Se la storia è teofania hegeliana, quale Dio ci salverà?
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12 Giugno 2022Sono almeno tre secoli che l’Europa mal sopporta il cristianesimo; o, per essere più precisi, sono almeno tre secoli che la parte veramente decisiva delle classi dirigenti europee, quella che si origina dal grande potere finanziario, ha deciso di farla finita col cristianesimo, di recidere le radici cristiane della civiltà europea e di tirare un rigo sulla loro memoria. Se non che, per togliere qualcosa di essenziale bisogna avere sottomano qualcosa che sia capace di sostituirlo, altrimenti crolla tutto l’edificio. Con che cosa quei signori hanno deciso di sostituire il cristianesimo, dopo averlo estromesso e possibilmente cancellato perfino dal ricordo?
Per rispondere a questa domanda, basta osservare come si sono regolati i governi rivoluzionari che si sono succeduti in Europa a partire dal 1789: governi portati al potere dall’azione spregiudicata di movimenti rivoluzionari, a loro volta diretti, organizzati, e soprattutto sovvenzionati, dalla grande finanza apolide, in gran parte ebraica.
Il caso della Francia: all’attacco contro il clero "refrattario" e alla persecuzione dei religiosi, più che altro funzionale all’esproprio dei beni della Chiesa, è succeduta la fase della scristianizzazione vera e propria, nel 1793-94, in realtà partita dai sanculotti e non voluta, ma subita da Robespierre. Il quale, peraltro, con poca coerenza, pur cercando di limitare gli eccessi della scristianizzazione, volle addirittura creare una nuova religione, il culto dell’Essere Supremo, e farsene sommo sacerdote mediante una colossale e grottesca cerimonia in Campo di Marte, a Parigi: mossa che probabilmente fu la goccia che fece traboccare il vaso dell’ostilità repressa dei suoi segreti oppositori e preparò la sua caduta il 9 Termidoro 1794. In conclusione, i fautori della scristianizzazione abolirono la domenica (e la settimana), sostituendola con un giorno festivo ogni dieci dì; sostituirono il culto dei "martiri" della Rivoluzione a quello dei santi cristiani; sostituirono i dodici mesi dell’anno con un nuovo calendario, basato sulle stagioni agricole e sui lavori dei campi; e naturalmente chiusero le chiese e i conventi, in qualche caso profanando i luoghi sacri e massacrando i preti e le religiose. Che esito ebbe il tentativo? I risultati furono piuttosto modesti: già sotto il Direttorio, e poi con Napoleone, vi fu un graduale ritorno all’ordine di cose precedente; con la Restaurazione, poi, ogni traccia di quel tentativo fu spazzata via. Il popolo francese mostrò di voler restare legato alla fede dei padri, in certi casi, come nella Vandea, fino ad affrontare una guerra di sterminio condotta dal governo rivoluzionario e terrorista. Questo, nelle province rurali. Nelle città, e specialmente a Parigi, l’esperienza anticristiana mise invece radici inestirpabili, come si vide durante la Comune del 1870, con la fucilazione di Georges Darboy, arcivescovo di Parigi, da parte dei rivoluzionari. Le radici anticristiane di Parigi, preparate peraltro dal libertinismo del XVII secolo, poco alla volta crebbero e permisero di ricominciare l’opera, in maniera meno violenta ma anche più sistematica, fino alle leggi anticlericali del 1905 che segnano il punto di non ritorno. Si crearono due società parallele e parzialmente mescolate: quella cristiana, aggrappata alla tradizione, alla parrocchia, al sacerdote e al vescovo, a tutto il modo di vita ricevuto dalla tradizione cattolica; e quella anticristiana, che aveva ricevuto l’atto fondativo con l’Enyclopédie ed era stata tenuta a battesimo da Voltaire e dagli altri philosophes. E poiché Parigi non è la Francia, con riguardo alla vita interna di quella nazione, ma lo è dal punto di vista dei rapporti internazionali, la capitale di una nazione ancora in gran parte cattolica assurse al rango riconosciuto di capitale della nuova Europa laicista, anticlericale e anticristiana, insomma una delle capitali designate del costituendo Nuovo Ordine Mondiale.
Secondo esperimento: la Russia del 1917. Qui la persecuzione atea e anticristiana fu ancora più esplicita: migliaia di chiese vennero chiuse e decine di migliaia di fedeli vennero imprigionati, deportati, e molti di essi non tornarono più. Proibita ogni manifestazione del culto, insegnato formalmente l’ateismo nelle scuole: è stato il più deciso sforzo per estirpare le radici cristiane da un Paese profondamente cristiano; e il regista dell’operazione era un ex seminarista, Stalin. Con che cosa si volle sostituire la religione cristiana? Con il culto del Partito Comunista, dotato anch’esso delle sue liturgie, dei suoi dogmi e perfino dei suoi sacrifici umani (le grandi purghe), fatti in nome del nuovo dio, il comunismo; e ci fu persino un nuovo sommo pontefice, infallibile, insindacabile, posto al di sopra di tutti non per diritto divino ma per il bene del popolo: ancora e sempre lui, Josif Stalin, l’uomo che causò la morte di almeno otto milioni di suoi connazionali. Il tentativo si è prolungato per alcuni decenni, fino al crollo del’Unione Sovietica, nel 1990-91, e il risultato è stato pari a zero. Le chiese sono risorte, sono state riaperte; la gente è tornata numerosa alle funzioni; i valori cristiani sono usciti dalle catacombe e hanno rimesso le radici, ad esclusione dei modelli occidentali, cioè globalisti, fondati sull’ateismo, il materialismo e il transgender. Insomma, fallimento totale e impietoso del tentativo.
Terzo esperimento: la Germania nazista. Fra il 1933 e il 1945 — l’esperimento è durato solo dodici anni, ma sembra che sia durato secoli per la sua brutalità e la sua spietatezza che hanno fatto regredire la civiltà europea a livelli meno che barbarici. Anche se è difficile, su un arco di tempo così breve, pronosticare cosa sarebbe accaduto se il nazismo fosse rimasto al potere una settantina d’anni, come il bolscevismo, e per giunta reso più forte da una vittoria militare di proporzioni mondiali, qualcosa si può dire in base a ciò che è stato fatto in quel dodicennio. I nazisti sentivano il cristianesimo – non solo la religione cristiana in se stessa, ma l’insieme della tradizione cristiana, anche in ambito culturale e morale – come un fardello insopportabile, e soprattutto come la negazione dell’autentico spirito germanico, cioè, nelle loro elucubrazioni razziste, ariano. Pertanto dovevano sradicare quel corpo estraneo, se non altro per la colpa indiretta di provenire dal ceppo dell’ebraismo, e per il fatto che Gesù stesso, i suoi Apostoli la sua Madre Santissima erano tutti ebrei. Ma come rimpiazzare un modello che, bene o male, aveva messo radici abbastanza profonde, tanto che già nell’800 d.C. Carlo Magno, una delle massime figure del germanesimo, aveva rifondato l’impeto romano d’Occidente su basi cristiane, e anzi perseguitando i tedeschi ancora pagani, come i sassoni? Infatti, per i nazisti, il modello luminoso al quale rifarsi non era certo Carlo Magno; come non lo erano, per lo stesso motivo, né i sovrano romano-barbarici come Teodorico il Grande, né gli imperatori tedeschi che vollero fare dell’Italia il baricentro dell’Impero, come Ottone III, Federico II ed Enrico VII. La "soluzione" fu duplice.
Si procedette pertanto in questo modo: da un lato si cercò di nazificare la Chiesa luterana (con quella cattolica non si tentò neppure), in particolare con la creazione del Movimento di fede dei cristiani tedeschi, la cui anima ispiratrice fu il teologo Friedrich Gogarten (1887-1967), il quale peraltro non aderì mai al Partito nazionalsocialista; dall’altro si volle creare una nuova religione, come aveva fatto Robespierre, ma seguendo la via opposta: non un deismo universalistico e cosmopolita, ma una "religione" tedesca imperniata sui valori razzisti del germanesimo, e quindi in certo qual modo pagana (e infatti l’eroe di questa "religione" non fu mai Carlo Magno, bensì Vitichindo, il re dei sassoni che resistette alla cristianizzazione del suo Paese). Nacque così il Movimento per la fede tedesca, che volle porsi come "terza via" e come superamento sia del cattolicesimo che del protestantesimo, fu riconosciuto legalmente dallo Stato ed ebbe le sue figure più rappresentative in Jakob Wilhelm Hauer (1881-1962), docente a Tubinga ed esperto conoscitore dell’induismo, al quale per certi aspetti volle rifarsi all’induismo (specie ai principi dottrinali della Bhagavad-Gita), e in Ernest Bergmann (1881-1945), figlio di un pastore luterano, già docente all’Università di Lipsia,o teorico di una profonda rivoluzione culturale che avrebbe dovuto traghettare il popolo tedesco dalla tradizione cristiana a una nuova fede puramente nazionale e immanentistica, una Deutschereligion, mediante la quale soltanto si sarebbero potuti recidere i legami spirituali con l’ebraismo (egli aveva sposato una donna ebrea, Gertrud Landsberg, dalla quale aveva successivamente divorziato).
Il lettore potrà approfondire per proprio conto i contenuti specifici di questa nuova religione, che nacque, visse e morì nel breve giro di pochi anni, travolta infine dalla sanguinosa caduta del Terzo Reich; e come in essa vennero istituite funzioni e liturgie destinate appunto a rimpiazzare, una per una, le funzioni e le liturgie cristiane, al fine di creare un "uomo nuovo", animato da un nuovo topo di religiosità, che, se si vuole, prendeva spunto non solo dal pensiero razzista di Alfred Rosenberg, ma anche da alcuni aspetti della filosofia di Nietzsche, come l’eterno ritorno dell’uguale e naturalmente la volontà di potenza. Basti dire che il suo simbolo era una ruota solare dorata (reminiscenza induista?) su fondo azzurro, e che cercò d’introdurre un "calendario agricolo" che ricordava un po’ quello sperimentato a suo tempo dai giacobini. Tuttavia il tentativo dei suoi esponenti di sostituire il cristianesimo naufragò miseramente, anche e soprattutto per l’ostilità degli esponenti di alto rango del regime che volevano restare saldamente ancorati alla fede cristiana, sia protestante che cattolica (e come poi vi riuscissero, all’interno di quella ideologia e di quelle azioni di governo, è questione che riguarda evidentemente la loro coscienza). Insomma, fu un fallimento anche tale esperimento: la "religione tedesca" non si diffuse al di fuori di una fascia ristretta della popolazione, perlopiù dei ceti inferiori, e non riuscì a esercitare un vero influsso sul regime, benché la cerimonia del matrimonio, per ingraziarsi Hitler, venisse officiata in presenza di una spada e una copia del Mein Kampf.
E tuttavia, anche se nel 1945 non sopravvisse alcunché di quel tentativo, non si può dire che esso non abbia esercitato un influsso, anche indiretto, sulla società negli anni ’30. È difficile immaginare che il regime nazista potesse far sopprimere centinaia di migliaia di disabili, col tacito consenso dell’intera società tedesca, se non si ammette che idee neopagane ed atee avevano modificato il Dna cristiano del popolo tedesco e lo avevano predisposto ad accettare, senza grandi difficoltà, una politica eugenetica e razziale radicalmente anticristiana e, per molti aspetti, disumana. Non bisogna però neppure sopravvalutare il ruolo svolto dal Movimento per la fede tedesca: è possibile, se non probabile, che il Dna del popolo tedesco fosse già stato modificato da tutto un insieme di fattori, uno soltanto dei quali fu il tentativo elaborato dai teorici della nuova religione; il quale, anzi, si può considerare più un effetto che una causa del disorientamento spirituale e intellettuale e del dilagare di correnti irrazionali e radicali, a partire dalla fine della Prima guerra mondiale, se non da prima ancora, dagli anni di formazione del Reich di Bismarck e della cosiddetta belle époque. Insomma vi era già un diffuso atteggiamento di stanchezza e rifiuto verso il cristianesimo e un potenziale ritorno al paganesimo, ad esempio nel movimento giovanile dei Wandervogel (uccelli migratori), che, pur non essendo esplicitamente anticristiano, per il suo entusiastico naturismo era il segno di un graduale, semicosciente allontanamento del sentire comune dall’educazione cristiana tradizionale e quindi una spia dell’esistenza di forze latenti di orientamento neopagano.
E ora vediamo più da vicino le posizione dei due massimi esponenti del Movimento per la fede tedesca, J. W. Hauer ed E. Bergmann, in modo da farci un’idea più precisa di quali fossero le loro idee e a che mirasse esattamente la loro azione. Ci affidiamo alla testimonianza di Mario Bendiscioli (1903-1998), bresciano, cultore di studi filosofici e di germanistica, che fece un viaggio in Germania negli anni ’30 e poté osservare da vicino fenomeni come quello in questione. Scriveva dunque Bendiscioli nel suo saggio Neopaganesimo razzista (Brescia, Morcelliana, 1937, pp. 29-32):
… Donde anche il suo [di Rosenberg] far derivare la propria dottrina razzistica dal suo esasperato nazionalismo con elucubrazioni d’un enciclopedismo mal digerito; donde la sua affermazione della necessità d’una religione tedesca e d’una chiesa tedesca che costituiscano il corrispettivo teologico-chiesastico dell’unità della razza e del Reich. Per quanto ne abbia formulati i principi e indicata la tattica, il Rosenberg non appartiene però al "movimento della fede tedesca" né sinora è formalmente uscito della chiesa luterana a cui appartiene
Questi [Ludendorff e Rosenberg] sono però in fondo dei "laici", penetrati senza titoli nel campo della teologia e della filosofia. Non mancano tuttavia i filosofi universitari, che per la loro condizione accademica dovrebbero possedere discernimento critico, sensibilità logica, cultura adeguata. Invece tutte, o quasi tutte, queste qualità difettano in modo sconcertante nei due corifei teologici del neopaganesimo razzista: nello Hauer e nel Bergmann.
Il primo, lo Hauer, è un autodidatta che, inizialmente operaio, entrando nelle missioni protestanti e studiando in India la religione induista fino al punto da… perdere quella cristiana, raggiunse la cattedra universitaria di storia delle religioni a Tubinga. Ormai vicino alla sessantina, ebbe nell’immediato dopo guerra un nome ed un seguito nel movimento giovanile in cui coltivò le aspirazioni di riforma religiosa dando loro un indirizzo radicale nel senso che conosciamo. Fu lo Hauer tra i primi ad avvertire ed a proclamare che la fede tedesca doveva essere l’aspetto religioso della ideologia razzista del nazismo; fu lui a raccogliere in una organizzazione unitaria le varie ed opposte correnti della religione germanica e ad avanzare per quest’ultima la pretesa d’essere la terza confessione ufficiale accanto al cattolicesimo ed al protestantesimo; fu lui infine a formulare per primo in un’ampia prospettiva storico-filosofica "la visione tedesca di Dio" combinando misticismo romantico con scientismo positivista, volontarismo dottrinale con radicalismo politico e facendo di tanti motivi divergenti il "pensiero razziale tedesco" ("Arteigenes Denken").
Meno organizzatore ma più ardito e fantastico il Bergmann, ordinario di filosofia a Lipsia, e tipico rappresentante della degenerazione a cui può arrivare la filosofia quando si distacca dal solido terreno del senso comune e rinnega i grandi principi della vita cristiana. È sostanzialmente un avventuriero della cultura: del sapere ereditato accoglie i motivi che più gli riescono consentanei, preoccupato soprattutto del nuovo e di mostrarsi d’accordo colla marea montante dei dominatori politici. Dopo aver portato nella filosofia e nella religione il fondiglio psicanalitico del Freud, quando questo teorico ebreo della sessualità era in auge, nella nuova atmosfera nazista s’è buttato con fervore sui nuovi motivi della RELIGIONE RAZZIALE, della CHIESA NAZIONALE TEDESCA (il suo libro di questo titolo fu messo all’indice col "Mito" del Rosenberg nel 1934), della GERMANIA TERRA DI FORMAZIONE DELL’UMANITÀ NUOVA, per concludere con un vero e proprio catechismo della nuova fede: LE 25 TESI DELLA RELIGIONE TEDESCA. (1934). Non è il caso di ripetere quel centone incoerente ed indigesto di misteriosofia, di idealismo di maniera, di scientismo equivoco, sia codesta dottrina del Bergmann: essa fa l’impressione d’un accozzo di parole sonanti tolte da dottrine e discipline diverse per far trovare a ciascuno nella propria formula quella che a ciascuno è familiare e così attrarlo ella propria orbita. Segno eloquente della sua inconsistenza dottrinale è che, membro influente del movimento della fede tedesca da principio, ne fu presto escluso pel disordine che apportava colle sue fantasie a getto continuo, oltre — naturalmente — che per la rivalità personale collo Hauer, il quale nel 1937 ha finito per staccarsi egli pure dall’organismo cui aveva dato vita nel 1933. Anche fuori dell’organizzazione il Bergmann rimane però un propagandista assai pericoloso delle idee neo-pagane,soprattutto per l’abilità che possiede di adattarle alle esigenze della politica, anzi di inserirle in quest’ultima come suo naturale sviluppo sul terreno filosofico-religioso secondo l’esigenza totalitaria conclamata.
La conclusione di questa breve panoramica è che già diversi tentativi in grande stile sono stati fatti, dalla Rivoluzione francese in poi, per sradicare il cristianesimo dall’Europa e dai Paesi di civiltà europea (in Messico nei primi decenni del 1900, ad opera di governi massonici e radicali estremisti) e rimpiazzarlo con qualcosa d’altro: dei surrogati più o meno credibili, più o meno esplicitamente contrapposti alla tradizione cristiana. Nessuno di essi è riuscito. Il Movimento per la fede tedesca rimane una curiosità storica, del quale il grosso pubblico non è neppure a conoscenza; e i nomi di J. W. Hauer ed E. Bergmann, assai noti nel Terzo Reich hitleriano, sono caduti completamente nel dimenticatoio. Eppure noi sappiamo, e lo vediamo tutti i giorni, che le forze anticristiche impegnate in questa presunta "battaglia di civiltà" (sempre per usare le parole del Bismarck: Kulturkampf), ossia l’estirpazione del cristianesimo, e specie del cattolicesimo, dal mondo moderno, non hanno affatto rinunciato ai loro intenti. Quale sarà la loro prossima mossa? Lo stiamo già vedendo: dopo essere riusciti ad infiltrarsi all’interno della Chiesa e aver conquistato la gerarchia, fino a snaturare la pastorale la morale cattolica (vedi il clero tedesco sulla questione delle unioni omosessuali) ora le forze anticristiche si accingono ad instaurare una religione sincretistica mondiale, di cui l’intronizzazione della Pachamama è stata solo un’avvisaglia e che dovrebbe andare molto oltre tale limitato obiettivo, ad esempio con gli incontri interreligiosi Astana. Fino a dove? È chiaro: fino ad instaurare il culto del diavolo al posto di quello di Gesù Cristo. In questo senso, l’imposizione del sacro siero, col pretesto dell’emergenza sanitaria, è l’equivalente di un contro-battesimo satanico…
Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Christian Lue su Unsplash