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Cos’è la ragione, cos’è la fede e come vanno insieme

Si sente parlare da ogni parte del contrasto fra fede e ragione, lo si pone addirittura come l’atto di fondazione della civiltà moderna; e, come tutte le cose ripetute all’infinto, tale affermazione ha acquistato lo statuto di verità evidente. Ma lo è davvero? È vero che la fede e la ragione non possono che entrare in contrasto, essendo per loro natura oppositive, perlomeno se si tratta della vera ragione e della vera fede? Per esserne sicuri, bisognerebbe prima aver chiarito, in maniera (appunto) razionale e condivisa, cosa è la ragione e cosa è la fede; invece, e da entrambe le parti, cioè quella dei razionalisti e quella dei credenti, lo si dà per scontato, mentre scontato non è. Non temiamo di sostenere che, se si facesse un sondaggio, salterebbe fuori che moltissime persone hanno un’idea alquanto grossolana di cosa sia la ragione; e che un numero ancor più grande di persone, compresi i cosiddetto credenti, non sanno affatto cosa sia la fede, ma la scambiano per qualcosa d’altro. In particolare, è opinione largamente diffusa, anche se del tutto erronea, che la fede consista in una specie di sentimento; un sentimento di speciale intensità, ricco di speciali vibrazioni o risonanze, insomma qualcosa che risuona nel profondo dell’anima come le onde sonore di un diapason risuonano per ampio spazio in un ambiente. Al contrario, la fede non è un sentimento, ma un atto della ragione espresso mediante un a libera scelta della volontà; ovvero l’assenso della ragione a un contenuto, o a una serie di contenuti, giudicato veri e perciò meritevoli di essere creduti. Con una particolarità: che la fede, a differenza della scienza, ha per oggetto il vero, pur non disponendo di tutti gli strumenti oggettivi che sono necessari per accertarlo come tale e perciò lo crede, appunto, vero, mentre se potesse dimostrare razionalmente e oggettivamente che esso è tale, non avrebbe bisogno di crederlo, ma si limiterebbe a constatarlo. Pertanto la fede è qualcosa di meno e qualcosa di più della scienza, nel senso ordinario che ha questa seconda parola. Qualcosa di meno, perché giudica il suo oggetto veritiero, pur non potendolo dimostrare secondo i criteri ritenuti indispensabili per il sapere scientifico; ma qualcosa di più, perché si impone con un grado di certezza che è diverso, ma non inferiore, semmai superiore, a quello della scienza. Infatti, le verità della scienza devono essere continuamente verificate, revisionate ed eventualmente corrette e modificate nel corso del tempo, mano a mano che nuove scoperte e nuove teorie scientifiche modificano il quadro d’insieme nel quale i singoli contenuti si collocano; mentre l’oggetto della fede è vero una volta per tutte, e la lotta per conservare la fede non è la lotta per aggiornare continuamente il criterio di verità dei suoi contenuti, bensì la lotta per non smarrire le ragioni dell’assenso dato dalla volontà a quei contenuti. Dal che si vede anche in che cosa consista l’imperdonabile errore del modernismo e, in generale, di tutte le teologie progressiste: nella parificazione della fede alla scienza secondo il progredire degli studi storici e scientifici, mentre l’oggetto della fede non è soggetto ad alcuna modifica, è dato una volta per tutte e nulla potrà modificarlo neppure d’un capello, iota unum, perché viene direttamente da Dio ed è recepito dalla mente umana mediante la sua grazia. Questo non vuol dire che la fede non abbia nulla a che fare con il sentimento di amore, adorazione e affidamento totale a Dio; significa solo che la fede nasce da un atto della ragione realizzato dalla volontà, che si accompagna ed è seguito da quei tali sentimenti. Ma se non ci fosse, a monte, l’atto del libero volere alla luce della ragione, ogni sentimento sarebbe incongruo e malriposto; e infatti si vede che quanti si abbandonano a una fede cieca e irrazionale, la quale non poggia sul vero ma su qualche loro ossessione o fissazione, indulgono a ogni sorta di degenerazioni sentimentali e intanto smarriscono il lume della ragione e si rendono simili a dei burattini manipolabili a piacere da quelli che sanno come sfruttare la fede cieca accordata a un contenuto non veritiero.

La ragione invece si può definire come lo strumento mediante il quale la mente formula giudizi veritieri, cioè nei quali vi è concordanza fra la mente e l’oggetto: adaequatio rei et intellectus, per dirla con san Tommaso d’Aquino. Non è necessario che la mente colga sempre il vero, per poter dire che essa ha esercitato la ragione; è sufficiente che tenda al vero secondo criteri che rispettano la logica, a partire dal principio di non contraddizione, e che tengano conto in maniera adeguata, cioè pienamente consapevole, di tutti gli elementi in campo per formulare un giudizio maturo e frutto di attenta riflessione. La verità completa, infatti, si trova oltre la portata della mente umana, la quale può solo tendere ad essa e cercare di avvicinarvisi; ma il suo pieno possesso appartiene solamente a Dio e, in diversa misura, alle anime elette a far parte della Sua gloria. Pertanto la ragione non si misura dal possesso della verità, ma dalla giustezza della via che essa segue, o che non è capace di seguire, per tendere verso di essa. Ci possono essere svariati ostacoli fra la mente e la verità, ma il compito della ragione è quello di riconoscere la via giusta; spetta poi alla volontà di realizzare la sua aspirazione. Non è colpa del salmone se, risalendo il fiume, incontra lo sbarramento di una diga artificiale, costruita durate la sua assenza: la via era quella giusta, ma un ostacolo invalicabile vi si è frapposto.

Tra i filosofi occidentali, quello che ha maggiormente esplorato la relazione tra fede e ragione, definendone i rispettivi ambiti e la necessaria concordia, è stato san Tommaso d’Aquino, il quale, riprendendo l’opera iniziata dal suo maestro Alberto Magno, ha realizzato l’immane capolavoro di accordare la filosofia di Aristotele coi contenuti della dottrina cristiana, imprimendo alla filosofia del cristianesimo quell’indirizzo pienamente razionale che da allora l’ha caratterizzata, fino a che la mala semente del modernismo è tornata ad introdurvi un sentimentalismo soggettivo e, nello stesso tempo, un razionalismo puramente meccanico, mutuato dal positivismo e dallo scientismo. Strano connubio, per cui tanti cattolici odierni, influenzati a loro insaputa dal modernismo che il Concilio ha introdotto nella Chiesa di soppiatto, pretendono dalla fede, sul piano scientifico, ciò che essa non può dare, mettendosi a contare con avarizia i miracoli di Gesù Cristo e ogni fatto soprannaturale della dottrina cattolica, e contemporaneamente affermano che la fede è un sentire interiore che si rivela all’uomo per via diretta, imperscrutabile, indefinibile e in sostanza irrazionale. Ciò provoca uno sdoppiamento che, infatti, è caratteristico di questa tarda fase del cristianesimo: da un lato molti cattolici rifiutano della loro fede ciò che non si accorda con il paradigma scientista, vale a dire che implicitamente o esplicitamente rifiutano tutto, tranne la dottrina morale, peraltro sottoposta a tagli e aggiustamenti tali che la rendono irriconoscibile; dall’altro lato pretendono che la fede sia quel sentimento personale che essi provano, o credono di provare, quando pongono mente al Vangelo, scordandosi che a questo modo qualsiasi fede diventa egualmente possibile, anche quella nelle streghe, nei dischi volanti e nel demonio. Si giunge così al relativismo perfetto, del quale il vergognoso documento di Abu Dhabi del 4 febbraio 2019, sottoscritto da Bergoglio a nome dei cattolici, è la sintesi aberrante e a suo modo esemplare.

Riportiamo una pagina di Il cristianesimo e la filosofia occidentale di Nicola Abbagnano (UTET, 2003, e De Agostini, 2013, pp. 340-341):

(…) la ragione ha la sua verità propria. I principi che le sono intrinseci e che sono verissimi, in quanto è impossibile pensare che siano falsi, le sono stati infusi da Dio stesso, che è l’autore della natura umana. Questo principi derivano dunque dalla Sapienza divina e sono costitutivi di essa. La verità di ragione non può mai venire in contrasto con la verità rivelata: la verità non può contraddire alla verità. Quando un contrasto appare, segno è che si tratta non di verità razionali, ma di conclusioni false o almeno non necessarie: la fede e la "regola" del corretto procedere della ragione ("Contra Gent". I, 7). Il principio aristotelico che "ogni conoscenza comincia dai sensi" è utilizzato da Tommaso per limitare la capacità e le pretese della ragione. La ragione umana può bensì elevarsi a Dio, ma solo parendo dalle cose sensibili: "L’uomo non può giungere con la ragione naturale alla conoscenza di Dio se non attraverso le creature. Le creature conducono alla conoscenza di Dio, come l’effetto conduce ala causa. Si può dunque con la ragione naturale conoscere di Dio solo ciò che necessariamente gli compete in quanto è il principio di tutte le cose esistenti" (S. th., I, q. 32, a. 1). Alle due dimostrazioni di cui la ragione è capace, quella "a priori" o "propter quid", che parte dall’essenza di una causa per scendere ai suoi effetti e quella "a posteriori" o "quia" che parte dall’effetto, per risalire alla causa, la seconda soltanto può essere adoperata per la conoscenza di Dio (Ib., I, q. 2, a.2). Ma essa, se conduce a riconoscere con necessità L’ESISTENZA di Dio come causa prima, non dice nulla circa l’ESSENZA di Dio. Pertanto la ragione non può con le sue forze giungere a dimostrarla Trinità e l’Incarnazione e tutti quei misteri che si connettono a questi due. Tali misteri costituiscono i veri e propri "articoli di fede" che la ragione può delucidare e difendere, ma non dimostrare; mentre l’esistenza di Dio e quant’altro, intorno a Dio, la ragione può raggiungere e dimostrare con le sue forze, costituisce i PREAMBOLI ALLA FEDE. Chiarito così il DOMINIO rispettivo della fede e della ragione, S. Tommaso passa a chiarire i relativi ATTI. Accettando una definizione di S. Agostino (De praedest. Sanctorum, 2), Tommaso definisce l’atto della fede, il CREDERE, come un "pensare con assentimento" ("cogitare cum assensu") intendendo per "pensare" la "considerazione indagatrice dell’intelletto e il consenso della volontà". Il pensare che è proprio della fede è un atto intellettuale che va ancora indagando, perché non è ancora giunto alla perfezione della visione certa. Ora, non a tutti gli atti intellettuali di queste specie è congiunto l’ASSENSO: il DUBITARE consiste nel non inclinare né per il SÌ né per il NO; il SOSPETTARE consiste nell’inclinare da un lato, ma nell’essere tentato o mosso da ogni più piccolo sego dell’altra parte; l’OPINARE consiste nel’aderire a una cosa, con la paura che la cosa contraria sia vera. "Ma questo atto che è il credere, dice Tommaso (S. Th., II, 2, q. 2, a., 1), include l’adesione ferma a una parte; nel che il credente è simile a chi ha scienza o intelligenza; la sua conoscenza tuttavia non è perfetta come quella di chi ha una visione evidente; nel che è simile a chi dubita, sospetta od opina. E così è proprio del credente pensare con assentimento". L’assenso implicito nella fede, se è simile per la sua fermezza a quello implicito nell’intelligenza e nella scienza, è diverso nel suo MOVENTE: giacché non è prodotto dall’oggetto, ma da una SCELTA volontaria che inclina l’uomo verso un lato piuttosto che verso un altro. L’oggetto della fede infatti non è "visto"né dai sensi né dall’intelligenza, giacché la fede, come disse S. Paolo (Ebrei, XI), 1) è"la prova delle cose non vedute" (S. Th., II, 2, q. 1, a. 4). Così Tommaso pur riconoscendo alla fede una certezza superiore a quella del sapere scientifico fonda tale certezza sulla volontà, riservando alla sola scienza la certezza obiettiva.

Il ragionamento di san Tommaso è così logico e consequenziale e soddisfa così interamente le esigenze della ragione, mostrando che questa è l’ancella della fede e giammai la sua nemica, che la vera domanda che ci si dovrebbe porre è in quale maniera l’irreligiosità e l’ateismo siano riusciti a penetrare nella società e nella cultura occidentali e abbaino così radicalmente soppiantato o adulterato il cristianesimo, sino a renderlo un docile strumento della massoneria mondiale. Siamo qui in presenza di uno di quei misteri che trascendono le possibilità di una spiegazione univoca e che comunque possono trovare solo risposte parziali, perché sono determinati da un gran numero di fattori, parte dei quali gelosamente tenuti nascosti dai Padroni Universali e perciò difficilmente valutabili in sede di giudizio storico. Se la storia del pensiero fosse solamente la storia delle idee, come generalmente viene presentata sui manuali di filosofia, e non vi avessero parte invece, e parte cospicua, fattori che con le idee non c’entrano nulla, ma che dipendono da chi detiene il potere finanziario, quello politico e quello mediatico, allora l’avvento della cultura moderna, atea e irreligiosa sarebbe qualcosa d’inspiegabile. La cultura cristiana, erede del pensiero greco, disponeva di tutti gli strumenti per soddisfare anche le menti più sofisticate, e nello stesso tempo forniva la base teorica a una fede che era accessibile a tutti, anche alle persone più semplici, secondo il dettato evangelico: meravigliosa convergenza fra i "piccoli" e i dotti nel segno d’una comune concezione del mondo. La cultura moderna non solo ha fatto regredire il pensiero, perché ne ha impoverito enormemente gli orizzonti, introducendo una visione riduzionista, materialista e meccanicista che non è più in grado di rendere ragione di un gran numero di fenomeni naturali, per non parlare di quelli umani, ma ha introdotto l’instabilità permanente sotto forma di relativismo e nichilismo. Il pensiero si è fatto sempre più insoddisfacente: non sa più rispondere alle grandi domande della vita. La coscienza moderna è infelice, per dirla con Hegel, perché non è in pace con se stessa: fede e ragione si contrappongono, mentre potrebbero lavorare l’una a fianco dell’altra e l’una per l’altra…

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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