
Sempre uguali: inguaribilmente contro noi stessi
16 Dicembre 2018
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16 Dicembre 2018Che la democrazia moderna sia fragile, non c’è bisogno di dimostrarlo: lo vedrebbe chiunque. Fragile agli attacchi esterni, fragile agli attacchi interni: sembra sempre sul punti di cadere, di sfasciarsi, e in effetti dà l’impressione di tenersi in piedi per miracolo e che, al prossimo colpo di vento, verrà inesorabilmente spazzata via. Resta da capire perché sia anche così aleatoria, così vacua, così volatile: più che liquida, come direbbe Zygmunt Baumann, inconsistente. È come se fosse fatta di niente, e niente la tenesse ancorata al mondo reale. Non si capisce nemmeno se c’è ancora o se se n’è andata via. Quando il presidente degli Stati Uniti d’America, dopo il (presunto) attacco terroristico delle Torri Gemelle, fa varare una legislazione d’emergenza che consente di arrestare e mettere in gabbia, nel senso letterale del termine, i sospettati, nella prigione illegale e incontrollabile di Guantanamo, sulla base di semplici indizi e senza la convalida di un magistrato (e tanti saluti all’habeas corpus, la decisiva conquista giuridica della monarchia costituzionale inglese nel XVII secolo), si può dire che ci sia ancora la democrazia in quel Paese, a partire dalla presidenza di George Bush junior? E quando gli uomini dei servizi segreti francesi fermano i gilets gialli, a Parigi, li pestano senza tante cerimonie e poi li fanno inginocchiare con la faccia contro il muro, e non si capisce nemmeno se siano veri poliziotti o mercenari arruolati chissà dove e chissà come (sono 14 i Paesi africani, ex colonie francesi, legati a filo doppio alla vecchia madrepatria, la quale, in barba ai trattati dell’Unione Europea, continua imperterrita a stampare una sua moneta per l’interscambio con essi, il franco africano), c’è ancora la democrazia, nella Francia di Emmanuel Macron? Il dubbio diventa ancor più dirompente quando si riflette che né Bush junior, né Macron, sono o sono stati i veri capi delle rispettive nazioni, ma solo dei mediocri prestanome, degli uomini di paglia, messi sulla poltrona più alta dalle manovre della lobby finanziaria, per fare quel che le grandi banche mondiali avevano e hanno in agenda: la sottomissione di ogni Stato alla logica del loro esclusivo vantaggio e profitto. A qualsiasi costo e con qualunque mezzo; e tanto peggio per i veri bisogni e i reali interessi dei popoli.
Che cos’è, dunque, la democrazia moderna? Lasciamo perdere quella greca dell’antichità: era troppo diversa e si attuava su una scala troppo più piccola per poter essere confrontata con quelle odierne. Atene, al tempo di Pisistrato, contava forse 20.000 abitanti; ma una democrazia di 60 milioni, come l’Italia, la Francia o la Gran Bretagna, di 80 milioni come la Germania, di 130 come il Giappone, di 150 come la Russia, di 330 milioni come gli Stati Uniti, o di 1.335 milioni come l’India, sono un’altra cosa. Oltrepassata una certa soglia, la differenza quantitativa diventa anche qualitativa: i meccanismi con i quali funziona una grande democrazia moderna sono essenzialmente diversi da quelli delle poleis antiche, e anche dei comuni medievali. Senza contare i cambiamenti dovuti alle ricadute della tecnologia elettronica, che consente, ad esempio, di far votare anche le persone fisicamente assenti, come i connazionali residenti all’estero, nonché di far conoscere in anticipo, con lo strumento dei sondaggi, le intenzioni di voto dei cittadini; e senza contare il fatto che alcune democrazie moderne, come quelle dell’Unione Europea, hanno attuato delle auto-limitazioni della sovranità per aderire a degli organismi di tipo sovranazionale. La democrazia moderna è figlia dell’illuminismo, della formazione di una opinione pubblica ad opera della stampa e dei mezzi d’informazione (o di disinformazione e di manipolazione, secondo i punti di vista) e soprattutto delle teorie di Jean-Jacques Rousseau sulla volontà generale e la sovranità popolare, idee non condivise da molti altri esponenti della cultura dell’Encyclopédie, a cominciare da Voltaire, che era un convinto sostenitore della monarchia assoluta, sia pure "illuminata". Rousseau partiva da una certa idea della natura umana: pensava che l’uomo sia buono per natura, ma che la società lo corrompe e tende a renderlo cattivo; e aveva formulato, di conseguenza, una pedagogia tutta particolare, basata sulla separazione del bambini dalla società, fino a quando non abbia consolidato il carattere e l’uso della ragione, così da poter fare il suo ingresso in società senza lasciarsene corrompere. Strana idea, visto che anche l’ipotetico pedagogo che educa il bambino (Emilio) fuori dalla società, forma, nei suoi confronti, una "società": società, infatti, è il mondo adulto che agisce sul bambino, non importa se sia formato da un milione d’individui, o da uno solo. Per non parlare del velleitarismo di una educazione che sottrae i bambini alla società naturale cui appartengono, a cominciare dalla famiglia: quand’anche ciò fosse possibile, lo sarebbe solo per una ristretta minoranza, e sarebbe comunque l’equivalente del detestato modello cattolico fondato sul convento o sull’abbazia, sulla vita claustrale; ove, comunque, non vi sarebbe alcuna garanzia che il bambino venga educato e non piuttosto sottoposto a un vero e proprio lavaggio del cervello. Infatti, se la società è cattiva, chi ci assicura che il maestro di Emilio sarà buono? Ma il punto veramente debole della concezione di Rousseau è l’antropologia. Chi dice che la natura umana è buona in se stessa? Se la società, che è formata da individui, è fondamentalmente cattiva, da dove arriva la sua malvagità, dato che gli individui sono, o sarebbero, buoni? Eppure su questo ottimismo alquanto arrischiato e velleitario, è basata la scommessa della moderna democrazia: una cosa che dovrebbe funzionare grazie al fatto che gli uomini sono naturalmente buoni. Ma se non lo fossero? Se non fosse affatto vero che essi tendono naturalmente al bene? Il naturalismo, ecco il peccato d’origine dell’antropologia di Rousseau. Una cosa è sognare una bontà primaria dell’uomo, e una cosa è rischiare il tutto per tutto costruendo, su questa traballante ipotesi, dei sistemi di governo che dovrebbero funzionare nell’interesse di moltissime persone.
L’altra sorgente ideologica della democrazia moderna è il liberalismo di Locke, a sua volta nutrito di empirismo, e sommato all’utilitarismo di Adam Smith e Bentham. In base a questa concezione, ogni sforzo deve essere diretto per assicurare all’individuo il massimo grado di libertà, in ogni campo della vita, e specialmente nell’attività economica: il bene della società scaturisce in modo spontaneo, non si sa come (lo dicono loro stessi: c’è una mano invisibile, ma di che cosa si tratti esattamente, non è dato sapere), dall’interazione reciproca degli egoismi individuali, e perfino dei vizi individuali (Mandeville e la sua Favola delle api). Prodigiosa alchimia, che trasforma il fango dell’egoismo nell’oro del bene comune: ma ciò somiglia più a una operazione magica che a una vera dottrina filosofica. A filo di logica, l’egoismo dà ancora e sempre egoismo, e non c’è verso di far scaturire da esso qualche cosa di diverso, tanto meno il bene della società; ma tant’è: la ricetta del liberalismo e dell”utilitarismo è parsa così affascinante, così seducente, che ha dato all’antropologia di Rousseau quel che pareva mancarle: una giustificazione del suo pessimismo sociale. Come dubitare che ogni cosa andrà a posto e che tutto finirà bene, dopo che i migliori filosofi sulle due sponde della Manica, nei due Paesi più avanzati sulla via del Progresso illuminista, hanno sentenziato che così sarà? Non è certo un caso che gli altri Pesi europei sono stati cooptati nel cerchio magico della democrazia attraverso la forza delle armi (Germania e Italia); che la Russia, a tutt’oggi, sta seguendo un percorso in parte diverso; che il Giappone ha adottato formalmente questo schema, ma conservando, sotto la superficie, gran parte della sua struttura tradizionale; mentre gli Stati Uniti, che sono sempre indicati come la democrazia più compiuta, quella che funge da modello a tutte le altre, non sono che una creazione della massoneria e quindi la loro ragion d’essere va cercata, più di quanto paia, non nelle dottrine politiche da essi ufficialmente adottate e sbandierate nel modo, bensì in una ideologia occulta, appannaggio di pochi, i quali si considerano le vere guide dell’intera società, investiti del potere non tanto dal mandato popolare, come dicono, ma da una volontà nascosta, la loro, che è legata a filo doppio, sin dall’origine, con il grande capitale finanziario. Così, la più avanzata democrazia moderna è, in effetti, sin dalle sue origini, una plutocrazia: e tali sono diventate, o stanno diventando, tutte le altre. Questo è il grande equivoco, o, se si preferisce, questa è la grande menzogna, che rende così difficile parlare della democrazia moderna, in bene o in male: bisogna infatti capire se si tratta di quella immaginaria di Rousseau, di Locke, di Adam Smith, oppure quella reale, di Rotschild, Rockefeller, Soros e Goldman Sachs. La democrazia reale, cioè la plutocrazia, racconta se stessa come se fosse la democrazia ideale: così, ad esempio, essa ha raccontato la Seconda guerra mondiale come uno scontro di civiltà fra le democrazie e i totalitarismi; il che è del tutto falso, non solo perché si è trattato di una alleanza fra le democrazia e un totalitarismo contro l’altro totalitarismo, ma soprattutto perché a vincere la partita non è stata la democrazia, ma la plutocrazia, cioè la vera essenza, che tuttavia rimane nascosta, della democrazia stessa. La gente dice democrazia e pensa al Parlamento, alla separazione dei poteri, alla Costituzione; ma dovrebbe piuttosto pensare alla massoneria, al potere finanziario e al controllo ideologico operato sulla società da chi possiede tutti i mezzi d’informazione.
Le cose stanno diventando più chiare in questi ultimi anni perché, nonostante il monopolio dell’informazione (o piuttosto della disinformazione) da parte del capitale finanziario internazionale appare sempre più evidente la manovra attuata dai plutocrati, impegnati a stringere i tempi del loro assalto al potere mondiale totale e definitivo. La fretta con cui stanno agendo è dovuta essenzialmente al fatto che le condizioni finanziarie globali, da loro stessi create, stanno portando rapidamente l’economia mondiale verso l’implosione: l’immensa bolla finanziaria scoppierà, e a quel punto la parola passerà alle armi, perché non sarà possibile gestire in altro modo l’ultima fase del prelievo delle risorse mondiali del 99% e oltre della popolazione mondiale a vantaggio di alcune centinaia di persone che possiedono già quasi tutta la ricchezza del pianeta, che controllano pressoché tutta l’informazione e che sono capaci di determinare le politiche dei governi. A partire dall’inizio del terzo millennio, in particolare dall’11 settembre del 2001, i plutocrati hanno cominciato a lasciar cadere la maschera e ad agire in modo sempre più scoperto e sempre più cinico e brutale, lasciando intravedere anche a molti dei più ingenui quale sia la vera natura di quel potere "democratico" dietro il quale si nascondono, e che è invece, a tutti gli effetti, un vero e proprio totalitarismo, diverso, ma non meno omologante e omnipervasivo, dei totalitarismi "classici", come il fascismo e il comunismo. E tuttavia, in questi ultimi decenni, anche il programma di condizionamento mentale della popolazione ha subito una brusca accelerazione, insieme al diffondersi ormai capillare della telefonia mobile, l’ultimo ritrovato del potere finanziario per anestetizzare le persone e farle regredire al livello di una turba decerebrata e disconnessa, sempre più passiva e rassegnata, sempre più inerte ed ignava. Mano a mano che gli uomini regrediscono al livello di zombie, di morti viventi accessoriati e firmati, in consumisti idioti e totalmente manipolabili, appare più difficile far sì che comprendano, a livello collettivo, la realtà della battaglia che si sta combattendo sulla loro pelle, e della quale sono la posta in gioco. Le prese di coscienza sono più frequenti che in passato, ma sono ancora prevalentemente di tipo individuale; e comunque la gravità del destino che ci minaccia si accresce ad un ritmo più veloce dell’acquisizione della consapevolezza. I meccanismi omologanti sono quelli in base ai quali la gente tende a dare, e a conservare, la propria fiducia ai rappresentanti del potere, partendo dal falso assunto che, in un sistema democratico, questi sono comunque espressione della volontà popolare a agiranno comunque nell’interesse comune. Ma questa è l’ingenua visione di Rousseau, utopistica e fumosa; la realtà dei fatto è ben diversa. La realtà dei fatti ci ammonisce che, se non vi sarà una rapida presa di coscienza popolare e una altrettanto decisa reazione dei cittadini, la battaglia per il dominio mondale sarà definitivamente vinta dai poteri massonici e finanziari, e ciò senza che la gente se ne renda conto. Anzi, la rabbia e l’aggressività delle masse, sempre più sfruttate e impoverite, verranno dirette ad arte proprio contro quanti tenteranno di opporsi al totalitarismo plutocratico: è il vecchio gioco che da sempre conducono i finanzieri, e che è già stato brillantemente collaudato nelle due guerre mondiali.
Che fare, allora? Innanzitutto, denunciare l’inganno: far capire che la moderna democrazia è solo una plutocrazia mascherata. Poi, far riflettere le persone che la nostra è una servitù volontaria: che il destino degli uomini non è quello di lavorare per far arricchire sempre più mostruosamente una élite sempre più ristretta, ma di organizzare una società a misura umana, dove la libertà d’iniziativa e il riconoscimento del merito si accompagnino ad un’equa distribuzione delle ricchezze e ad un’attenta vigilanza contro ogni tipo di monopolio. Il male infatti è il monopolio: è quando la Monsanto, o Big Pharma o le Sette Sorelle, si appropriano di tutto il mercato alimentare, o farmaceutico o petrolifero e così, sfruttando la loro posizione, impongono ovunque i prezzi e le politiche nel proprio esclusivo interesse. Cominciando dall’informazione: monopolio vuol dire menzogna, abuso e sfruttamento…
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