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17 Dicembre 2018Uno degli antichi palazzi di maggior prestigio di via Manin, l’antico borgo di San Bartolomeo (o San Bartolomio), ai piedi del lato meridionale del colle del Castello, il migliore perché il più soleggiato, è il Palazzo Mantica, al civico numero 18, che dal 1966 è divenuto la sede della Società Filologica Friulana. Sul luogo sorgeva un castelliere, il più antico di tutto il Friuli, venuto in luce durante i lavori di restauro del 2009, cioè dopo quelli seguiti al terremoto del 1976. Le origini del palazzo si perdono nei secoli passati; di certo esisteva nel XIV secolo, visto che nel 1492 venne ceduto alla famiglia Filettini da un certo Niccolò Vanni Onesti; circa sette decenni più tardi, nel 1560, passò per via dotale alla famiglia Mantica, di origini lombare, venuta a Udine al seguito dei Torriani. Fu sotto i mantica che il palazzo assunse le forme attuali; la facciata, però, conserva la struttura precedente: infatti la meravigliosa Madonna col Bambino, che spicca al centro di essa, sopra il portone, è del 1520. Nella seconda metà del 1700 un membro della famiglia Mantica, Pietro, volle costruire, sulla destra del palazzo e fino alla Porta di San Bartolomeo, un altro palazzo, a forma di elle, che giunge, inglobando la porta stessa, ad affacciarsi fin sul Giardino Grande (l’attuale piazza 1° Maggio). Questa parte più recente del complesso residenziale dei Mantica è passata più tardi in proprietà alla famiglia Chizzola, per cui è nota come palazzo Mantica-Chizzola. A differenza di quello più antico, caratterizzato anche esteriormente da una facciata rinascimentale di notevole pregio architettonico, il palazzo "nuovo" ha una modesta facciata settecentesca, ma in compenso possiede un interno ricchissimo di opere pittoriche, in particolare nel salone e nella galleria, affrescati da Francesco Chiarottini (1748-1796), allievo di Francesco Fontebasso, un artista cividalese molto dotato, che fu anche architetto ed era innamorato, romantico ante litteram, dei paesaggi con rovine, il quale proprio qui ha raggiunto il vertice della sua maestria (anche se per lungo tempo queste opere vennero pressoché dimenticate, e solo recentemente sono state "riscoperte"), e da Giambattista Canal (1745-1825), formatosi alla scuola del Tiepolo e considerato suo degno allievo, nonché uno dei migliori frescanti del suo tempo.
Abbiamo accennato all’opera più caratteristica della facciata del palazzo rinascimentale, che è anche un segno della pietà religiosa caratteristica delle vecchie case e degli antichi palazzi cittadini: la Madonna col Bambino circondata dagli Angeli, che probabilmente ha ispirato altri bassorilievi simili esistenti nella medesima zona della città, ma di fattura recente, novecentesca, in particolare quello di casa Spezzotti, in via della Prefettura, e quello sul muro esterno di palazzo Pontoni, in via piace, all’angolo di via Aquileia. Si tratta di una formella quadrata posta in mezzo e all’altezza dei due balconi al secondo piano, al di sotto di una pentafora dalle colonnine eleganti e dalla linea curva degli archi che si uniscono e creano un gradevole effetto di movimento assai composto. Il riquadro è circondato su ogni lato da una elegante decorazione in rilievo, formata da festoni di fiori e foglie d’acanto, con quattro foglie più grandi poste ai vertici, di squisita fattura, dove la pietra cede alla mano dell’artista e pare assumere la docilità e la pieghevolezza della seta. Sei cherubini paffuti formano una specie di mandorla intorno alla Madre che tiene in braccio il Bambino e che con la destra sembra offrirlo all’umanità, per la sua salvezza, piuttosto che reggerlo, e con la sinistra tiene una sfera, che probabilmente rappresenta la Terra, secondo una diffusa iconografia medievale (ma non ci avevano sempre raccontato che i medievali erano convinti che la Terra fosse piatta?), ponendola davanti al Bimbo, affinché la benedica. Gesù, infatti, con aria solenne, alza la manina destra, come in un gesto di benedizione: è come se Maria esortasse suo Figlio a compiere la sua opera di Redenzione del mondo, come già aveva fatto a Cana, quando lo aveva pregato di venire in aiuto di quei due poveri sposi. I volti della Madonna e di Gesù Bambino sono seri, non sorridenti; perfino i cherubini sorridono moderatamente: l’atmosfera è quanto mai pregna di solennità, perché nel doppio gesto della Madre verso il Figlio, e del Figlio verso il mondo, vi è la consapevolezza che il divino Redentore dovrà soffrire e affrontare il supremo sacrificio per rendere perfetto l’amore suo e del Padre nei confronti dell’umanità peccatrice. Non è uno scherzo la Redenzione del mondo, non è uno scherzo la Passione di Gesù Cristo: di ciò sembra già consapevole la Madonna, rammentando e meditando la profezia di Simeone (Luca, 2, 34.-35): Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima. Questo bassorilievo in pietra è dovuto alla mano di Carlo da Carona, noto anche come Carlo da Udine, scultore e lapicida friulano che ha lasciato numerose opere, documentate fra il 1509 e il 1545, sparse per tutto il Friuli, alcune purtroppo andate perdute (come l’altare della Chiesa di Santa Maria di Castello, a Udine); e che non va confuso con un artista omonimo operante poc prima, alla fine del XV secolo, a Genova e a Roma.
Riportiamo dal sito http://www.filologicafriulana.it/:
A seguito del terremoto del 1976, Palazzo Mantica venne sottoposto ad un primo intervento di restauro, intervento che terminò nel 1986 e che portò alla luce reminiscenze di un passato assai ricco. In effetti, la sede della Società Filologica ha mantenuto la stessa struttura voluta dai Mantica nella seconda metà del Cinquecento. Il suo maggior pregio architettonico è la facciata cinquecentesca che appare al tempo stesso austera ed elegante. Il piano superiore è dominato da una pentafora con due poggioli aggettanti alle estremità e una balaustra, a filo di muratura, al centro. Proprio al di sotto di tale balaustra è posto il bassorilievoMadonna con bambino circondata da cherubini, opera di Carlo da Carona, datata 1520 circa. All’interno si conservano frammenti di affreschi tardo-cinquecenteschi. Sempre del XVI secolo è un soffitto in legno con travi a vista e delle cantinelle, mentre sono tardo settecentesche alcune decorazioni di gustochinoiserie e ottocenteschi gli affreschi che adornano i soffitti di alcuni locali al primo piano.
È da cinque secoli, dunque, dal 1520, che la Madonna col Bambino di Carlo da Carona si affaccia sulla via Manin dall’alto di Palazzo Mantica, e che la Madre e il Figlio impartiscono la loro duplice benedizione sul borgo, sulla città e sul mondo. Noi, però, nati e vissuti in una casa che sorge a non più di trenta metri da lì, all’inizio di via Prefettura, dobbiamo con vergogna confessare di non averla mai notata, di non averne neanche avuto alcun sentore. Certo, un bambino non pensa ad ammirare le facciate delle case, né alza gli occhi verso i piani superiori, solo per un senso estetico; semmai ferma la sua attenzione sulle vetrine e sulle botteghe che si affacciano sulla via; nondimeno, è imbarazzante e quasi incredibile il pensiero che si possa nascere (allora si nasceva in casa, non all’ospedale) e trascorrere la propria infanzia e adolescenza senza mai accorgersi dell’esistenza di un elemento architettonico di tale bellezza e di tale valore religioso. Eppure quante volte, da bambini, ci siamo affacciati dalle finestre dell’appartamento della zia, che guardavano direttamene su via Manin, per veder sfilare la solenne, imponente processione del Corpus Domini, l’arcivescovo e i chierici in testa, e una lunghissima colonna di fedeli dietro a loro, che varcavano la Porta di San Bartolomeo e si dirigevano lentamente verso la Cattedrale. E quante volte siamo passati su quel marciapiedi, davanti al palazzo Mantica, andando o tornando dal Giardino Grande, per la Porta di San Bartolomeo. E quante volte abbiamo varcato il portone del numero 18 che allora dava accesso a un’autorimessa, dove il signor Zenzi metteva a disposizione un’automobile con l’autista, negli anni in cui ancora molte famiglie non avevano la macchina privata e per gli spostamenti fuori città si servivano di quelle pubbliche. E quante volte, dal colle del Castello, dove si andava a giocare nelle belle giornate estive, abbiamo contemplato la fila dei tetti del vecchio borgo, e le case e i palazzi che andavano dalla porta medievale sino a piazza Libertà, cuore di Udine. E mai ci siamo accorti di quella Madonna, scolpita da mani abili e amorevoli quasi cinque secoli prima, quando da poco i navigatori italiani avevano scoperto l’America, e Magellano non aveva ancor terminato la prima circumnavigazione del globo; e i Turchi minacciavano Vienna; e in molte campagne regnava ancora la servitù della gleba, e di tanto in tanto si verificavano sanguinosi scoppi di furore popolare, come nel Crudele Giovedì Grasso udinese del 1511; ma intanto stava già nascendo la moderna economia capitalista, dominata dai grandi mercanti-imprenditori e dalle banche speculative.
Tuttavia, a ben riflettere, vi è qualcosa di emblematico in questo fatto. Non si tratta solo della fretta e della trascuratezza tipiche della vita moderna, né solo della maniera abitudinaria e superficiale con cui guardiamo le cose che ci stanno intorno, specialmente se viviamo in città, ma è una vera metafora della nostra inconsapevolezza spirituale, della nostra ignavia di cristiani all’acqua di rose, di cristiani fino a un certo punto, come li chiamava giustamente Kierkegaard (grande Kierkegaard: quante cose aveva capito, lui protestante, in anticipo di quasi due secoli rispetto alla vita cristiana della modernità avanzata!). Maria ha detto Fiat all’Angelo annunciante, e Gesù ha detto al Padre sia fatta la tua volontà; ma gli uomini a malapena si sono accorti di ciò, e la maggior parte di essi ha seguitato a vivere come prima, indifferenti al dramma cosmico di Dio che si fa uomo e che prende su di sé la fragilità della carne, per vivere e morire in mezzo agli uomini, riscattarli dal male e mostrar loro come si possa fare della propria vita una incessante preghiera di lode e ringraziamento al Padre celeste. Come noi, passando e ripassando sotto Gesù e la Madonna benedicenti, non avevamo mai neppure notato la loro presenza, così ancora oggi, a duemila anni di distanza dal mistero della divina Incarnazione, milioni di uomini continuano a non curarsi di ciò che la venuta di Gesù Cristo nel mondo ha significato, e, se anche sono stati battezzati e cresciuti, teoricamente, nella fede cattolica, continuano a vivere in tutto e per tutto come abitanti della città terrena, non della patria celeste: legati per mille fili alle passioni di quaggiù, e ad esse solamente, senza mai rivolgere un pensiero a Dio, senza mai rivolgere una preghiera alla Madonna, e senza mai rispecchiare nei loro pensieri, nelle loro parole e nelle loro azioni la vita di grazia che viene dal Vangelo e dalla sorgente soprannaturale dei Sacramenti. La Madonna e Gesù Bambino, pertanto, da cinque secoli vegliano sul vecchio borgo di San Bartolomeo e sui suoi abitanti, sul susseguirsi delle generazioni, sull’avvicendarsi delle stagioni, delle guerre, dei rivolgimenti, sul mutare dei costumi, delle famiglie, delle abitudini, dei lavori; da cinquecento anni li guardano dall’alto e li benedicono, li assistono, li seguono, li confortano e trattengono da essi l’ira di Dio, sdegnato per i peccati sempre più gravi nei quali sprofonda la nostra società, e, cosa orribile a dirsi, per i vizi abominevoli di cui si macchiano anche molti membri del clero, addirittura l’abuso sui bambini che sono affidati fiduciosamente dalle loro famiglie (pochi minuti fa la televisione ha dato conto di uno di questi preti infami, condannato a quattordici ani di carcere per aver stuprato numerosi ragazzini e ragazzine nella parrocchia che gli era stata affidata). Ma gli uomini non lo sanno, non lo vogliono sapere; non se ne curano, non se danno alcun pensiero. Non è cosa che li riguardi: hanno faccende ben più importanti delle quali occuparsi, loro!
E così ci rendiamo conto, riflettendo, che la verità è che l’Europa, e il cosiddetto popolo cristiano, hanno accolto il Vangelo solo molto superficialmente; e che, a partire dall’inizio della modernità, or sono almeno sei secoli, decine di milioni di persone hanno seguitato a dirsi cristiane, senza più esserlo, se non in superficie. Ma nel profondo esse sono rimaste, o sono ritornate ad essere, pagane: non c’era e non c’è posto per Dio, nelle loro anime, ma solo per le cose del mondo. La cristianità ha cominciato a svuotarsi di sostanza vitale dall’interno, quando ancora resisteva vittoriosamente agli assalti provenienti dai nemici esterni: l’uomo carnale, come lo chiama san Paolo, invischiato nella palude dei piaceri disordinati, delle passioni indomabili, degli istinti vergognosi — quegli istinti che la moderna psicologia vorrebbe liberare senza alcun freno, perché reprimerli provoca la nevrosi! — ha scacciato con arroganza l’uomo spirituale, e così ha vanificato i misteri sublimi della Passione, della Resurrezione e della Redenzione operati da Cristo a beneficio di tutta l’umanità. Prima hanno ceduto i fedeli, poi ha ceduta il clero: e il male è partito dai teologi. Un pugno di cattivi teologi, a un certo punto, ha levato un grido: Basta con la mortificazione! Basta con la paura dell’inferno! Vogliamo una fede nuova, a misura dell’uomo!, e con ciò hanno aperto l’ultima e più terribile fase della disgregazione. I cattivi teologi hanno contaminato i cattivi vescovi, e questi hanno imposto il loro giogo sulla Sposa di Cristo, stravolgendola e rinnovando su di lei la Passione di Cristo. I buoni pastori sono stati denigrati e perseguitati, infine scacciati; e il gregge è rimasto in balia dei cattivi pastori, cioè di un clero apostatico, senza fede, ma ebbro di umano orgoglio. Eppure la via d’uscita esiste; il diavolo non ha ancora vinto la partita e non la vincerà. Il segreto è riscoprire l’umiltà della fede, come i bambini che Gesù amava: è alzare gli occhi e rivolgere l’anima a Lui e alla sua Madre…