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Chi è il suprematista, oggi?

Siamo pronti a scommettere l’ultima camicia che la stragrande maggioranza delle persone, in Europa, non aveva mai sentito parlare del supermatismo bianco fino al drammatico attentato in due moschee di Christchurch, in Nuova Zelanda, avvenuto il 15 marzo 2009. Chissà cosa ne penserebbe la buonanima di Kazimir Malevic, il pittore russo che, nel 1915, fondò il movimento artistico del suprematismo, basato sulla concezione dell’arte per l’arte: eppure il suo famoso Quadro nero su fondo bianco, paradossalmente, potrebbe rappresentare simbolicamente la situazione ideologica in cui ci troviamo proprio in questa fase storica. Dopo la strage, è stato un diluvio di giaculatorie di tutto il mondo politicamente corretto, a cominciare dal solito don Ciotti, il quale, trionfante, ha potuto dire alla televisione: Ecco la prova che il razzismo esiste, non è folklore!, dando per scontato ciò che andrebbe, invece, dimostrato: che il "razzismo", o ciò che viene definito tale, è sempre e solo quello dei bianchi nei confronti della gente di colore, e mai viceversa. Certo, questa è la versione delle cose che da decenni ci viene martellata nella testa da tutti i mezzi d’informazione, nonché dai professori di scuola e dai libri di testo; ma è proprio così? Ci sarebbe un sistema semplicissimo per verificare se queste persone, che parlano sempre e solo de razzismo dei bianchi contro gli altri popoli, e specialmente contro i neri, sono in buona fede, o no: cioè nominare la Repubblica Sudafricana. Allora si può vedere se costoro sono semplicemente degli ingenui e degli ignoranti, che parlano senza conoscenza di causa, o se sono coscientemente ed esplicitamente in mala fede, cioè dei bugiardi di professione. Perché del Sudafrica i nostri mass media, i nostri professori e i nostri libri di testo non parlano mai: si sono fermati alla santificazione di quel criminale che è stato Nelson Mandela. Del fatto che oggi, in quel Paese, vige un crudele razzismo alla rovescia; che i bianchi vivono asserragliati nelle loro case e nelle fattorie, nel terrore di essere uccisi e rapinati, e che è in corso una emigrazione silenziosa, continua, verso altri Paesi, come l’Australia, perché nessuno di loro si sente più minimamente sicuro, i nostri mezzi d’informazione, rigorosamente politically correct, si guardano bene dal dire qualcosa. È logico: il pubblico deve restare con il sapore dolce dell’abolizione pacifica del regime di Apartheid; non deve sapere che il seguito della storia è amaro e che manca del tutto il lieto fine. Soprattutto, non deve sapere che i neri possono essere razzisti, aggressivi e spietati quanto e più di quel che non lo fossero, prima, i bianchi; non deve sapere che, ora che hanno preso il potere con la forza del numero, i neri hanno instaurato in quel ricchissimo Paese in un regime da incubo, che oltretutto lo sta portando verso il tracollo economico.

E nondimeno, qual è il pericolo che minaccia la pace e la giustizia nel mondo, in questo momento storico? La risposta di tutto il coro degli intellettuali, dei giornalisti, dei politici, dei preti e dei militanti delle organizzazioni non governative è pressoché unanime: il suprematismo bianco. Eh, già. E allora andiamo a vere che cos’è, questo suprematismo: una rapida navigazione in rete ci renderà edotti che si tratta di uno spauracchio senza alcuna sostanza, messo lì come è stato messo il "fascismo", in questi lunghi decenni che ci separano dal 1945, per giustificare tutte le ammucchiate, tutte le porcherie, tutti i ladrocini e tutte le furfanterie della prima e della Seconda Repubblica: vale a dire una testa di turco talmente utile e necessaria che, se non ci fosse stata, la si sarebbe dovuta inventare. Tanto per cominciare, non è un movimento unitario, ma una galassia di tendenze e gruppuscoli che hanno avuto il loro momento di fulgore parecchi decenni fa, specialmente nella prima metà del Novecento. Pertanto, è già una forzatura parlarne come di una organizzazione unitaria: non c’è nessun suprematismo, ci sono, e ci sono stati, alcuni suprematisti. Poi, il nome: generalmente queste tendenze e questi gruppuscoli, diffusi quasi tutti nei Paesi anglosassoni, sono noti col nome di White Power: e qui si tace sulla contrapposizione al Black Power delle Pantere Nere e di atri gruppi terroristici, neri ed islamici, che hanno insanguinato gli Stati Uniti nel secolo scorso, accomunati, oltre che dalla violenza, dalla esplicita affermazione della superiorità africana sui bianchi. Però, chi lo sa, forse la parola suprematismo piace di più ai signori progressisti, perché ha un suono più forte, più pastoso, e anche più inquietante della semplice e quasi borghese espressione "potere bianco" o "supremazia bianca"; e allora, avanti col suprematismo. Terzo: andiamoci piano con l’identificare queste tendenze e questi movimenti con il "razzismo" che, secondo don Ciotti, la Boldrini, Gad Lerner, Lilli Gruber, e tutti i signori del Pd, starebbe imperversando nel nostro Paese, a causa del prevalere delle forze populiste e sovraniste, così come si profila minaccioso, a loro credere, in tutta Europa. Per costoro, chiunque abbia il sia pur minimo dubbio sulla bontà della politica dell’accoglienza indiscriminata, e sulla perfetta naturalezza e liceità dell’immigrazione selvaggia proveniente dalla sponda sud del Mediterraneo, è un "razzista", quanto meno in potenza. Di qui a identificarlo, o imparentarlo, almeno in maniera implicita, con i suprematisti bianchi che uccidono nelle moschee di un Paese che si trova agli antipodi del’Italia, la Nuova Zelanda, il passo è relativamente breve. Ma è un passo che avviene solo nelle loro teste, non nella realtà. Come al solito, fanno tutto loro: formulano il teorema, danno le parti, dividono i buoni dai cattivi, e, quanto a se stessi, si collocano sempre, infallibilmente, dalla parte giusta, quella dei buoni, e pongono chi non è d’accordo fra i cattivi: fra i razzisti, gli omofobi, gli intolleranti, e, tra poco, fra i suprematisti. Qualcuno, a questo punto, verrà fuori a ricordarci il caso di Luca Traini, l’uomo che voleva vendicare Pamela Mastropietro, uccisa e tagliata a pezzi, poi messa in valigia dai membri della mafia nigeriana della droga. Ma davvero si può presentare Luca Traini come una prova, o un indizio, del fatto che in Italia non solo c’è il razzismo, ma anche il suprematismo, o poco meno? Via, siamo seri. Senza contare il piccolo dettaglio che, fino a quando accadranno tragedie come quella di Pamela, a qualcuno — sbagliando – pruderanno le mani dal desiderio di far qualcosa, visto che la magistratura italiana, generalmente parlando, è sempre dalla parte degli immigrati clandestini, anche quando delinquono. E non è un problema solo italiano: come mai le signore femministe, alla Boldrini, non parlano mai degli stupri di Colonia? Eppure, non si trattò di qualche caso isolato, ma di una aggressione sessuale organizzata su vasta scala, e attuata con estrema decisione, da decine e centinaia di persone, nel bel mezzo di una grande città tedesca, nel pieno dei festeggiamenti di Capodanno, sotto il naso, per così dire, della polizia, e alla faccia di quanti parlano con leggerezza di accoglienza e integrazione. Come mai queste signore, che ci rintronano gli orecchi con i femminicidi e le violenze maschiliste, tutti i santi giorni, hanno perso la lingua e la memoria, quando si tratta degli stupri di Colonia?

Il suprematismo, o l’idea della propria superiorità razziale, non è solo dei bianchi; anzi, in questa fase storica possiamo dire tranquillamente che è soprattutto degli altri. Ci sia consentito citare due fatti di micro-violenza accaduti in questi giorni nella parte d’Italia in cui viviamo, il Nord-Est. La sera dell’8 marzo, festa della donna, una vigilessa di Conegliano ha ricevuto una ginocchiata in faccia da un clandestino del Gambia di 34 anni, che le ha spaccato l’arcata dentale superiore; e costui è tuttora a piede libero. Era stato accolto come profugo, ma il suo permesso di soggiorno era scaduto. Nondimeno, se ne andava in giro a molestare i clienti di un supermercato; poi, ubriaco, si era gettato in mezzo alla strada. La vigilessa, con altri colleghi, era impegnata a tirarlo indietro, perché le automobili non lo travolgessero. Due giorni dopo, sempre nella stessa zona, un autista di una corriera di linea in pubblico servizio è stato aggredito da un altro uomo del Gambia, che poi è riuscito ad allontanarsi senza venire acciuffato. L’autista si è preso un pugno in faccia che lo ha mandato all’ospedale, mentre si trovava seduto al volante del suo mezzo. La ragione dell’aggressione è stata un brusca frenata, che l’uomo si è visto costretto a fare, a causa della fermata improvvisa dell’automezzo che aveva davanti: quella brusca frenata non è piaciuta al signore gambiano, e lo ha fatto sapere prendendo a pugni il conducente. Fatti di minor rilevanza, senza dubbio, Certo, Solo che, da queste parti, ne accadono due, cinque, venti al giorno; per non parlare delle rapine nelle abitazioni e negli esercizi commerciali, ai quali la gente si è ormai quasi rassegnata. Né crediamo che in altre parti d’Italia e d’Europa le cose vadano molto meglio. Quanti sanno che Stoccolma l’ordinata e civilissima Stoccolma, la Stoccolma della nobile crociata ambientalista e "climatica" lanciata dalla piccola Greta Thunberg (quella che riceve il baciamano dal signor Juncker) è divenuta, grazie alla massiccia e rapidissima immigrazione/invasione islamica, la capitale europea degli stupri? E ora torniamo al concetto di suprematismo. Se un bianco avesse preso a ginocchiate in faccia una vigilessa nera, in un paese africano; se un bianco avesse preso a pugni un guidatore di autobus nero, in un Paese islamico: come avrebbe recepito il fatto l’opinione pubblica di quei Paesi? Come ne avrebbero parlato i mezzi d’informazione? E soprattutto, come avrebbe reagito la gente comune? Da noi, vige la più ferrea auto-censura. Giornali e telegiornali cercano, semplicemente, di non parlare di fatti del genere, se vedono come protagonisti degli immigrati, e tanto più se clandestini (quasi che i clandestini avessero maggior diritto alla comprensione, per non dire all’impunità, degli immigrati regolari, i quali sono censiti all’anagrafe, pagano le tasse e svolgono un lavoro; se proprio ci sono costretti, ne parlano omettendo le generalità del violento, del delinquente; al massimo dicono: residente a ***, ma evitando di specificare se è un marocchino, o un nigeriano, o un gambiano, eccetera. Lo fanno quando proprio non è assolutamente possibile evitarlo. Viceversa, se si tratta di un fatto di cronaca che ha come protagonista negativo un italiano, si affrettano a spiattellarlo già dall’attacco dell’articolo o del servizio: un italiano di trentadue anni ha fatto questo e quest’altro. Pare quasi che ci provino gusto a dire chi è, e a specificare che è un italiano. Eh, sì: tutto per far contenti i don Ciotti, i Bergoglio, i Zingaretti, i Martina, i Fiano, le Cirinnà…

Appunto, le Cirinnà. Abbiamo accennato, poc’anzi, all’accostamento che il politicamente corretto non manca mai di fare tra razzismo e omofobia. Ma la signora Cirinnà che se ne va in strada con un cartello con su scritto: Dio, patria, e famiglia: che vita de merda!; e che pretende, con toni esagitati, che il governo ritiri il patrocinio alla manifestazione delle famiglie che si terrà a Verona a fine marzo 2019, definendolo un evento pericoloso, medioevale, discutibile, mentre il ministro della Sanità, Grillo, in quota 5 Stelle, autorizza la distribuzione del farmaco blocca-ormoni per favorire il cambiamento di sesso degli adolescenti, a spese del servizio pubblico: tutto questo non si configura come suprematismo omosessualista? Odiare, denigrare, insultare la famiglia (nonché Dio e la Patria), ve bene; propagandare l’ideologia gender negli asili e nelle scuole, va bene; far pagare a tutti i cittadini le "medicine" affinché qualche disgraziato ragazzo o ragazza imiti l’esempio di Luxuria e si faccia transessuale, tutto questo va bene: ma organizzare un evento in cui si proclama, senza odio per nessuno, la bellezza della famiglia naturale, formata da uomo, donna e bambini, tutto questo è male, è medioevo, è pericoloso, è discutibile. E come chiamare tutto ciò, se non come suprematismo gay? Che delle amministrazioni pubbliche e perfino delle università sponsorizzino nobili eventi culturali, come il Gay Pride, va bene, ciò non desta alcuno scandalo; ma che il governo sostenga un incontro a favore della famiglia, questo sì che è inaccettabile! Ecco, appunto: questo è il suprematismo della minoranze a danno della maggioranza.

Stiamo andando verso un mondo alla rovescia In Francia è stata approvata, grazie al presidente Marcon e al suo partito, En Marche, la legge che vieta, nelle scuole, l’uso delle parole padre e madre, giudicate "obsolete" e soprattutto discriminatorie nei confronti dei bambini e dei ragazzi che hanno due genitori dello stesso sesso. Le maestre e i professori dovranno dire: genitore 1 e genitore 2. Viene abolita per legge la prima parola che ogni essere umano, venendo al mondo, pronuncia: mamma. Si deve cancellare il fatto biologico della maternità, in omaggio all’ideologia gender. La madre è una cosa del passato; oggi un figlio può nascer en molte maniere. Peccato che, come osserva la dottoressa Silvana De Mari, un ombelico ce l’abbiamo tutti, fino a prova contraria. O no? E se abbiamo l’ombelico, quello è il segno, quella è la prova che abbiamo una madre: la signora che stava dall’altra parte del cordone ombelicale. Ma come si vuol negare l’evidenza nel caso del suprematismo, presentato come una minaccia del mondo bianco verso il mondo di colore, mentre è vero, oggi, l’esatto contrario; così si vuol megare l’evidenza che la natura ha fatto gli individui maschi e femmine, e che la sessualità è l’incontro del maschile e del femminile (non di due individui dello stesso sesso), con la possibilità della procreazione. La quale non avviene, ci sia permesso dirlo, quando il pene viene introdotto in un luogo diverso da quello cui la natura l’ha destinato. Ma i signori del politicamente coretto non lo accettano. In nome dei "diritti" delle minoranze discriminate (?) danno torto alla natura, pur di far valere le loro folli e macabre teorie…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Christian Lue su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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