetenti, buoni per crociere tranquille sotto costa, con il mare liscio come l’olio e il sole che splende alto nel cielo, senza una nuvola a cercarla col cannocchiale. Come mai sono tutti molto, ma molto al disotto di ciò che le circostanze richiederebbero; come mai si trovano lì, in quei posti di maggiore o minore responsabilità; chi o cosa ha fatto in modo che le nostre vite e i nostri beni fossero affidati a mani così incapaci, così incoscienti, così avide e disoneste? Quale dio beffardo ci ha accecati, ci ha tolto la ragione e il sano discernimento, e ci ha indotti ad affidarci a gente simile, rendendoci gli zimbelli della nostra stessa stupidità e imprevidenza? Perché una cosa è certa: una parte di responsabilità l’abbiamo noi tutti. Se così non fosse, bisognerebbe pensare a una sortilegio, a un vero e proprio incantesimo: perché questi signori non sono mica atterrati sul nostro pianeta dalla costellazione di Alfa Centauri; vengono dalle nostre famiglie, dalle nostre scuole e università, dalla nostra amministrazione pubblica e dal nostro sistema giudiziario, dalle nostre parrocchie e dalle nostre associazioni, e noi li abbiamo messi là dove ora si trovano, o quantomeno abbiamo consentito che ciò avvenisse, accordando la nostra fiducia a coloro i quali hanno deciso di metterceli. Certo, sono stati selezionati male, sono stati scelti con dei criteri che nulla hanno a che fare con la serietà e l’efficienza professionale: che ci fa un Di Maio al ministero degli Esteri? O un Gualtieri a quello dell’Economia e delle Finanze? Di Maio ha fatto il venditore di bibite allo stadio e Gualtieri è stato relatore sulla costituzione del MES, alla quale ha contributo dalla prima ora, vale a dire dal 2011, l’annus horribilis di Mario Monti e dello spread a quota 537. Ora, non è detto che non si possa passare dalla vendita di bibite allo stadio alla direzione dei ministeri degli Esteri, con grande utilità pubblica e con piena soddisfazione dei cittadini: certo, però, che sarebbe un caso statisticamente rarissimo di merito venuto in luce per forza propria (in un Paese come il nostro, dove tutti i posti di rilievo sono blindati e super-raccomandati), e assurto alle vette della direzione statale per la palese e luminosa evidenza che s’impone da sé, in maniera inoppugnabile, con la sola forza dei fatti. Non è detto neppure che uno non possa lavorare alla creazione di una farraginosa mostruosità come il MES e poi, per una strana coincidenza voluta del destino, trovarsi nella posizione di ministro dell’Economia, senza con ciò lasciarsi influenzare o condizionare dai propri trascorsi e senza che nella sua azione di ministro entrino in gioco fattori diversi da una spassionata, oggettiva valutazione delle necessità finanziarie del proprio Paese: tuttavia anche questa, lasciatecelo dire, sarebbe una vera e propria rarità statistica, qualcosa di molto simile al famoso quadrifoglio trovato, chi sa come, nel bel mezzo d’un campo di trifoglio. La regola, infatti, dispiace dirlo ma è la cruda verità, vuole che un venditore di bibite allo stadio, se è molto, ma molto bravo, possa magari diventare il gestore di un chiosco, o perfino di un bar, ma non un buon ministro degli Esteri, specie se non sa neppure l’inglese, anzi se parla male lo stesso italiano, e se le sue conoscenze di geografia sono a dir poco scarse e imbarazzanti. E ciò sia detto con il massimo rispetto per il lavoro dei venditori di bibite, per i baristi e per tutti i piccoli commercianti di questo mondo: che a nessuno venga in mente di stravolgere le nostre parole in senso altezzosamente classista. Per la stessa ragione, è difficile, ma proprio molto difficile, immaginare che un comunista di vecchia data, ex dalemiano di ferro ed ex "giovane turco" sulla scia di Matteo Orfini, nonché un fautore del MES pur non essendo affatto un economista (è laureato in Lettere e professore di Storia), infine membro di una commissione di studio per gli "aiuti" alla Grecia (sappiamo quale razza di aiuti l’UE abbia fornito al popolo ellenico), una volta divenuto ministro dell’Economia, resista alla tentazione di fare di tutto affinché l’Italia chieda di accedere al miracoloso fondo salva-Stati. Sì, potrebbe capitare, ma è a dir poco improbabile: così come è improbabile che l’abbiano scelto quale ministro dell’Economia solo per la sua bella faccia e non per via di quei suoi antecedenti ultra-europeisti. Pensare che uno così farà del suo meglio per non chiedere l’accesso dell’Italia al MES, per rispetto a ciò che vuole la maggioranza degli italiani, è come pensare che un vampiro faccia di tutto per star lontano dalla gola delle sue prede: possibile, ma improbabile. Abbiamo sostenuto, in un recente articolo, che trovarci nelle mani di una classe dirigente d’incapaci, irresponsabili e disonesti è il risultato di un processo che si può sintetizzare nella formula di una ostinata, capillare selezione alla rovescia, ovvero una sistematica selezione dei peggiori, iniziata a partire dagli anni ’60 del Novecento e accelerata impetuosamente dall’inizio degli anni ’90, ossia in coincidenza con la nascita della cosiddetta Seconda Repubblica (dopo che il "sistema Palamara" di allora aveva distrutto la vecchia classe politica per tirare la volata alla sinistra, senza però riuscire a farla vince nemmeno quella volta). Ora è tempo di spingere l’analisi più a fondo.
Se ci mancano sempre gli uomini giusti ai posti giusti e nei momenti giusti, significa che la nostra società ha letteralmente perduto gli anticorpi e non è più capace di difendersi, neppure da se stessa, cioè dalla propria parte peggiore. Ciò sta a indicare che la nostra crisi attuale è, in primo luogo, una crisi di natura morale, spirituale e intellettuale: abbiamo perduto il senso etico, il senso del limite e la capacità di ragionare rettamente secondo verità. Ma come è potuto accadere? Secondo noi, questo fa parte di un piano preciso predisposto dell’élite mondiale di finanzieri massoni e satanisti, la quale, controllando gran parte dei governi e quasi tutta la stampa, la televisione e il cinema, oltre che l’industria dello spettacolo e della musica leggera, cioè tutti i luoghi ove si forma e si modella l’immaginario collettivo, sta favorendo deliberatamente la carriera delle persone più mediocri, e, nello stesso tempo, sta portando un attacco senza precedenti contro i luoghi ove si formano, o piuttosto si formavano, la coscienza morale, il senso professionale e lo spirito di servizio delle persone: vale a dire la famiglia, la scuola e la chiesa. L’élite è riuscita a mettere le mani sulla scuola e a penetrare nella chiesa, al vertice della quale ultima ha piazzato uno dei suoi servi più zelanti e sfrontati (a proposito di competenza e di vocazione: un ex perito chimico!), e quanto alla famiglia, la sta attaccando, calunniando, screditando da oltre mezzo secolo, instillando nei giovani il disprezzo e la rivolta contro il Padre e insegnando loro a soddisfare ogni desiderio e ogni capriccio, infischiandosene delle conseguenze e lasciando ricadere sugli altri il compito di rimettere insieme i cocci, se pure ciò sia possibile. L’attacco alla famiglia viene condotto su più fronti: sia direttamente, schizzando fango e veleno contro di essa per mezzo di canzoni, romanzi, opere teatrali, film, programmi televisivi, sia indirettamente, proponendo in sua vece il modello del cosiddetto libero amore, quello dell’omosessualismo e del transessualismo, il divorzio, l’aborto, l’affido facile dei bambini a coppie ideologicamente schierate contro di essa, nonché l’assunzione di droghe e stili di vita incompatibili con il senso di responsabilità richiesto a dei genitori. E se qualcuno pensasse che tutto questo è francamente eccessivo, che stiamo scivolando nel complottismo paranoico, che vediamo un disegno dietro a delle "normali" tendenze della cultura e della società contemporanea, domandiamo a chi ci facesse una simile obiezione di considerare attentamente, e con obiettività, se può considerarsi un caso che le produzioni cinematografiche, le case editrici, i premi letterari, i megaconcerti rock che attirano folle deliranti di migliaia e migliaia di giovani, battano sempre sullo stesso tasto: quanto fa schifo la famiglia naturale e quanto sono belli, invece, il libero amore, l’amore omosessuale, la sessualità promiscua, l’assunzione abituale di droghe, l’inclinazione verso la pedofilia (quest’ultimo tema, per ora, solo accennato, ma in vista di una prossima offensiva per il suo sdoganamento, secondo quanto teorizzato da Paolo Mieli: quel signore che mangiava in pubblico i suoi escrementi e quelli del suo cane) mentre le opere e i testi che presentano la famiglia naturale, formata da un uomo e una donna, sotto una luce positiva, o quantomeno di simpatia, sono ormai pressoché invisibili, se pure trovano qualche produttore o qualche editore disposto a prenderli in considerazione. Si pensi anche all’opera di omologazione e appiattimento attuata dalla scuola e dall’università: nei programmi didattici campeggiano le opere di Pirandello, Svevo, Moravia, le quali presentano il matrimonio come un’orribile camera della tortura; si parla solo dei film di Pasolini, Fassbinder, Almodovar, stracarichi di messaggi e allusioni pro-gay; si insegna che la psicanalisi freudiana, con la teoria aberranti del complesso di Edipo, l’odio del Padre e il desiderio incestuoso della madre, sono la parola definitiva della "scienza" sulla famiglia tradizionale. Gli scrittori e i registi che propongono una diversa visione sono censurati, ignorati, rimossi: di fatto, i giovani non li hanno mai neppur sentiti nominare. Tale è il veleno che viene inoculato loro sui banchi di scuola, là dove i genitori li credono al sicuro: quotidianamente, in dosi omeopatiche, finché il Potere li riduce ad essere ciò che voleva: dei perfetti cretini, tanto ignoranti quanto presuntuosi, certi soprattutto di una cosa: che è assurdo e patetico, per un ragazzo, pensare che il suo destino è nell’incontro con una brava ragazza, con la quale creare una famiglia; e altrettanto per la donna. Ecco perché ora ci accorgiamo che ci son venuti a mancare gli uomini giusti nei posti giusti: perché abbiamo coltivato, o consentito che fosse coltivato, un modello aberrante alternativo alla famiglia naturale; e che tutti i sani valori ad essa legati venissero disprezzati, derisi e calpestati. È da qui che dobbiamo ripartire, adesso, se vogliamo uscire dal vicolo cieco in cui ci siamo infilati…
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