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24 Novembre 2018Ormai le persone più mature e responsabili, o anche semplicemente quelle che hanno ricevuto e messo a frutto una discreta educazione, non solo sul piano intellettuale, ma anche e soprattutto su quello etico e morale, sono giunte a un livello di frustrazione quale si registra solo nelle epoche contrassegnate dalle crisi di sistema, cioè dai passaggi di civiltà. Non è questo o quell’aspetto della società, dell’economia, della cultura, dell’informazione, della politica, e perfino della religione, che lascia delusi, scontenti e amareggiati, ma è tutto l’insieme della vita moderna, in un panorama totale, che copre trecentosessanta gradi. E questa sensazione di disagio, di smarrimento, di angoscia, è talmente diffusa e talmente ampia e profonda, che spesso le persone più avvertite, o più sensibili, provano una sensazione d’irrealtà, e si chiedono, come Sigismondo ne La vita è sogno, se siano loro che stanno impazzendo o se sia il mondo che non è come dovrebbe essere, che non è quello che dovrebbe essere. Checché ne dicano i relativisti, i soggettivisti e i solipsisti, nonché tutti i surrealisti e i dadaisti dell’universo, la verità è che gli esseri umani possiedono un senso interno che dice loro come le cose dovrebbero essere e non permette che qualsiasi cosa sia vista e accettata come normale o rispettabile, solamente perché i fatti nudi e crudi ce la impongono. In altre parole, la ragione naturale esiste, non è un’invenzione dei teologi scolastici; ed è la ragione naturale che ci avverte se quel che abbiamo intorno o di fronte a noi, e se quel che noi stessi ci accingiamo a dire o a fare, sono come dovrebbero essere, o se vanno contro un superiore principio d’ordine, il principio sovrano che lega tutte le cose in un volume, armoniosamente, sapientemente, amorosamente, come dice Dante in una terzina famosa della Divina Commedia (Paradiso, XXXIII, 85-87). Perché il senso del vero, del giusto, del buono e del bello, sono già dentro di noi, e noi, istintivamente, li riconosciamo, e sentiamo che ci vengono dall’alto, che sono un dono della sapienza e dell’amore divino; ma sentiamo anche di non avere la chiarezza per vederli e afferrarli interamente, né la forza e la costanza per attuarli sino in fondo. Ora, la malizia diabolica della civiltà moderna (o della anti-civiltà moderna) consiste proprio nella negazione di quel senso interno, e nella pretesa di sostituire ad esso una ragione totalmente slegata dalla sua origine, cioè da Dio; una ragione naturale compiaciuta e soddisfatta di se stessa, chiusa alla trascendenza e perciò sommamente ingrata e irriconoscente verso il suo Creatore, anzi addirittura in rivolta contro di Lui, in nome della propria supposta libertà.
Nell’arco di una singola giornata, noi abbiamo decine e decine di occasioni per andare sa sbattere contro questa sensazione di disarmonia, d’irrealtà e, di conseguenza, di alienazione. Alcune le potremmo evitare, al prezzo di rincantucciarci al massimo nel nostro particulare, come direbbe Guicciardini, e curare la propria sfera di vita più privata, rinunciando quasi del tutto alle relazioni sociali, alla carriera, e, al limite, persino al bene immenso della famiglia, tanto è frequente il non sentirsi capiti e il non ricevere conforto neppure fra le mura domestiche. Molte, però, sono inevitabili, perché fanno parte delle relazioni con gli altri alle quali non possiamo sottrarci, già per il solo fatto di svolgere un lavoro o una professione, di abitare in un certo condominio o in un certo quartiere, di camminare per la strada o parcheggiare l’automobile, anche senza frequentare i luoghi più affollarti, i negozi più alla moda, i centri commerciali o gli stadi o le palestre, ove è più facile, per non dire inevitabile, trovarsi in mezzo a una folla afferrata dal demone del consumismo o da quello del narcisismo e della smania di farsi notare.
Usciamo in strada, e vediamo moltissimi individui che camminano senza guardare dove mettano i piedi, ma con lo sguardo fisso sullo schermo del loro telefonino cellulare: si ha la sensazione di camminare in mezzo agli ubriachi o, peggio, a un esercito di zombie, come nei film del buon vecchio George Romero. Stesso spettacolo se si guarda dentro l’abitacolo delle automobili, o dentro i bar, o sui treni e sulle corriere, o alla fermata dell”autobus, e fin dentro i corridoi di una scuola, perfino un secondo prima, e magari anche un po’ oltre, il suono della campanella che annuncia l’inizio delle lezioni. Al telefonino si aggiungono le cuffie per la musica e così l’estraneità alla vita degli altri diventa completa: è come se le persone (ma sono ancora persone?) stendessero un velo d’impenetrabilità intorno a sé, si rendessero inaccessibili, e questo proprio mentre stanno cercando disperatamente un contatto umano, e sia pure una voce che viene da lontano, la voce di un amico, o magari la voce di un cantante, di un attore, di un annunciatore televisivo, di un personaggio della pubblicità. Voi siete al tavolo con un amico, state parlando di qualcosa; ma ecco che squilla il suo telefonino, e quello, senza neanche fare un cenno di scusa, si mette a parlare con il nuovo interlocutore, e v’ignora completamente per un quarto d’ora; poi, quando ha terminato la sua conversazione, si degna di tornare a voi. Ma ecco che l’aggeggio infernale squilla di nuovo, stavolta però in modo diverso: è in arrivo un messaggino; e bisogna pure che l’amico risponda, e che lo faccia subito: perdio, non siamo mica fra maleducati? E così fan tutti. A un certo punto, un piatto cade al tavolo accanto al vostro, con enorme fracasso. Voi sobbalzate, ma vi accorgete che l’amico non fa una piega: è talmente impegnato a messaggiare col suo telefonino, che sembra non aver udito addirittura. O forse ha udito, ma il suo orecchio non ha "passato" l’informazione al cervello. In altre parole, è disconnesso dalla realtà immediata, perché è connesso con un’altra realtà, quella virtuale, che per lui, in quel momento, è assai più vera e reale di qualsiasi cosa possa accadere sotto il suo naso. Se si ricorda di avercelo, un naso.
Naturalmente, nel locale non c’è solo il vostro amico che sta parlando con qualcun altro; ci sono diversi altri soggetti che parlano e creano una gran confusione, ma senza che ci sia alcuna vera comunicazione. Alludiamo al televisore, che è acceso e a volume piuttosto forte, e che nessuno sta guardando, ma intanto riempie il silenzio (si fa per dire, perché è quasi una bolgia infernale), e che, come si usa dire, fa compagnia; poi alludiamo alle casse acustiche dalle quali esce una musica sincopata, che accompagna i muggiti gutturali, naturalmente in lingua inglese, di qualche cantante la cui voce si rivolge, anch’essa, a tutti e a nessuno; e infine alludiamo alla voce e ai suoni, o piuttosto rumori, dei giochi elettronici davanti ai quali si trattengono malinconiche figure che, di tanto in tanto, introducono nel ventre vorace del marchingegno una raffica di monete che vi cadono a pioggia, producendo un suono metallico. Non riuscendo proprio a mandare avanti uno straccio di conversazione, chiedete al giovane che sta al banco se può gentilmente abbassare un po’ il volume della televisione, o della radio; quello, dandovi del "tu" anche se ha la metà dei vostri anni e non vi ha mai visti prima, sembra aver capito, ma voi non notate la benché minima differenza, tanto che poi, uscendo, al momento di pagare, gli fate la battuta ironica, ringraziandolo per aver fatto quanto richiesto: al che lui vi risponde prego senza minimamente rendersi conto della vostra intenzione canzonatoria. Ciò vi fa sentire frustrati e beffati, e allora cominciate a seccarvi e dalla garbata ironia passate al tono diretto; ma quello, offeso, come se di tutto gl’importasse tranne che di soddisfare i clienti e di tenersi in buna relazioni con loro, vi risponde piccato, con aria alquanto offesa. Eppure avete sentito dire che c’è la crisi, che c’è poco lavoro, che la gente fatica ad arrivare a fine mese, specialmente quelli che non dispongono di uno stipendio fisso, ma i cui guadagni dipendono dalla capacità di coltivare la propria clientela; e vi chiedete per quale ragione un ragazzotto, o una ragazzotta, che non è un cameriere, ma proprietario di un bar, prenda a pesci in faccia i clienti e si metta a polemizzare con loro, proprio in un momento simile. Di nuovo, avete la netta sensazione, anzi, più che la sensazione, la certezza, che le cose non sono come dovrebbero essere. Come dovrebbero essere, infatti? Dovrebbero essere che, in tempi di vacche magre, chi ha un locale pubblico tratta bene i suoi clienti e cerca di accontentarli: è nel suo interesse, non nel vostro, perché voi, se siete scontenti di quel locale, non avete che l’imbarazzo della scelta fra altri dieci. Non sono i bar che mancano, di questi tempi. Vi domandate, dunque, per quale motivo tante persone si comportino come se non avessero più l’istinto della propria conservazione; come se non gliene fregasse niente di curare i propri affari, di agire in modo da non danneggiarsi con le proprie mani. E non trovate alcuna risposta ragionevole. Di nuovo, le cose non sono come dovrebbero essere secondo il buon senso più elementare. E vi sentite sempre più fuori posto: o voi, o tutti gli altri. E siccome vi hanno insegnato che è più probabile, in un caso del genere, che siate voi a sbagliarvi, vi fate l’auto-esame, l’auto-critica, e vi chiedete in che cosa stiate sbagliando. Vi chiedete, ad esempio, perché il padrone del bar, quando avete pagato con una banconota da dieci euro (non da cinquanta o da cento), vi ha sbuffato in faccia, perché lui non aveva il resto da darvi; alla fine riesce a racimolarlo, frugando nelle sue borse, e ve lo porge senza guardarvi, né rispondere al vostro saluto: forse neanche per maleducazione intenzionale, ma perché la sua mente, lo si vede benissimo, è tutta concentrata nel difficile problema di pareggiare i conti fra le diverse borse, dopo la colossale seccatura che gli avete causato costringendolo ad attingere a quella destinata non a dare il resto ai clienti, ma a qualche altra misteriosa funzione. Vi chiedete se sia normale che un commerciante sbuffi in faccia al cliente, cioè a voi, perché lui non ha il resto, quando voi, se aveste avuto le monete "giuste", gliele avreste date volentieri, e comunque dare il resto non è un problema vostro, ma suo. E di nuovo non trovate la risposta: perciò vi sentite sempre più fuori posto, sempre più alienati. E cominciate a sospettare che ci sia qualcosa che non va, non in voi, o non solo in voi, ma nella società di oggi, in tutti i suoi meccanismi, nelle sue dinamiche nei comportanti e negli atteggiamenti che produce. E vi capita di chiedervi, per la prima volta, se davvero don Chisciotte della Mancia fosse pazzo, o se il suo dramma non fosse, per caso, quello di trovarsi a vivere in una società impazzita.
Così, al professore che ha spiegato ai suoi studenti un concetto per almeno dieci volte, succede di fare le interrogazioni e di scoprire che, su ventotto alunni, non ce n’é uno solo che lo abbia compreso, o che lo abbia compreso rettamente; eppure quel professore ha quarant’anni di esperienza sulla groppa, ha avuto perfino a che fare con ragazzi disturbati e ritardati, ma è sempre riuscito a farsi capire, a spiegarsi in maniera tale che almeno l’essenziale rimanesse nella loro mente. Ancora una volta, quel professore si accorge che le cose non sono come dovrebbero essere; e che non sono neppure come erano fino a qualche anno fa. Lo vede dalle facce, dagli sguardi di quei ragazzi: vi legge il vuoto, il nulla; la mancanza sia di motivazione, e quindi d’interesse, sia di tutto quel retroterra, non solo culturale, ma cognitivo nel senso più ampio, che rende possibile la vera comprensione di un concetto; e capisce che ormai i concetti sono cose superate, oggi ci sono solo i fatti esteriori e, al massimo, le emozioni. I ragazzi studiano dal libro quasi a memoria, ripetono tutto alle lettera, refusi ed errori di stampa compresi; non importa se il professore ha spiegato ogni cosa facendo appello alla loro personale intelligenza. Poi, interrogati, lo guardando con occhi inespressivi, ma s’intuisce che sono sconcertati perché le domande sono "strane": sono domande, infatti, che pretendono niente di meno che un ragionamento personale! Ovviamente, sono anche delusi del voto: pensavano di meritare almeno un otto; in fin dei conti, non hanno saputo ripetere le frasi del libro, parola per parola, refusi ed errori compresi? E dunque, che cosa pretende questo strano individuo, il quale non si accontenta del loro ripetere, ma sembra aspettarsi qualcos’altro, non si sa bene cosa, non si sa perché? E quel che capita al nostro professore, capita ormai a ciascuno di noi, in qualunque ambito. Capita all’impiegato postale, davanti a un giovane di almeno vent’anni, probabilmente uno studente universitario, che viene per fare una raccomandata, e al quale ha spiegato che deve scrivere il suo nome sotto la dicitura: mittente; e ha capito subito, dalla smorfia interrogativa di quello, che la parola mittente gli è del tutto sconosciuta. E capita al padrone di una gelateria o di un ristorante, che non è riuscito a far capire ai neoassunti che arrivare in orario al lavoro non è un optional, ma un loro preciso dovere, e che l’orario finisce quando si è rimesso tutto in ordine per il giorno dopo, non quando se n’è andato l’ultimo cliente. A volte si tratta di una esperienza drammatica. Come è successo a quel capotreno che ha visto, arrivando col convoglio in stazione, un ragazzo seduto di spalle sui binari; e che ha tentato disperatamente di frenare ed evitare la tragedia, ma non ce l’ha fatta, perché quel ragazzo, con le cuffie della musaica negli orecchi, non ha sentito nulla e inoltre stava inviando messaggini col cellulare, per cui la sua attenzione era rivolta a tutt’altro. Né queste forme di disconnessione riguardano solo i giovani: ci sono anche moltissimi adulti che si comportano allo stesso modo. E non è solo l’attenzione, è anche tutto il resto che non è come dovrebbe essere. I giornali, la televisione, i partiti politici, le istituzioni, non sono come dovrebbero essere. I magistrati che rimettono in libertà un delinquente appena arrestato, perché non ha altro modo di sbarcare il lunario che spacciar droga o rubare, non fanno ciò che dovrebbero fare…
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