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1 Novembre 2022Oggi i più convinti negatori dell’esistenza del diavolo, del diavolo come essere personale, come principio del Male incarnato una persona di natura spirituale, che incessantemente s’industria di perdere le anime, distruggere la Chiesa e trascinare l’umanità nell’abisso dell’inferno, sono proprio i cattolici: non tutti i cattolici, ma quelli che si sono lasciati infettare e contagiare dal morbo progressista e dalla sciagurata eresia modernista, non per nulla scomunicata, centodieci anni fa, dal pontefice san Pio X. Proprio così: non i laici, non i massoni, non gli atei, ma i cattolici: i cattolici di sinistra, gli amici del "popolo" e dei "poveri", pieni di complessi nei confronti dei loro compagni di strada irreligiosi e volterriani, e più ancora verso i protestanti che, cinquecento anni fa, videro giusto e si misero, prima di loro, sulla strada della modernizzazione e della separazione tra la sfera religiosa e quella civile, tra "l’uomo interiore", per dirla con il "buon" Lutero, e l’"uomo esteriore", e che hanno deciso di recuperare, a tappe forzate, il tempo perduto. Sono costoro, sono i cardinali e i vescovi senza più fede, sono i teologi che sproloquiano da mattina a sera sulle convergenze fra il Vangelo e il mondo moderno, sulla bellezza dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso, sulla società pluralista e sulla chiesa accogliente (come un supermercato aperto giorno e notte per la gioia dei clienti/consumatori/consumisti), sono i sacerdoti con il pugno sinistro ben stretto e il sigaro in bocca, come don Gallo, e sono i preti di strada che vanno da papa Francesco per incitarlo a disprezzare i cardinali "ribelli", i Burke e gli altri, sono questi preti "sociali" e "militanti", alla don Vinicio Albanesi, che non vogliono neanche sentir parlare di esorcisti ed esorcismi, che non vogliono neanche ascoltare i brani del Vangelo nei quali Gesù si è trovato a faccia a faccia con il diavolo, e che scrollano le spalle, con impazienza, se qualcuno ricorda loro le visioni dell’inferno di Ildegarda di Bingen e Teresa d’Avila, o di suor Faustina Kowlalska, o di suor Lucia di Fatima: che importa a loro del diavolo? Che se ne fanno di questa "mitologia", di questa "leggenda", di questa "superstizione"? Sono seguaci e ammiratori di filosofi "cristiani" come Arrigo Colombo, costoro, di quel Colombo che ha cancellato, con un tratto di penna, il diavolo, e che, con ciò, ha liberato la cristianità, e l’umanità intera, da un incubo oscurantista che era sopravvissuto anche troppo, e che tanto male ha fatto al progresso e alla pace nella storia umana.
Benissimo, cari cattolici progressisti e cari teologi modernisti, tutti ripieni dello "spirito" del Concilio Vaticano II, ma di uno "spirito" con la minuscola, perché non ha niente a che fare con quella vecchia cosa, con quella obsoleta credenza che si chiama lo Spirito Santo, la terza Persona della Santissima Trinità, che Gesù, nel partire, ha promesso ai suoi seguaci, e che trasmette la Grazia divina a quanti osservano il Vangelo e credono a tutto quello che ha fatto e insegnato Nostro Signore Gesù Cristo. E allora lasciate che vi raccontiamo una storia, una piccola, semplice storia: che non riguarda milioni di persone, guerre o genocidi, né persecuzioni di massa, e nemmeno bombe atomiche o altre nefandezze batteriologiche o chimiche, o cose del genere; una storia che riguarda solo poche decine di persone: quindici vittime in tutto, e una dozzina di carnefici, guidati da un santone e dalla sua sacerdotessa. E non è una storia ambientata nel lontano medioevo o in altre epoche remote, né in regioni poco accessibili, dove i fatti sono difficilmente controllabili; ma che è accaduta verso la fine del secolo scorso, a pochi chilometri dal confine degli Stati Uniti, cioè in un’area geografica fra le più conosciute e le più antropizzate, dove esiste ogni ritrovato della civiltà moderna e la tecnologia è certo assai più diffusa che in tantissime altre parti del mondo, con tutte le sue comodità e i suoi vantaggi. Ascoltate questa storia e poi giudicate. E anche voi, vescovi che non volete esorcisti nelle vostre diocesi, perché vi vergognereste di ammettere che il diavolo esiste, e che qualcuno ne sia posseduto. E anche voi, teologi del "rinnovamento" e della "svolta antropologica", che nei vostri dotti libri spiegate come e perché l’inferno non esiste, è solo una metafora, ma non può esistere perché Dio è talmente buono da non condannare nessuno.
La nostra storia comincia il 13 marzo del 1989, allorché quattro ragazzi americani, studenti dell’università di Austin, decidono di concedersi un po’ di svago e attraversano la frontiera del Messico per passare qualche ora di festa a Matamoros. Uno di loro, Mark Kilroy, 21 anni, bello, biondo, bravo e intelligente, studente modello, a un certo punto si stacca dagli altri: lo vedono dall’altra parte della strada, ma, nella confusione generale, non vi fanno caso. Alle quattro del mattino, però, non vedendolo rientrare in albergo, cominciano a preoccuparsi e vanno dalla polizia. Si sentono dire che in città ci sono migliaia di persone, quasi tutti giovani, in cerca di divertimento, e quindi, in gran parte, più o meno ubriache; che non è il caso di allarmarsi, e che, ad ogni modo, non saprebbero come fare per rintracciarlo. Ma i tre amici di Mark non sono convinti e decidono di rientrare subito nel Texas e dare l’allarme. La polizia americana intuisce subito che la faccenda è seria: Mark è un ragazzo a posto, senza alcun precedente penale; non è tipo da far colpi di testa, da sparire a quel modo: si mettono in contatto con i colleghi messicani, comunicano loro i propri timori e ottengono una stretta e sollecita collaborazione. Cercano disperatamente degli indizi, delle testimonianze, ma nessuno sembra aver visto quel ragazzo biondo con gli occhiali e l’aria perbene: è semplicemente sparito, come se si fosse volatilizzato.
A questo punto la famiglia di Mark, che ha ricevuto la brutta notizia, decide di offrire una grossa ricompensa a chi sia in grado di fornire informazioni utili per il suo ritrovamento: un premio di ben quindicimila dollari (quando in Messico, all’epoca, il salario minimo giornaliero, per un lavoratore, è di uno o due dollari appena). Subito piovono le telefonate, ma, ovviamente, sono quasi tutte irrilevanti o fuorvianti. Una ragazza dice che Mark è stato fermato da un poliziotto corrotto, che questi ha cercato di farsi dare del denaro e che, davanti alla reazione del ragazzo, lo ha freddato con un colpo di pistola. Il poliziotto sospettato viene subito fermato e interrogato, ma, messo sotto il torchio, non rivela nulla, perché appare evidente che non ha niente a che fare con la scomparsa di Mark. E così passano le ore, i giorni; e svanisce la speranza di trovarlo ancora in vita. Tuttavia, la cosa è anomala: se lo hanno rapito a fine di estorsione, come mai nessuno si è fatto vivo per chiedere un riscatto? Le ricerche fatte negli ospedali e nei cimiteri della zona risultano infruttuose; ufficialmente, Mark non è morto; è solamente scomparso. Le cose stanno a questo punto, quando, il 1° aprile, un evento casuale mette i poliziotti sulla pista buona.
Agli uomini della centrale di Matamoros arriva una soffiata: un grosso carico di droga sta per giungere al clan degli Hernandez, una pericolosa "famiglia" di narcotrafficanti della regione. Gli agenti messicani si precipitano sul posto, ma non trovano nulla; la droga è già arrivata a destinazione ed è stata fatta sparire. In compenso, fermano un giovane componente della banda, un ragazzo di vent’anni, che non ha rispettato l’alt ad un posto di blocco. Inseguito e bloccato, costui viene portato in centrale e interrogato a lungo; e, pur conservando un’aria molto spavalda, finisce per ammettere, quasi distrattamente, di aver già visto il ragazzo americano di cui gli mostrano una foto: la foto di Mark Kilroy. Ora, bisogna spiegare da dove viene la strafottenza di questo giovanotto che sembra non temere gli agenti che lo stanno interrogando: nella banda di cui fa parte, si pratica un misto di Palo Mayombe, Santeria e Brujeria, nonché di antichissimi rituali aztechi basati sulla pratica del sacrificio umano, e il loro capo e santone, il cubano Adolfo de Jesus Costanzo, ha garantito a tutti i suoi uomini l’invulnerabilità contro le pallottole e qualsiasi altro pericolo. Per ottenere i suoi poteri magici, che è disposto poi a "rivendere" agli altri narcotrafficanti della zona, facendosi pagare cifre favolose, costui alimenta uno spirito che "vive" in una gigantesca pentola d’acciaio, nella quale si gettano i resti delle vittime di sacrifici umani, allo scopo di catturarne l’energia psichica ed emozionale, potentissima al momento della morte. Della banda fa parte anche una sacerdotessa, Sara Aldrete, una studentessa modello dalla doppia vita, seguace, ma non amante, di Adolfo: costui, infatti, è omosessuale, e numerosi amanti maschi si alternano nel suo letto e nella carica di suo luogotenente.
Gli agenti messicani si fanno indicare il ranch dove si svolgono i rituali della banda, e vi si precipitano. Di Mark, però, nessuna traccia. In compenso, gli agenti penetrano in un locale orribile, dove regna un puzzo pestilenziale che proviene da un sinistro pentolone, e capiscono che quello è il luogo degli orrori. Il ragazzo che li guida racconta come Mark è stato sacrificato ed è disposto a indicare anche il luogo della sepoltura, sempre con molta indifferenza e quasi con aria di sfida. Gli danno una pala e gli ordinano di scavare; dopo un poco, egli dice che quello è il punto giusto. Gli chiedono come faccia ad affermarlo, ed egli mostra un filo metallico che sporge dalla terra: è l’estremità di una sorta di gancio con il quale è stato estratto il midollo spinale della vittima. Dice che Mark è stato trascinato nella sala del rituale, gettato a terra e sodomizzato per tutta la notte da Adolfo; che gli sono state inflitte, nel frattempo, torture quasi inimmaginabili; e che, alla fine, lo stregone, dopo averlo scalpato, ancor vivo, gli ha aperto il cranio con un colpo di machete, ne ha estratto il cervello e poi lui e gli altri se ne sono cibati. Il resto del cervello e i visceri della vittima sono quindi stati gettati nel calderone fumante, per dare forza allo spirito che vi dimora. Tale è stata la fine di Mark Kilroy, un bravo giovane che non aveva mai fatto del male a nessuno e che aveva avuto solo la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato e nel momento sbagliato: gli uomini della banda lo avevano individuato in un bar, e, viste le sue caratteristiche "positive", lo avevamo scelto come vittima ideale, per conferire maggiori poteri allo spirito. Ma non c’era solo la fossa di Mark, in quel luogo infernale: ce n’erano parecchie altre; quattordici oltre alla sua. Contenevano i resti della precedenti vittime dei sacrifici umani praticati dagli Hernandez.
Adolfo, il suo amante in carca e la sacerdotessa, frattanto, erano fuggiti in aereo, ben forniti di denaro, e si erano recati mille chilometri a sud, a Città del Messico. Lì lo stregone aveva appreso dalla televisione e dalla stampa che la polizia aveva distrutto con il fuoco il ranch degli orrori e, con ciò, così egli credeva, anche i suoi poteri magici. Impazzito, aveva gettato delle banconote giù in strada, e si era messo a sparare sulle persone che si avvicinavano per raccoglierle. Assediato dalla polizia, si era fatto uccidere con un colpo in testa dal suo amante, suicida a sua volta; Sara Aldrete era stata catturata, proclamandosi innocente e sostenendo, in perfetta mala fede, di aver fatto di tutto per salvare Mark dalla sua sorte. Non venne creduta dal tribunale riunito per giudicare i crimini della banda: ebbe sessantadue anni di prigione. Gli altri membri dell’associazione, tutti ragazzi giovani, ebbero tutti la condanna all’ergastolo. Non parevano pentiti: sembravamo pensare di non aver fatto niente di male. Questa, almeno, fu l’impressione che diedero alla giuria e al pubblico. Le atrocità che avevano compiuto, o alle quali avevano partecipato, li avevano completamente disumanizzati. Adolfo Costanzo, soprannominato El Padrino negli ambienti dei narco-satanisti, era nato il 1° novembre 1962, e la sua carriera criminale si era conclusa il 6 maggio 1989: aveva dunque appena ventisei anni, solo cinque in più della sua ultima vittima, lo sventurato Mark Kinroy.
Ecco, cari anici cattolici progressisti: questa è la storia che volevano raccontarvi. Può darsi che non vi abbia impressionato più di tanto: certamente sarete propensi ad attribuire i crimini di Adolfo Costanzo e della sua banda alla loro anormalità psichica, o alla crudeltà dei riti che avevano deciso di praticare, o all’effetto devastante della droga sulle loro menti e sui loro freni inibitori: tutte spiegazioni perfettamente razionali, e, soprattutto, perfettamente umane. Da parte nostra, non ci crediamo affatto. Quella di Adolfo Costanzo — che non è, peraltro, una storia isolata, ma è simile a molte altre, verificatesi in ogni parte del mondo, e che tuttora continuano a verificarsi, anche se i mass media politically correct stendono un velo pietoso su ogni notizia che provenga da quegli ambienti e che abbia simili caratteristiche, a nostro avviso dimostra un’altra cosa, e cioè che il diavolo esiste. L’efferatezza dei delitti compiuti da uomini come lo stregone Adolfo Costanzo non è di origine puramente umana: per quanto malvagio, un cuore umano non arriva nemmeno a immaginare tali abissi di mostruosità. Torturare e violentare per ore un essere umano giovane e innocente; aprirgli il cranio con un colpo di lama affilata, estrarne il cervello, bollirlo e mangiarlo; estrarre la colonna vertebrale e gettarla, insieme al cuore, nel pentolone dello "spirito" maligno: tutto ciò, ripetuto almeno quindici volte (altre versioni parlano di venti vittime) sorpassa qualunque ferocia dell’immaginazione umana, e sia pure del più abietto e depravata degli esseri umani. Qui c’è, chiarissimo, ma solo per chi sia disposta a vederlo, cioè per chi non sia inibito dai pregiudizi della cultura moderna, il ghigno del Nemico. Qui c’è il mistero del Male: del Male con la lettera maiuscola: personale, astuto, diabolico. Un mistero così pauroso, così abissale, da far venire le vertigini a chi osi anche soltanto gettarvi uno sguardo. Bisogna farsi il segno della croce, dopo aver ascoltato una storia del genere. Ma chi non vuol vedere, non vede; e chi non vuol udire, non ode…
Fonte dell'immagine in evidenza: Immagine di pubblico dominio (Gustave Dorè)