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10 Febbraio 2020La ragione principale per cui la teoria della relatività di Einstein ha avuto un effetto destabilizzante sulla nostra visione del mondo risiede nel fatto che noi moderni ci siamo allontanati dalla visione ampia, armoniosa, comprensiva del finalismo cristiano (e greco) per fare posto a una visione ristretta, meccanicistica, disanimata, e perciò abbiamo dimenticato che il reale è più grande della nostra mente, e non siamo stati capaci di reggere l’impatto di una simile scoperta. In altri termini, una cultura spiritualmente preparata e matura avrebbe assorbito la teoria einsteniana e ne avrebbe tratto motivo di rafforzare la propria Weltanschauung; così come stanno le cose, invece, quella teoria ha messo in crisi tutte le nostre illusorie certezze e ha mandato a catafascio il bel castello di carte che la visione illuminista aveva costruito, sostituendolo al mondo reale. Del resto, non c’è altra spiegazione: se una società è solida sulle sue basi e se possiede una cultura spiritualmente evoluta, ci vuol altro che una nuova teoria scientifica, per quanto innovativa e per quanto sia qualcosa di più che una semplice ipotesi, per mandare in crisi tutte le certezze. Diremo di più: una tale società e una tale cultura non potranno mai produrre una scienza che finisca per mettersi in rotta di collisione con le basi di verità sulle quali ogni costruzione della civiltà necessariamente si regge. Si prenda a caso un qualsiasi libro di testo scolastico, un qualsiasi manuale di filosofia o di letteratura: si vedrà che tutti gli autori, nel capitolo dedicato ai primi anni del Novecento, citano l’affacciarsi della teoria della relatività di Einstein come un elemento che, dopo la scoperta delle geometrie non euclidee di Gauss, Bolyai e Lobacevskij, ha fortemente destabilizzato la visione del reale che la cultura positivista aveva accreditato. Infatti, quasi sempre, la troviamo accostata alle tendenze irrazionalistiche del pensiero, alla rivolta contro il positivismo, a Nietzsche, nonché al darwinismo, a Bergson, alle avanguardie, a Pirandello, a Kafka, al decadentismo, al dadaismo, al surrealismo, ecc. Insomma, è stata uno dei fattori che hanno messo in crisi la concezione razionalista, oggettiva e molto sicura di sé che gli scienziati e i pensatori della fine dell’Ottocento avevano creduto di stabilire, partendo da una linea ideale che inizia con Galilei e Newton e prosegue con le conquiste tecnologiche della rivoluzione industriale, con lo sviluppo incontenibile della chimica, con le ricerche nel campo della genetica e le scoperte — in verità sostenute da ipotesi più che da certezze — dell’evoluzionismo biologico.
Comprendere che la massa e l’energia sono nomi e aspetti diversi di una stessa cosa, e che non esiste alcuno spazio separato dal tempo, ma un’unica entità costituita dallo spazio-tempo; e comprendere che i confini tra l’uno e l’altro cadono quando ci si porta su ordini di grandezza molto superiori a quelli della nostra esperienza quotidiana, ha spalancato agli uomini una prospettiva del tutto nuova, che è parsa loro sconvolgente solo perché erano del tutto impreparati a recepire una semplice verità, che i cultori della philosophia perennis conoscevano da secoli ma dalla quale i filosofi moderni come Cartesio, e gli scienziati moderni, specialmente Newton, avevano fatto di tutto per allontanarli, imprigionandoli in una visione rigidamente meccanicista, nella quale perfino la luce è un fenomeno puramente corpuscolare. E la semplice verità è questa: esiste un livello di realtà nel quale ciò che qui e ora ci appare separato, è unito; ciò che ci appare come passato e futuro è un eterno presente; e se ciò che, con lo studio, l’esperienze e la riflessione, da misterioso diventa noto e razionalmente spiegabile, poi, proseguendo nello studio e nella riflessione, da chiaro ed evidente si fa di nuovo misterioso, sicché sapere qualcosa è credere di saper già tutto, ma l’intellegibile concreto sarà sempre solo una parte infinitesima dell’intelligibile totale, che risiede solamente in Dio. Ed ecco perché gli scienziati, sovente, sono così boriosi: hanno chiarito alcuni fenomeni, alcune strutture del pensiero, e ne traggono conclusioni sproporzionate, come se quella minuscola porzione di verità, peraltro sempre approssimata e sempre bisognosa di ulteriori studi e approfondimenti, li autorizzasse a ritenersi padroni e depositari di tutta la verità.
Ha scritto Gary Zukav ne La danza dei maestri Wu Li (titolo originale: The Dancing Wu Li Masters, 1979, 2001; traduzione dall’inglese di Massimo Patti, Milano, Corbaccio, 1995, 2004, pp. 196-198):
Non esiste uno spazio separato dal tempo. Massa ed energia sono differenti nomi di una stessa cosa. (…) La teoria speciale della relatività fornisce una fisica nuova e unitaria. Le misurazioni della distanza e della durata possono variare da una misura di riferimento all’altra, ma l’intervallo spazio-tempo fra gli eventi non cambia mai. Tuttavia, nonostante tutto, la teoria speciale della relatività ha un difetto. Si basa su di una situazione piuttosto non comune. La teoria speciale della relatività si applica solo a strutture di riferimento che si muovo uniformemente in relazione l’una all’altra. La maggior parte dei movimenti, sfortunatamente, in è né costante né idealmente uniforme. In altre parole, la teoria speciale della relatività è costruita su una idealizzazione. È limitata e ha come premessa la particolare situazione di uniformità del moto. Questo è il motivo per cui Einstein la chiamò "speciale", o ristretta. L’intuizione di Einstein era quella di costruire una fisica che fosse valida per TUTTE le strutture di riferimento, quelle che si muovono con un moto non uniforme (accelerazione e decelerazione) in relazione l’una rispetto all’altra, come quelle che si muovono uniformemente l’una rispetto all’altra. La sua idea era quella di creare una fisica che descrivesse gli eventi in termini di una struttura QUALSIASI di riferimento, indipendentemente dal suo movimento rispetto a qualsiasi atra struttura di riferimento. Nel 1915, Einstein riuscì a portare a termine la generalizzazione completa la sua teoria speciale. La chiamò teoria generale della relatività. (…)
La teoria generale della relatività ci mostra che la nostra mente segue regole differenti da quelle del mondo reale. Una mente razionale, basata sulle impressioni che riceve dalla sua prospettiva limitata forma delle strutture che poi determinano quello che liberamente accetterà e quello che non accetterà. Da quel momento in poi, indipendentemente da come il mondo reale veramente funzioni, questa mente razionale, seguendo le regole che si è autoimposte, cerca di sovrapporre al mondo reale la sua versione di come le cose debbano essere. Questo comportamento continua finché finalmente una mente da principiante grida forte: "Non è giusto. Quello che ‘deve essere’ non si sta verificando. Ho cercato ripetutamente di scoprire perché ciò non avviene. Ho esteso la mia immaginazione fino al limite ultimo per poter conservare la mia fede in ‘ciò che deve essere’. è arrivato il puto di rottura. Ora non ho altra scelta se non ammettere che il ‘deve’ in cui ho creduto non proviene dal mondo reale, ma dalla mia mente". Questo resoconto non è un’iperbole letteraria. È una descrizione concisa della più importante conclusione della teoria generale della relatività, dei mezzi attraverso i quali è stata raggiunta. La prospettiva limitata è la prospettiva della nostra razionalità tridimensionale e della sua visione di una piccola parte dell’universo (quella in cui siano nati). Le cose che ‘devono essere’ sono li idee della geometria. Le regole che governano linee rette, cerchio, triangoli, ecc.). La mente da principiante era quella di Einstein. La convinzione a lungi preservata era che queste regole governino, senza eccezione, la totalità dell’universo. Ciò che la mente da principiante di Einstein intuì, fu che tutto ciò esiste solo nella nostra mente. Einstein scoprì che alcune leggi della geometria sono valide solo in aree limitate dello spazio. Questo fatto le rende utili dato che la nostra esperienza è fisicamente limitata ad aree molto piccole dello spazio, come il nostro sistema solare. Tuttavia, qua do la nostra esperienza si espande, incontriamo sempre maggiori difficoltà nel cercare di imporre queste regole a tutta l’estensione dello spazio. Einstein fu la prima persona a rendersi conto che le regole geometriche che si applicano a una piccola parte dell’universo vista da una prospettiva limitata (come la nostra) non sono universali. Ciò gli diede la libertà di vere l’universo in un modo in cui nessuna persona l’aveva mai visto prima. Ciò che vide è il contenuto della teoria generale della relatività.
Einstein non si proponeva di provare nulla circa la natura della nostra mente. Il suo interesse era la fisica. "La nostra nuova idea — scriveva — è semplice: costruire una fisica che sia valida per tutti i sistemi coordinati". Il fatto che egli EFFETTIVAMENTE dimostrò qualche cosa di importante sul modo in cui strutturiamole nostre percezioni è indicativo di un’inevitabile tendenza verso la fusione tra la fisica e la psicologia.
Voler assumere la prospettiva della nostra mente, che è sempre e comunque una prospettiva limitata, come se fosse una prospettiva universale; e quindi presupporre che i fenomeno e gli enti dell’universo debbano comportarsi secondo ciò che può concepire il nostro pensiero, e null’altro: ecco il peccato di superbia di ogni illuminismo, di ogni positivismo e ogni scientismo; ed è un peccato che ha deformato sia la nostra immagine del mondo sia le nostre stesse strutture di pensiero. La mentalità scientista è penetrata così a fondo che ne sono stati contagiati perfino quelli che avrebbero dovuto più di ogni altro resisterle, possedendo già una visione assai più ampia e comprensiva, che non si contrappone alle verità della scienza, ma le inserisce armoniosamente in un tutto più ampio, nel quale esse trovano la loro giusta collocazione. Che è quella di spiegare certi fenomeni della natura (a titolo temporaneo: tutte le verità della scienza sono soggette a revisione) e non già di stabilire cosa è vero e cosa è falso, cosa è possibile e cosa è impossibile in senso assoluto. In senso assoluto, la scienza è quel ramo del sapere che si occupa di spiegare i fenomeni naturali, cioè una minuscola frazione del reale, perché al di sopra della natura c’è il soprannaturale, che è fatto di realtà non percepibili coi sensi ordinari e quindi irraggiungibili dalla scienza ordinaria. È quindi evidente che per esplorare la dimensione dell’assoluto, l’uomo ha bisogno di un altro tipo di scienza: che è sempre scienza, anzi, è più che mai scienza, cioè ricerca razionale e documentata di fatti secondo criteri oggettivi, ma scienza che si pone tanto al di sopra di quella ordinaria, applicata alla natura, quanto il cielo è al di sopra della terra. Ora, se le geometrie non euclidee ci mostrano che esistono altre geometrie, dove le rette parallele possono anche incontrarsi, e la teoria della relatività generale ci dice che esistono altre dimensioni del reale, ove lo spazio è inseparabile dal tempo e il passato dal futuro, ebbene la coscienza che il Tutto di cui siamo parte eccede non solo quantitativamente, ma anche qualitativamente i nostri strumenti, razionali e materiali, per indagarlo, deve condurci ad ammettere, con Shakespeare, che ci sono più cose in cielo e in terra di quante ne possa sognare tutta la nostra filosofia. E quanto avrebbe potuto progredire la nostra conoscenza del reale, se avessimo perseverato nella scia della philosophia perennis invece d’imboccare, al bivio della modernità, la via della scienza materialista, meccanicista, riduzionista e perciò asfittica e meschina di Cartesio e Newton. Quante cose avremmo capito, che ora ci sono di scandalo, se solo avessimo accordato la scienza con la metafisica, il pensiero strumentale e calcolante col pensiero contemplativo e spirituale, l’esprit de géometrie con l’esprit de finesse, come diceva Pascal! Oggi saremmo così progrediti rispetto a ciò che effettivamente siamo, quanto l’uomo lo è rispetto alla scimmia. Di che cosa non saremmo capaci, unendo la visione scientifica dei fenomeni materiali con la visione spirituale della grande tradizione metafisica?
E invece abbiamo imboccato l’altra strada; e ci siamo aggrappati ad essa così convulsamente, che, non appena intravediamo qualche squarcio di luce, ne siamo talmente spaventati da volerlo subito nascondere. Per fare un solo esempio. Un archeologo trova un’impronta di piede umano, per la precisione di un mocassino, dunque d’un uomo civilizzato, in una roccia molto antica: troppo antica secondo la sua mappa mentale. Allora affida quella roccia al geologo, e ne chiede il responso; questi dichiara che la roccia è antica non meno di tre milioni di anni. Impossibile!, esclama l’archeologo: nessun reperto umano risale così addietro nel tempo, perché la razza umana è molto, ma molto più recente. E la roccia in questione finisce dimenticata in chissà quale armadio di un museo di scienze naturali. Se poi emergono un secondo, un terzo, un quarto reperto che paiono indicare tutti la stessa cosa, e cioè che uomini che calzavano mocassini se ne andavano in giro per il mondo milioni d’anni prima del sorgere delle prime civiltà, anche questi vengono ignorati, perfino nascosti, affinché le certezze della scienza (provvisoria) non vengano messe in crisi. Sempre la stessa paura: quella di essere destabilizzati. Se poi si passa all’ambito della religione, la situazione è analoga. Oggi perfino i teologi e i sacerdoti arretrano di fronte a ciò che contrasta con i dogmi della scienza materialista, meccanicista e riduzionista ufficialmente al potere (accademico). Gesù moltiplica i pani e i pesci? Assurdo, impossibile; lo dice perfino il papa: Gesù non li ha moltiplicati, li ha divisi equamente tra la folla: proprio il contrario di ciò che attestano, con particolari realistici, i Vangeli. La morte di Gesù poi — dice sempre il papa — è storia; la sua resurrezione invece è "solo" una questione di fede…
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