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Si deve resistere alla tentazione dell’odio

Ci sono due categorie di odiatori, in Italia, in questo momento storico. La prima è formata dagli odiatori di professione: li conosciamo da sempre. Sono, per limitarci agli ultimi ottant’anni, quelli che nel 1945, a guerra ormai finita, imperversarono per giorni, settimane, mesi, ad ammazzare, stuprare, rapire, torturare, derubare, infierire contro i vinti, e spesso anche contro chiunque piacesse loro, con la scusa di conti da regolare e dell’epurazione da proseguire, senza fermarsi davanti a nulla: vecchi inermi, donne incinte, ragazzine, bambini. Sono le belve che, prima di assassinare, godevano a infliggere le peggiori sevizie immaginabili contro le loro vittime: a cavar loro gli occhi con le mani, a violentarle con oggetti di legno o di ferro, a strappar loro le unghie, a costringerle a scavarsi la fossa, a gettarle ancor vive, con le mani legate dietro la schiena con il filo di ferro, dentro le grotte e le cavità carsiche, precipitandole per decine di metri. E che poi si sono pavoneggiati, per anni, per decenni, dietro la maschera degli eroi, dei patrioti, dei combattenti della libertà; hanno chiesto e preteso medaglie al valore, con le relative pensioni; hanno continuato ad insultare la memoria dei morti, e descriverli come dei boia nazisti, delle persone spregevoli che hanno meritato il loro destino: e stiamo parlando di crocerossine, di ausiliarie della milizia repubblicana, di maestre elementari, di studentesse, di giovani di leva di diciannove anni e di soldati che avevano obbedito agli ordini e che di null’altro erano colpevoli, se non di aver risposto alla chiamata alle armi del governo allora esistente nell’Italia Settentrionale e di aver continuato a battersi contri il nemico cui l’Italia aveva dichiarato guerra nel ’40, lo stesso che fino all’ultimo seguitò a infierire coi terroristici bombardamenti aerei, nei quali morirono dieci volte più italiani che in tutte le rappresaglie naziste messe insieme. Loro degni eredi sono stati i giovani e i meno giovani del ’68, o gran parte di loro: quelli che disprezzavano i padri e le madri, che odiavano la scuola e i professori, che aborrivamo la polizia e i tribunali, e che ritenevano giusto, lecito e buono ribellarsi, insultare, denigrare, offendere, aggredire tali figure, da essi considerate il simbolo del Male, della Repressione, dell’Ottusità, del Potere e dello Sfruttamento; e, parallelamente, le signore e signorine del femminismo militante, predicatrici di odio contro il Maschio prevaricatore, spregiatrici di tutto ciò che è maschile, fervide sostenitrici dell’aborto come diritto sacrosanto e come via necessaria per la liberazione femminile da secoli e secoli di vergognosa oppressione maschilista. Poi sono venuti i professori e i professorini del ’77, gli indiani metropolitani, i drogati antisistema e i terroristi libertari e un po’ poeti, impegnati nella Sacra Insurrezione contro le forze del fascismo internazionale e votati alla missione di colpirne uno per educarne cento: quelli che non versavano una lacrima quando veniva ammazzato un poliziotto e che si rallegravano addirittura se veniva bruciata viva una famiglia di fascisti (come nel rogo di Primavalle a Roma), ma s’infuriavano e s’indignavano se i giudici osavano emettere dei mandati di cattura contro i loro beniamini, i quali, le mani ancora sporche di sangue, erano magari espatriati all’estero, dove conducevamo una comodissima vita da supposti esuli politici, per esempio facendosi un nome come scrittori di libri gialli, come nel caso di Cesare Battisti, e trovando sostegno e comprensione presso gli ambienti altolocati della gauche francese, inclusa la première dame Carla Bruni.

Negli ultimi due o tre decenni questi odiatori di professione hanno passato qualche momento di smarrimento, perché la materia prima pareva sul punto di liquefarsi. Finita la guerra fredda (col naufragio dei loro ideali; ma non se ne sono mai accorti), capovolte le amicizie e le alleanze, divenuti filoamericani da filosovietici che erano — purché, ben s’intende, negli Stati Uniti ci siano al potere i democratici -, filoisraeliani da filo-palestinesi, filo europeisti da nemici delle banche, filo capitalisti da ammiratori di Mao Tze Tung e Ho Chi Min, e rinfoltite le loro file, quasi a compensare l’emorragia di operai e lavoratori, con l’ingresso di grandi industriali, direttori di enti pubblici, e perfino amministratori delegati delle multinazionali e delle super-banche americane, i professionisti dell’odio parevano in crisi di astinenza. Verso chi avrebbero potuto rivolgere il loro disprezzo, la loro esecrazione, la loro furibonda ostilità, ora che gli ex ragazzi del ’68 si erano magnificamente insediati nel sistema, ora che gli ex amici di Autonomia Operaia erano divenuti direttori di giornali e di televisioni e proprietari di case editrici, nonché sindaci, assessori provinciali, sottosegretari e perfino ministri della Repubblica? Ora che da agitatori dei centri sociali erano saliti in cattedra e, col portafogli ben fornito, facevano i corrispondenti da New York, sfoggiavano il Rolex al polso, o si erano fatti l’artico a Parigi, o avevano scoperto le meraviglie della meritocrazia nella City londinese? E adesso che perfino lo Stato più odioso e più odiabile del mondo, il Sudafrica razzista, si era convertito alle magnifiche sorti del pluralismo e della vera democrazia, e le carceri si erano svuotate di militati antisegregazionisti, e ad essere perseguitati, semmai, erano i bianchi per mano della maggioranza nera, ma questo, evidentemente, non si poteva dire, meglio voltar la testa dall’altra parte e far finta di nulla, in nome del politicamente corretto? Furono momento difficili, momenti angosciosi: vuoi vedere che non c’era più nessuno da odiare? Cadute le ideologie, caduti i sogni di fare la rivoluzione con le rose (e coi soldi dei disprezzatissimi papà), raggiunte le poltrone che contano e sistemati gli ex rivoluzionari scalpitanti nella confortevole mangiatoia della società borghese, un tempo così acerbamente accusata di ogni colpa e di ogni misfatto pensabile e immaginabile, verso chi rivolgere l’odio e il disprezzo, su chi riversare la responsabilità morale e materiale di ogni ingiustizia dell’universo mondo? Perché gli odiatori di professione, come dice il nome, non possono assolutamente restare senza un nemico da odiare: sarebbe come se i pesci rimanessero senz’acqua, in un mare interamente prosciugato: per loro, lo capirete bene, odiare è una questione di vita o di morte.

Il terribile imbarazzo e la sinistra prospettiva di cadere nella depressione sono stati alfine superati nel più brillante dei modi, grazie all’aiuto insperato di un fiancheggiatore secondario, che essi, fino a quel momento, avevano disprezzato di tutto cuore, o che avevano considerato, nel migliore dei caso, un utile idiota col quale accompagnarsi per vedere se non era possibile, col suo volonteroso aiuto, scalzare meglio le posizioni del nemico principale, ossia il Capitale (che oggi però non è più tale, contrordine compagni: oggi Soros è un filantropo, e come si farebbe a mandare avanti le O.N.G. senza i suoi generosi finanziamenti?). Si sono fatti avanti, cioè, i cattolici di sinistra, e più di tutto il clero conciliare e modernizzatore, quello della "opzione preferenziale per i poveri", erede della teologia della liberazione: versione aggiornata e ridotta, ma pur sempre utile, utilissima, della vecchia e superata lotta di classe. La lotta di classe, col vangelo di Marx, aveva insegnato ad odiare il padrone; la chiesa dei poveri, col vangelo di Gesù in salsa marxista, insegnava ad odiare i nemici dei poveri. E chi sono? Tutti quelli che si oppongono all’invasione africana ed islamica; tutti quelli che vorrebbero veder chiusi in galera gli spacciatori nigeriani, specie se venuti in Italia chiedendo asilo politico; tutti quelli che vorrebbero difendere i confini e non veder confuso il dovere di prestar soccorso in mare a una nave in pericolo di naufragare, con il servizio taxi di una auto-invasione programmata e lucidamente pilotata da forze esterne. Insomma la materia prima, quelli che meritano l’odio e il disprezzo, è tornata ad abbondare sui banchi del mercato: ce lo insegnano quei bravi preti progressisti, accoglienti e umanitari, che appendono sulla porta delle loro chiese e delle loro canoniche cartelli con la scritta: Vietato l’ingresso ai razzisti, e Razzisti, tornate a casa vostra!, e ancora: Questa è la mia patria, alludendo ai poveri profughi spaventati e denutriti, che non sono, come sarebbe forse logico aspettarsi, vecchietti tremebondi e bambini orfani di padre e madre, ma baldi giovanotti muscolosi e pieni di ormoni, i quali non hanno mai visto una guerra in vita loro e che da tutto sembrano essere fuggiti, tranne che dalla fame, visto che disprezzano il cibo dei centri di accoglienza, fanno lo sciopero della fame e rovesciano a terra la pastasciutta, per far sapere che gli italiani, nei loro confronti, non possono cavarsela così a buon mercato, devono offrire il primo, il secondo e il contorno, più il telefono e la linea internet, ah, e senza scordarsi delle cuffie per la musica e delle sigarette, ci mancherebbe, e tutto questo a tempo indeterminato; inoltre devono informarsi sulle loro preferenze gastronomiche e studiare le loro ricette abituali, così da offrire un menù che sia gradito ai loro esigenti palati. Certo, ci sarebbe il piccolo dettaglio dei valori morali non negoziabili, che, per i cattolici, non sono precisamente gli stessi che per i radicali, le femministe e gli ex sessantottardi; eppure, con la buona volontà, si può trovare un punto d’incontro perfino su di essi, e infatti così è stato, tanto è vero che vecchie cariatidi femministe sono gloriosamente invitate nelle chiese a tener elezioni di accoglienza e solidarietà, le stesse che hanno materialmente praticato, vantandosene, migliaia di aborti. Insomma, a tutto c’è rimedio, a tutto c’è una soluzione purché vi sia la buona volontà di mettersi d’accordo su qualcuno da odiare: e quel qualcuno era lì, anzi è lì, bell’e pronto: gli italiani che desiderano rimanere italiani (o i cattolici che vogliono restare e morire cattolici), proprio come ieri erano i borghesi che si rifiutavano di sparire o di suicidarsi. Ed eccoli, i signori dell’odio, riprendere fiato, riprendere coraggio, e ripartire all’attacco, rinfrancati e rincuorati, e tutti gongolanti per il lauto banchetto che si offre loro. Ecco gli Evangelisti, i De Luca, i Saviano, sempre col ditino alzato, il sopracciglio incurvato e le narici frementi, gli occhi che lampeggiano di sacrosanta indignazione, sempre a sentenziare, a pontificare, accusare, ammonire, disprezzare, insolentire, commiserare gli stupidi, xenofobi, egoisti e ignoranti italioti, rei di opporsi all’invasione, di avere un’idea sorpassata di patria (certo, rispetto a loro che non ne hanno mai avuta una…); resi ancor più audaci e sicuri di sé dalle solenni benedizioni di tutti i preti di sinistra che odiano il vero cristianesimo e vorrebbero trasformarlo in una sinagoga di apostati, in una gigantesca ONLUS o, meglio ancora, in un centro sociale di dimensioni planetarie, dove tutti fanno a gara a chi accusa di più, a chi si proclama più amico dei poveri, a chi trasforma più chiese e basiliche in sale mensa e refettori per i poveri. Tanto paga Soros, pagano le banche, pagano i cardinali sodomiti e stupratori, quelli più potenti, tipo McCarrick, quelli ammanicati con Clinton e con Obama, quelli politicamente corretti, i quali violentano, sì, seminaristi e giovani preti, ma lo fanno con tanto garbo, poverini, che in fondo bisogna apprezzarli: non stanno forse spezzando una lancia per sdoganare il peccato impuro contro natura e trasformarlo in una magnifica, toccante espressione di amore, meritevole di ogni rispetto e considerazione?

Dicevamo che esistono due categorie di odiatori; vediamo la seconda. Sono quelli che giungono a odiare non per vocazione o professione, ma perché spinti dall’esasperazione; quelli che odiano malvolentieri, e anzi non vorrebbero odiare, perché sentono che lasciarsi trasportare da un tale sentimento significa diventare come gli altri, come quelli che sono giunti a odiare dopo aver molto pazientato, sopportato e inghiottito amarissimi bocconi. Le persone perbene, di solito, appartengono a questa categorie. Amano l’ordine, il rispetto, la lealtà; e si sforzano di praticarli. Ma trovandosi a vivere in un momento storico in cui non sembra più esserci spazio per quei valori, né per le persone che ancora ci credono, giorno per giorno si vedono sempre più respinti in un angolo, derisi e sbeffeggiati. Oltre al danno, anche la beffa. Sono le persone che hanno rispetto di Dio, della patria e della famiglia; che arrossiscono a dire una bugia, per quanto piccola; e che considerano sacra la parola data, un impegno preso. Persone che preferiscono subire un danno, piuttosto che venir meno a una promessa; persone che antepongono i valori e la dignità a ogni considerazione d’interesse e di convenienza. Ebbene queste persone, ormai sempre più rare, si sentono terribilmente a disagio, fuori posto. Sono buone, non buoniste. Si fanno in quattro per aiutare un amico in difficoltà, e anche per soccorrere un vero bisognoso; ma hanno anche uno spiccato senso della giustizia e non ci stanno a inginocchiarsi davanti ai finti bisognosi, ai finti profughi, ai finti discriminati, ai finti fuggiaschi da finte calamità. E non ci stanno a veder trattati con i guanti bianchi individui che vengono nel nostro Paese solo per delinquere o, nel migliore dei casi, con la vaga aspettativa di vivere senza far nulla, di trovare il modo di sbarcare il lunario senza doversi sottoporre alla fatica del lavoro. No, le persone che abbiamo decritto non ci stanno a farsi prendere in giro; sono buone, non fesse. E non ci stanno a udire i discorsi di tanti politici, dai quali trabocca un buonismo melenso; tanto meno a sorbirsi le prediche del parroco che ha in bocca sempre e solo quel tipo di "poveri", che parla sempre e solo di politica, ambiente, clima; che non parla di Dio, né dell’anima, e soprattutto non parla più del peccato. Che fine ha fatto il peccato? Niente peccato, niente grazia: non c’è bisogno dell’aiuto di Dio, se il peccato è già sparito da solo. Ecco: anche questa è una presa in giro bella e buona e le persone oneste non ci stanno. Sentono che si sta falsificando la fede, si sta compiendo un tradimento del Vangelo. Sono esasperate, sono quasi arrivate a odiare. Speriamo che riescano a fermarsi in tempo: per non diventare simili a quelli che le hanno portate fino a questo punto…

Fonte dell'immagine in evidenza: Wikipedia - Pubblico dominio

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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