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Tutto il mondo giace sotto il potere del maligno

Il gravissimo smarrimento liturgico, pastorale, dottrinale e morale in cui versa la Chiesa ai nostri giorni ha la sua radice in un fatto teologico ben preciso: l’instaurazione, all’epoca del Concilio Vaticano II, di una antropologia ottimistica, assai lontana dal Vangelo, dalla Tradizione e dal Magistero, e vicina, semmai, a quella illuminista, massonica e marxista. Un’antropologia che esalta le possibilità umane, sulla base di una "buona volontà" sostanzialmente immanentistica, che minimizza le conseguenze del Peccato originale e si fa erede della visione post-cristiana, umanistica e rinascimentale, secondo la quale il destino dell’uomo è nelle sue stesse mani, negando, sia pure implicitamente, il limite intrinseco dello statuto ontologico della creatura. Tutto il male è partito da lì. La falsa idea che la Chiesa non abbia più nemici; che non debba più guardarsi da gravi e immediati pericoli, né esterni né interni; che il diavolo — se pure esiste – svolga un ruolo marginale nelle vicende umane, e che l’inferno forse non ci sia, o se esiste potrebbe anche essere vuoto; che ci siano tante strade per arrivare alla verità e che né i fratelli maggiori ebrei, né gli islamici, né gli atei, né, a maggior ragione, i protestanti, siano incamminati su strade false e menzognere, ma che tutti, in qualche modo, arriveranno a Dio, perché Dio è lo stesso per tutti gli uomini: tutte queste idee basate sul relativismo, l’indifferentismo, il liberalismo, lo storicismo, che hanno inquinato come un veleno le stesse sorgenti della catechesi, che sono penetrate nel cuore della Chiesa, che vengono insegnate e predicate dal pulpito persino durante l’omelia della santa Messa, hanno lì la loro origine. In buona sostanza si tratta di questo: il clero, a un certo punto, non ha più sopportato la tensione di farsi sostenitore di una cultura e di una visione della vita che divergeva sostanzialmente dalla visione propria della modernità; si è sentito a disagio, spaesato, estraniato, emarginato rispetto al mondo; ha creduto di riacquistare credibilità e ritrovare un suo ruolo, di esercitare ancora una qualche influenza sulla società, accettando di "dialogare" con la modernità, cioè, in ultima analisi, accettando i suoi capisaldi ideologici.

Cosa impossibile e totalmente autolesionistica, perché le basi ideologiche della modernità collidono frontalmente con il Vangelo: come si può essere sia moderni che cattolici? Come si può credere, ad esempio, che tutte le religioni vanno bene, e che tutte portano a Dio, al vero Dio, e alla Verità suprema? Come si può essere cattolici e al tempo stesso praticare o approvare il divorzio e la pratica istituzionalizzata dell’aborto? Come si può essere cattolici e approvare la sodomia e le unioni omosessuali? Come si può essere cattolici e approvare l’eutanasia, intesa, appunto, come una suprema forma di auto-determinazione dell’uomo? Se si è cattolici, si pensa che la vita umana appartiene a Dio solo, dal concepimento alla morte naturale. Ma se si è moderni, si pensa che tanto l’aborto, quanto l’eutanasia, siano pratiche perfettamente lecite, e che chi vi si oppone è un nemico del progresso, del bene comune e della civiltà. Ecco, allora, che il conflitto fra l’essere cristiani e l’essere moderni scaturisce dalla realtà stessa delle cose. Un medico, se è cattolico, non può praticare l’aborto. Un sindaco, se è cattolico, non può celebrare le unioni civili, tanto meno fra persone dello stesso sesso. Ma la "svolta antropologica" della teologia conciliare e post-conciliare mirava precisamente a questo: a uniformare il sentire e l’agire dei cattolici al sentire e all’agire della società laica. E poiché la società laica si è allontanata da Dio da molto tempo, ha voltato le spalle alla Verità e alla morale cattolica, ne consegue che adeguarsi a questa mentalità significa, per un cristiano, abiurare alla propria fede e cadere nell’apostasia. Il che è puntualmente avvenuto. Solo che si è trattato di una apostasia mascherata: dal momento che gran parte del clero l’ha approvata, l’ha reclamizzata, l’ha benedetta; dal momento che fior fiore di teologi, cardinali, vescovi hanno detto e ripetuto, in tutte le salse e in tutte le tonalità, che il cristiano "maturo" è un uomo moderno, dialogante, aperto e al passo coi tempi, la maggior parte dei cattolici non si è neppure accorta di quel che stava accadendo: ossia che la massa dei cattolici veniva traghettata dolcemente, silenziosamente, senza scosse né traumi, nell’apostasia, ossia in una fede ormai soltanto a parole cattolica, ma in realtà conforme, nei suoi tratti essenziali, alla mentalità del mondo moderno: che è una mentalità, nella sua essenza, radicalmente anticristiana. Che c’è in comune fra Marco Pannella e san Giovanni Bosco, fra Emma Bonino e padre Pio, fra Eugenio Scalfari e Massimiliano Kolbe? Che c’è in comune, vogliamo dire, sul piano intellettuale e spirituale, a prescindere dalla santità della vita? Nulla, assolutamente nulla. Eppure, ora la contro-chiesa massonica, ultimo frutto avvelenato della tanto decantata stagione post-conciliare, ci viene a celebrare il defunto Pannella, la grande signora Bonino, e l’esimio intellettuale Eugenio Scalfari. Il che vuol dire che il cattolicesimo è arrivato al capolinea, e che la Chiesa non è più la vera Chiesa cattolica, quella fondata da Gesù Cristo e rimasta a Lui fedele, sia pur fra alti e bassi, per circa duemila anni. Al contrario, è diventata un’altra cosa; o, quanto meno, la vera Chiesa è stata oscurata e relegata sullo sfondo da questa falsa chiesa, da questa oscena contro-chiesa massonica, favorevole al divorzio, all’aborto, alla pratica omosessuale, all’eutanasia, eccetera. E cos’ha ancora di cattolico, una "chiesa" di questo genere? Evidentemente, nulla; nulla di nulla. Solo il nome e una certa pompa esteriore, più le poltrone, le carriere e gli stipendi di un clero corrotto, ipocrita e infedele, ma ben deciso non cedere nessuna delle posizioni di rendita che attualmente detiene. Tutto ciò è assai triste, ma bisogna ammettere che le cose stanno proprio così.

E tuttavia, non è solo la resa alla modernità, camuffata da dialogo, ad aver provocato l’apostasia strisciante e inavvertita della Chiesa cattolica, o di una parte significativa di essa, e in particolare dei suoi vertici, dei teologi e dell’assemblea dei vescovi. Non è solo la modernità, ma è il mondo in se stesso a essere incompatibile con la vita cristiana. La modernità è la quintessenza di ciò che si oppone alla Verità, di tutto ciò che rifiuta Cristo e combatte contro di Lui; ma la modernità non nasce dal nulla: nasce dalla natura umana. La natura umana, non com’è stata creata da Dio, ma dopo essere stata ferita dal Peccato originale, ha perso l’innocenza e s’inclina alla concupiscenza, cioè alla brama disordinata delle cose di quaggiù. Vi è qualcosa, nella natura dell’uomo, che tende all’egoismo, alla lussuria, alla superbia e all’avarizia; vi è qualcosa di sbagliato, di manchevole, d’imperfetto, che non è come dovrebbe essere. Di conseguenza, il mondo in se stesso, il mondo in quanto tale, non è buono: pensare il contrario, significa essere naturalisti, non cristiani. Il cristiano sa che nella natura vi è la concupiscenza, vi sono le passioni disordinate, vi è il peccato: il cristiano sa che la sua vita è una continua lotta contro queste cose. Il cristiano sa che non può abbandonarsi ai propri istinti, perché sa che non sono tutti buoni; e sa anche che, da solo, con le sue sole forze, con la sua volontà e con la sua ragione, non è capace di tener dritta la barra del timone della sua vita morale. Il vero cristiano sa tutto questo, conosce la propria fragilità umana, e non si fida di tutte le voci carezzevoli e di tutte le suggestioni che gli vengono dal mondo, perché sa che il mondo è corrotto e in esso non regna l’ordine voluto da Dio, ma il disordine prodotto dall’egoismo umano. La ribellione di Adamo ed Eva contro Dio e l’assassinio di Abele da parte di suo fratello Caino sono stati i primi atti volontari dell’umanità; e il disordine morale degli uomini è stato così grande che, fin dall’inizio, Dio ha mandato dei severi castighi a scopo di ammonimento. Ma la triste verità è che nessun castigo è servito veramente; nessun ammonimento ha fatto comprendere agli uomini la gravità del peccato e il disordine di una vita spesa all’insegna del proprio egoismo. Alla fine, davanti a tanta durezza di cuore, Dio ha mandato agli uomini il suo Figlio Unigenito: ed esattamente come è narrato da Gesù nella parabola dei vignaioli omicidi, gli uomini non solo non l’hanno ascoltato, ma lo hanno odiato, lo hanno insultato e lo hanno ucciso, per liberarsi della Sua fastidiosa presenza. Questa è la natura umana, priva della Grazia. Per questo, per ristabilire il legame fra Sé e gli uomini mediante la Grazia, Iddio ha mandato sulla terra Gesù Cristo, il suo stesso Figlio; e per questo ha mandato loro, dopo la sua partenza, lo Spirito Santo. Quindi la verità è che gli uomini devono scegliere: o essere del mondo o essere di Dio; non si può essere di entrambi. Gesù lo ha spiegato con estrema chiarezza, allorché ha raccomandato ai suoi apostoli di essere nel mondo, ma senza essere del mondo; senza appartenere al mondo, senza pensare e sentire come pensa e sente il mondo, cioè con egoismo, con superbia, con ogni sorta di disordine morale. Non potete servire due padroni, ha ricordato.

I cristiani moderni hanno portato al grado più alto la capacità di fingere, anche con se stessi, di essere ancora cristiani, mentre si sono fatti servitori del mondo, schiavi delle cose, dei desideri disordinati, degli appetiti egoistici; hanno raggiunto un grado di così astuta ed elaborata ipocrisia, da aver cancellato in sé la coscienza della propria radicale infedeltà al Vangelo e dell’apostasia dalla Verità di Gesù Cristo. In questo senso, la modernità è la concentrazione di tutto ciò che, essendo "mondo", è la tenebra che si oppone alla luce portata dal divino Redentore. Resi superbi dalla loro cultura e dalla loro intelligenza, a un ceto punto essi hanno trovato insopportabile il giudizio che Gesù stesso ha dato del mondo; si sono sentiti sminuiti, hanno pensato che non si può denigrare la natura umana e parlar male della vita terrena; confondendo la natura umana ferita dal Peccato originale con la natura umana in se stessa, e il mondo che rifiuta Cristo con il mondo che è stato creato da Dio. Anche a causa di un complesso d’inferiorità nei confronti dei non cristiani, della cultura laica e laicista, a un certo punto si sono vergognati di ammettere che il mondo è un mondo di peccato, e che il vero cristiano deve saper vivere nel mondo, ma senza appartenergli, anzi, stando costantemente in guardia contro le sue seduzioni. Non hanno retto alla tensione morale che questo modo di vivere comporta: si sono arresi davanti alle lusinghe della modernità, specialmente al consumismo e alla vanità intellettuale. Il consumismo li ha spinti a venire a compromessi sempre più grandi con la loro fede; la superbia intellettuale li ha fatti arrossire all’idea di condividere la stesa fede con i bambini e le vecchiette che recitano devotamente il Rosario, perché, succubi della cultura moderna, ritengono che la verità sia complessa, sia difficile, e quindi che sia accessibile solo alle persone colte e intelligenti: scordandosi delle precise parole di Gesù che vanno nella direzione esattamente contraria: Ti rendo lode, o Padre, Signore del Cielo e della terra, perché hai tenuto ascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a Te! (Matteo, 11, 25-26).

A questi cristiani moderni, cioè a questi modernisti che credono ancora di essere cristiani, e non sanno di non esserlo più da un pezzo, sarebbe utile rileggere e meditare a fondo questo passo della Prima lettera di San Giovanni (5, 4-5 e 18-21), che chiarisce in maniera franca, senza alcuna timidezza, la vera natura del rapporto fra i cristiani e il mondo:

Tutto ciò che è nato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede. E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio? (…)

Sappiamo che chiunque è nato da Dio non pecca: chi è nato da Dio preserva se stesso e il maligno non lo tocca. Noi sappiamo che siamo da Dio, mentre tutto il mondo giace sotto il potere del maligno. Sappiamo anche che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato l’intelligenza per conoscere il vero Dio. E noi siamo nel vero Dio e nel Figlio suo Gesù Cristo: egli è il vero Dio e la vita eterna.

Figlioli, guardatevi dai falsi dei!

Sì, lo sappiamo: per il cristiano medio dei nostri giorni queste parole sono troppo dure. Eh, sì: sono parole che potevano andar bene per i cristiani di duemila anni fa, di mille anni fa, ma oggi sono troppo dure: come si può accettare questo linguaggio, come si possono condividere e mettere in pratica questi concetti? Il mondo è nemico di Dio; e chi è col mondo, non può essere con Dio; ma chi è con Dio, lotta contro il mondo. Queste parole sono scandalose e inaccettabili per tutti i preti di sinistra, per tutti i teologi progressisti e per tutti i "cattolici" che pensano solo alle questioni sociali, ai poveri, ai migranti, e ritengono che il mondo si possa costruire nella pace, nella giustizia e nell’amore, rifacendo l’opera di Dio, ma meglio di come Lui l’ha fatta. In fondo, costoro sono dei pelagiani che non hanno mai digerito il dogma del Peccato originale. Non solo: non accettano l’idea che la creazione è e rimarrà imperfetta, fino alla seconda venuta di Cristo. Impazienti di raddrizzare tutto ciò che è storto, tutte le ingiustizie, tutte le imperfezioni e perfino i problemi legati all’inquinamento, al clima e all’ambiente, hanno scambiato il Vangelo per un prontuario di trasformazione della realtà, nell’ottica mondana del progresso, del benessere, dei diritti. Non accettano la fragilità dell’uomo e il suo assoluto bisogno di Dio per poter far bene qualsiasi cosa, nello spirito di Cristo e non del mondo. E per avere lo spirito di Cristo, bisogna saper farsi piccoli…

Fonte dell'immagine in evidenza: Immagine di pubblico dominio (Gustave Dorè)

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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