
Tutto il mondo giace sotto il potere del maligno
31 Marzo 2019
Ma erano davvero tutti e solo dei criminali?
1 Aprile 2019Quelli che non hanno figli o che hanno figli ormai grandi; quelli che non lavorano nell’ambito dell’insegnamento e non sanno quelle che vi succede; quelli che non hanno a che fare, se non indirettamente e saltuariamente, con il mondo della scuola, tutti costoro non hanno, probabilmente, la minima idea della rapidità con cui si è consumato il degrado della scuola pubblica italiana e del disastro intellettuale, sociale, culturale e morale in cui essa è precipitata nel corso degli ultimi anni. Individuarne tutte le cause richiederebbe uno studio lungo quanto un’enciclopedia; del resto, un analogo degrado, e altrettanto rapido, si è consumato in altri settori della società, dalla politica alla magistratura, dalla sanità ai trasporti, dalle poste alle banche, e soprattutto nelle famiglie. Ma la cosa più impressionante è che perfino quanti lo vedono e lo toccano con mano ogni giorno, raramente sembrano averne l’esatta percezione; i dirigenti scolastici, in particolare, e molti maestri e professori, sembrano aver imparato a memoria la lezioncina politicamente corretta della cultura progressista, secondo la quale la crisi, se c’è, è una crisi di crescita, una crisi benefica e salutare, dalla quale possiamo e dobbiamo aspettarci le magnifiche sorti e progressive. In altre parole, il giudizio sulla trasformazione radicale che ha subito e continua subire l’istituzione delegata alla formazione e all’educazione dei bambini e degli adolescenti è, da parte delle autorità dirigenti e di una fetta della classe docente, radicalmente divergente da quel che la nuda e cruda realtà dei fatti ci pone sotto gli occhi ogni mattina. La realtà non è più quella che vediamo e che udiamo, è quella che l’ideologia progressista insegna e propaganda: una mela non è più una mela, se lo dice la cultura progressista è una pera o una banana, e bisogna dire così: Oh, che bella pera! Oh, che splendida banana! Il principio di realtà cede sotto la pressione del politicamente corretto; e guai a chi si azzarda a dire, sia pure a bassa voce, che quella è pur sempre una mela, bella o brutta che sia. Il sistema scolastico buonista, tardigrado, elefantiaco, che non punisce mai nessuno, neanche davanti alle più macroscopiche inefficienze, e non verifica mai nulla di sostanziale rispetto a tutti quelli, docenti e discenti, che vivono nel mondo della scuola, davanti a una simile insubordinazione reagisce, eccome, con estrema rapidità e agilità, e prende provvedimenti rigorosi per punire il disobbediente, il sovversivo.
Un esempio, fra i mille e mille, del clima di ordinaria follia che si respira nella scuola italiana. In una certa classe di una certa scuola elementare c’è un bambino che gli "esperti", gli psicologi, hanno qualificato iperdotato e problematico. E poiché nella cultura politicamente corretta i nomi sostituiscono le cose, e le formule prendono il posto della realtà, la fama di essere iperdotato gli procura il rispetto e l’ammirazione delle maestre, mentre quella di essere problematico lo autorizza ad abbandonarsi a ogni sorta di capricci e intemperanze, nonché il diritto a essere seguito da un’apposita psicologa, la quale, peraltro, con lui non ha mai cavato un ragno dal buco. Quando gli vengono le sue crisi isteriche, si getta per terra e rende impossibile la vita a tutti i compagni per una intera mattinata. Se, poi, qualche volta accade che le maestre si lamentino con la famiglia del suo comportamento, e segnalino a casa alcuni dei suoi capricci, la famiglia reagisce male, con fastidio, con irritazione, come se fosse stata disturbata nella sua tranquillità e senza minimamente interrogarsi se il bambino, da parte sua, non crei dei problemi ai suoi compagni e a tutto l’ambiente nel quale è inserito. Conclusione: a esser problematico non è lui, ma lo è la sua famiglia. Il fatto, però, che a delle famiglie del genere — che sono sempre più numerose nel panorama scolastico – venga concesso tanto spazio; che siano tanto temute e così pazientemente sopportate; che le maestre non osino contraddirle, non si permettano di metterle al loro posto, come farebbe qualsiasi professionista davanti a un cliente che pretende d’insegnargli, oltretutto in maniera scortese, come si deve fare il suo lavoro, dice tutto sul clima di folle demagogia populista (questa vola sì, nel senso negativo del termine) nella scuola italiana, e non solo nella scuola, ma, come dicevamo, anche in ogni altro ambito della vita sociale.
Questo, ripetiamo, è solo un esempio fra i tanti; lo si può trasporre, mutatis mutandis, in un centro di accoglienza per sedicenti profughi, o in una qualsiasi azienda pubblica, o a bordo di un treno o di un autobus, o in un ospedale, o nel contesto di una causa giudiziaria. Qual è il tratto comune che lega innumerevoli micro (e qualche volta pure macro) episodi di questo genere, o di analogo tenore, anche in ambiti diversi da quello dalla scuola pubblica? Da un lato, la carenza o l’inconsistenza di una chiaro progetto educativo: un progetto educativo che tenga conto del bene comune, cioè di tutti i soggetti interessati, e non solo di alcuni, considerati, a ragione o (spesso) a torto, bisognosi di speciali attenzioni e meritevoli di particolari privilegi; dall’altro, la timidezza, l’acquiescenza e la masochistica tolleranza nei confronti dell’arroganza e della invasività di certe famiglie, che sono poi le vere o comunque le principali responsabili del comportamento inadeguato dei loro rampolli. Se una banda di ragazzini disturba seriamente i viaggiatori di un autobus, e minaccia l’autista che chiede loro il biglietto; se il cortile della palestra dell’oratorio parrocchiale è sempre ingombro di cartacce e di porcherie, gettate con noncuranza dai cari pargoletti; se una comitiva di giovani o una squadra sportiva lascia le stanze d’albergo in condizioni deplorevoli, come se le avesse devastate un ciclone, di chi è la responsabilità, in ultima analisi, se non delle famiglie? A chi bisogna chiedere conto del comportamento di quei ragazzi, se non alle famiglie, oltre, naturalmente, ai loro insegnanti e ai loro accompagnatori o allenatori sportivi? Ma gli insegnanti, gli accompagnatori e gli allenatori, così come i catechisti e il parroco, possono fare ben poco, se la famiglia non dà ai giovani una seria impronta educativa, se non li abitua, al suo interno e fin dai primissimi anni, ad assumersi le loro responsabilità, a rispettare le regole, a essere maturi e coscienti di sé, e a rispettare le persone e le cose; e inoltre a collaborare con il personale educativo che, per un certo numero di ore al giorno, si prende in carico i loro ragazzi. Oggi si direbbe che molte famiglie abbiano completamente obliato il fatto che mettere al mondo dei figli significa anche preoccuparsi di dar loro una educazione integrale, e, al tempo stesso, assumersi essi per primi la responsabilità di quanto i figli possono fare di sbagliato, di pericoloso, di pregiudizievole per se stessi, per gli altri e per l’ambiente. Non solo: si direbbe che un numero crescente di genitori, e specialmente di mamme, per lo più giovami, carine, vestite alla moda e spesso anche palestrate, oltre ad essere costantemente sull’orlo di una crisi di nervi per la manifesta incapacità di farsi ascoltare e di esercitare un ruolo autorevole rispetto ai propri figli (tutti ricordiamo le mamme che accompagnarono, all’una di notte, i loro figli undicenni alla discoteca di Corinaldo, al tragico appuntamento con la morte, solo perché non seppero dire loro un bel no, salvo poi cercare all’esterno dei capri espiatori sui quali riversare la loro rabbia e il loro dolore), paiono anche aver maturato la strana convinzione che il mondo intero, a cominciare dalla scuola, sia in debito verso di loro; che, se le insegnanti si lamentano del cattivo comportamento dei loro figli, sono delle incapaci, delle sfaticate e delle rompiscatole; e che se quei figli picchiano i compagni, insultano le maestre, danneggiano l’aula o gli arredi scolastici, chi si deve scusare, non si sa bene perché, sono proprio le maestre, i bidelli, e magari anche il sindaco e l’assessore alla scuola, tutti insomma, ma non certo loro, che anzi si vedono come delle intrepide eroine, lasciate sole e incomprese da tutti, e ciononostante ben certe di avere tutte le ragioni del mondo a protestare e a pretendere maggiore impegno da parte degli altri. È sempre la solita storia: quando si tratta di prendesi dei meriti, allora i meriti sono tutti dei genitori: se il bambino è bravo, se è educato, se è rispettoso, se è intelligente, eccetera; ma quando si tratta di farsi un esame di coscienza e chiedersi perché il bambino è nervoso, aggressivo, isterico, caratteriale, o se è semplicemente svogliato e strafottente, allora la responsabilità va cercata senza dubbio negli altri, i quali non sanno capire, non sanno dialogare, non sanno farsi ascoltare, non sanno tenere la linea giusta, insomma sono una massa d’incapaci.
Il bello è che l’autorità, di qualunque tipo e a qualunque livello, tifa sistematicamente non per chi fa il proprio dovere e cerca di far rispettare l’ordine, le regole, la legalità, ma, al contrario, per chi la mette costantemente in crisi, per chi disprezza le regole, per chi crea disturbo al prossimo, anche in maniera grave. Che dire di quel dirigente scolastico che, in una scuola presso Treviso, ha aperto un provvedimento disciplinare a carico di quel professore che ha subito un pestaggio da parte di un genitore, perché aveva rimproverato suo figlio? Che dire di quel giudice che ha condannato per abuso d’ufficio il capotreno della linea Padova-Belluno, che ha fatto scendere dal convoglio un viaggiatore senza biglietto (un africano) il quale, oltre a non voler obbedire, gli aveva anche rifilato un paio di ceffoni? Che dire del questore il quale prende provvedimenti a carico dei poliziotti che la sera, di pattuglia, durante il controllo dei documenti del solito spacciatore straniero, si macchiano dell’orribile reato di abuso di potere, perché il giovanotto in questione si mette a scalciare e sferrare pugni come un forsennato, e magari si graffia le nocche sul visto di un tutore delle forze dell’ordine, suscitando il coro indignato di tutta la stampa e di tutti i salotti televisivi politicamente corretti? E che dire – su un altro versante, quello religioso – di quell’arcivescovo di Gorizia che ha fatto trasferire il parroco di un paesino il quale aveva chiesto al capo-scout di lasciare la sua funzione, dopo che costui si era sposato civilmente con un uomo, e che alla fine è rimasto trionfante al suo posto, nella parrocchia e nei campi scout, e così pure è rimasto, "vittorioso", il vice-parroco che lo aveva sostenuto, e si era schierato contro il suo parroco? In tutti questi casi, e in cento e mille altri che potremmo citare, in una infinita litania ormai sempre più monotona, fino al magistrato siciliano che mettere sotto inchiesta un ministro dell’Interno per sequestro di persona, perché ha fatto ritardare di cinque giorni lo sbarco dell’ennesima infornata di clandestini, emerge il ritratto di un Paese assurdo, di una società alla rovescia, di una contro-scuola, una contro-giustizia, una contro.-chiesa, ciascuna delle quali sta facendo del suo meglio, o piuttosto del suo peggio, per rendere la vita e il lavoro impossibili a quanti, con onestà, coscienza e coraggio, cercando di svolgere il loro compito nella maniera più giusta e responsabile.
Ora, la domanda è questa: quanto può durare ancora, una società del genere? Qualche decennio? Qualche anno? Qualche mese? E poi, che succederà? Quale futuro ci attende, al termine di una simile deriva verso la follia? Ci permettiamo di cogliere una inquietante analogia, non certo perché proviamo il minimo piacere a fare i profeti di sciagura, ma perché l’analogia emerge con forza irresistibile dai fatti, beninteso a chi conosce un po’ la storia italiana, non per come la raccontano, da troppo tempo, i libri e i programmi politicamente corretti, ma per come è stata realmente, anche se ciò dispiace ai fautori dell’ideologia anti-nazionale e anti-cristiana oggi al potere. L’analogia è questa: l’Italia di oggi assomiglia terribilmente all’Italia degli anni che vanno dal 1919 al 1922. L’ordine, le regole, la stessa legge morale naturale (da dove nascono i bambini? non si sa; proibito dire che nascono da una madre e un padre) vengono infranti tutti i santi giorni da una serie di comportamenti diffusi, che rivendicano la loro assoluta liceità, anche se, considerati con occhio spassionato, appaiono semplicemente aberranti e antisociali. E la cosa significativa è che si tratta di comportamenti e atteggiamenti che provengono da una minoranza della popolazione, sostenuta da una ideologia permissiva, buonista, favorevole all’affermazione arrogante di alcune minoranze a danno della maggioranza; una ideologia talmente folle e talmente aggressiva, da aver descritto come un evento eversivo, oscurantista, odioso, intollerabile, il Convegno mondiale della Famiglia che si svolge ogni anno, ma che quest’anno si è tenuto a Verona, il che ha suscitato le ire funeste di tutte le Boldrini, le Gruber, le Cirinnà, e naturalmente di tutti i Martina, gli Zingaretti, i Vendola, eccetera, eccetera. Una minoranza di femministe e di esponenti della sinistra, ispirati essenzialmente dall’ideologia radicale (i radicali, col loro 1 o 2% dei voti governano di fatto l’Italia; qualcuno se n’è accorto?) impongono al Paese un clima di disordine cronico e auto-mortificazione che esaspera sempre più la maggioranza silenziosa, la quale finora ha sopportato fin troppo pazientemente. Fino a quando continuerà a sopportare? La parte sana della società si rende conto che il buonismo a senso unico e la rivendicazione selvaggia e unilaterale di sempre nuovi diritti, specie da parte delle minoranze iperprotette, ha innescato una spirale distruttiva senza fondo, che finirà per travolgere tutto il corpo sociale. Non si può consentire che chi sa solo distruggere, criticare, frapporre ostacoli in nome del proprio presunto diritto, spadroneggi e ponga il giogo sulla groppa di tutti gli altri, quelli che lavorano, rispettano le regole, cercano soluzioni, sono disponibili al confronto costruttivo. Bisogna fermare una simile spirale, prima che sia troppo tardi. Il buonismo e la crociata per i diritti sono solo lo schermo dietro il quale c’è qualcuno che persegue la distruzione della società intera…
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