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Per temere i leoni di Samaria bisogna saper vederli

Nel Secondo Libro dei Re, al capitolo diciassettesimo, si narra una vicenda un po’ strana. Al tempo del profeta Osea, gli abitanti d’Israele si erano gravemente allontanati dalla legge del Signore, e questi, stancatosi infine delle loro continue infedeltà, li aveva abbandonati, dandoli in potere del crudele re degli Assiri, il quale aveva invaso il loro Paese e li aveva deportati nelle lontane regioni del Medio Oriente, in Mesopotamia e fino alla Media. Per ripopolare la ragione rimasta disabitata, questi aveva fatto venire genti di svariata provenienza da altre regioni del suo impero, che si erano stabilite a Samaria e nella regione circostante. Ma ecco, dei misteriosi leoni avevano incominciato a tormentare quei nuovi abitanti, scatenandosi fin dentro le vie della città e divorando uomini e donne, giovani e vecchi. Disperati, i samaritani si erano rivolti al loro re per avere un soccorso, e questi aveva stabilito di rimandare loro un sacerdote ebreo, affinché li istruisse nel culto del Signore: vigeva, infatti, la credenza che una popolazione deve adorare gli dei di quel certo luogo, e costoro erano disposti a seguire l’usanza, convertendosi al Dio d’Israele, purché il flagello di quei leoni avesse termine. E così avvenne, anche se la conversione dei Samaritani fu solo parziale: essi, infatti, si convertirono al Dio d’Israele e ne ebbero timore, perché era il Dio del Paese nel quale erano andati a vivere, e della cui benevolenza avevamo bisogno; però, nello stesso tempo, continuarono ad adorare anche le loro vecchie divinità, che avevano importato dalle loro regioni di provenienza. Sia come sia, dei leoni, a quel punto, non si parla più, per cui pare che la predicazione del sacerdote giudeo sia valsa, almeno per il momento, ad allontanarli e a riconciliare i quei nuovi abitanti con il Dio d’Israele, nella cui terra si erano insediati. Solo in part, però: perché il d’Israele è un Dio geloso, che vuol essere adorato Lui solo, mentre i samaritani, come quasi tutti gli altri popoli del mondo antico, da buoni politeisti, pensavano che non vi fosse niente di male ad adorare due, tre, quattro, o anche dieci o venti divinità diverse nel medesimo tempo: meglio anzi una di più che una di meno, non si sa mai, per non scontentarne alcuna.

La vicenda narrata nel Secondo libro dei re ci sembra avere un significato anche se letta in chiave di attualità. Si tratta di capire chi erano quei leoni che penetravano nelle città della Samaria e divoravano gli abitanti, quasi a volerli punire della loro idolatria. Certo, se si legge la Bibbia come un qualsiasi altro libro scritto dalla mano dell’uomo, la cosa risulta incomprensibile, o meglio, appare chiaro che l’autore, a posteriori, ha voluto dare un’interpretazione soprannaturale di un fatto puramente storico. Non è forse da considerare come un evento perfettamente naturale quello della comparsa di un certo numero di belve feroci, nella Palestina dell’VIII secolo avanti Cristo? Sappiamo che il leone era presente anche in Europa, in epoca storica: ne parla Omero nei suoi poemi, e i re macedoni andavano alla sua caccia, armati solo di lancia e spada, senza armatura né scudo. Nel Medio Oriente erano molto numerosi, e i re assiri davano loro la caccia stando sul cocchio, armati di arco e frecce. Dopo la deportazione degli ebrei, le città della Samaria erano rimaste disabitate: nulla di strano che gli animali selvatici ne avessero fatto i loro covi; e nulla di strano che, all’arrivo dei nuovi abitanti, li abbiano visti alla stregua di una facile selvaggina da cacciare. Sappiamo che in Africa, orientale, ai primi del Novecento, una coppia di leoni particolarmente astuti e feroci fece strage fra gi operai di una ferrovia in costruzione, uccidendone a decine, e che in India un leopardo antropofago terrorizzò per anni una intera regione, divorando centinaia di persone; figuriamoci cosa non potevano fare quelle belve in un’epoca in cui non esistevamo i fucili per tenerli a bada. C’è solo un piccolo problema: che l’autore biblico dice esplicitamente che il Signore… i inviò contro di loro dei leoni, che ne facevano strage. Perciò, i casi sono due: o si prende la Bibbia veramente sul serio, cioè come un libro divinamente ispirato; oppure la si legge come un libro qualsiasi, e allora si è liberi – come fanno i protestanti – di leggerla secondo le categorie mentali moderne, razionaliste, storiciste e scettiche.

Ecco come la Bibbia narra quella oscura vicenda (2 Re, 17, 24-41, edizione C.E.I. 2008):

Il re d’Assiria mandò gente da Babilonia, da Cuta, da Avva, da Camat e da Sefarvàim e la stabilì nelle città della Samaria al posto degli Israeliti. E quelli presero possesso della Samaria e si stabilirono nelle sue città. All’inizio del loro insediamento non veneravano il Signore ed egli inviò contro di loro dei leoni, che ne facevano strage. Allora dissero al re d’Assiria: «Le popolazioni che tu hai trasferito e stabilito nelle città della Samaria non conoscono il culto del dio locale ed egli ha mandato contro di loro dei leoni, i quali seminano morte tra loro, perché esse non conoscono il culto del dio locale». Il re d’Assiria ordinò: «Mandate laggiù uno dei sacerdoti che avete deportato di là: vada, vi si stabilisca e insegni il culto del dio locale». Venne uno dei sacerdoti deportati da Samaria, che si stabilì a Betel e insegnava loro come venerare il Signore. Ogni popolazione si fece i suoi dèi e li mise nei templi delle alture costruite dai Samaritani, ognuna nella città dove dimorava. Gli uomini di Babilonia si fecero Succot-Benòt, gli uomini di Cuta si fecero Nergal, gli uomini di Camat si fecero Asimà. Gli Avviti si fecero Nibcaz e Tartak; i Sefarvei bruciavano nel fuoco i propri figli in onore di Adrammèlec e di Anammèlec, divinità di Sefarvàim. Veneravano anche il Signore; si fecero sacerdoti per le alture, scegliendoli tra di loro: prestavano servizio per loro nei templi delle alture. Veneravano il Signore e servivano i loro dèi, secondo il culto delle nazioni dalle quali li avevano deportati. Fino ad oggi essi agiscono secondo i culti antichi: non venerano il Signore e non agiscono secondo le loro norme e il loro culto, né secondo la legge e il comando che il Signore ha dato ai figli di Giacobbe, a cui impose il nome d’Israele. Il Signore aveva concluso con loro un’alleanza e aveva loro ordinato: «Non venerate altri dèi, non prostratevi davanti a loro, non serviteli e non sacrificate a loro, ma venerate solo il Signore, che vi ha fatto salire dalla terra d’Egitto con grande potenza e con braccio teso: a lui prostratevi e a lui sacrificate. Osservate le norme, i precetti, la legge e il comando che egli ha scritto per voi, mettendoli in pratica tutti i giorni; non venerate altri dèi. Non dimenticate l’alleanza che ho concluso con voi e non venerate altri dèi, ma venerate soltanto il Signore, vostro Dio, ed egli vi libererà dal potere di tutti i vostri nemici». Essi però non ascoltarono, ma continuano ad agire secondo il loro culto antico.

Così quelle popolazioni veneravano il Signore e servivano i loro idoli, e così pure i loro figli e i figli dei loro figli: come fecero i loro padri essi fanno ancora oggi.

Dunque, dicevamo che ci sono solo due modi di leggere la Bibbia: o si crede che quanto vi è scritto, pur senza bisogno di prendere tutto alla lettera, ha un significa allegorico e morale, oppure si attribuisce all’ingenuità o, magari, all’estro poetico di quegli autori – perché, si sa, le genti orientali hanno un animo fortemente poetico e tendono a drammatizzare ogni cosa — tutto ciò che riesce indigesto al nostro palato moderno, razionalista, ipercritico e sostanzialmente irreligioso. Non prendiamoci in giro; non c’è un terzo modo di leggere la Bibbia, per chi è cristiano; e non c’è un altro modo di essere cristiano, per chi si professa tale, se non prendere estremamente sul serio la Parola di Dio. Per un cristiano, la Bibbia è Parola di Dio: non è parola di uomini. Ora, la principale difficoltà, per i cosiddetti cristiani moderni (una ben strana categoria, se vi si riflette: perché il cristiano è cristiano e basta; l’essere moderno o non moderno riguarda il suo essere uomo, non il suo essere cristiano), nel leggere la Bibbia in tutta serietà, deriva dall’elemento soprannaturale che la percorre dal principio alla fine. La creazione dal nulla è un "miracolo", e la Resurrezione di Cristo è un altro "miracolo": in mezzo vi è tutta una serie di eventi soprannaturali, che alla mentalità moderna paiono "miracolosi", perciò difficili da accettare. I teologi dell’ultimo mezzo secolo detestano il soprannaturale e ignorano o deridono i "miracoli": vedete un po’ cosa dicono, dalla "svolta antropologica" in poi, a proposito di tutto ciò che riguarda il soprannaturale. Un sedicente teologo che ora va per la maggiore, Enzo Bianchi, dice che se uno ha un cancro, nemmeno Dio glielo può levare. Il signore argentino che siede, indegnamente, sul seggio di san Pietro, rincara la dose: la sofferenza è incomprensibile, e Dio è ingiusto. E siccome la santa Eucarestia è il miracolo più grande di tutti, che si rinnova ad ogni santa Messa, anche quella è una cosa di cui i moderni teologi e i sacerdoti progressisti si son fatti un’idea tutta loro, assai vicina a quella del buon Lutero e del buon Calvino: una commemorazione dell’Ultima Cena, più che un ripetersi del Sacrificio di Cristo per amore degli uomini. Inutile dire che, in questo modo, la Presenza reale finisce per dissolversi, per dileguare. Il pane non è più il vero Corpo di Cristo, e il vino non è più il suo Sangue, sparso per la nostra salvezza. Ancora non sono arrivati a dirlo chiaro e tondo, ma è da un bel po’ che ci girano intorno. Del resto, si sa che prima o poi lasceranno cadere quest’ultima maschera. Altrimenti la loro apostasia dalla fede non sarebbe completa, e il loro "lavoro" non sarebbe ultimato. Teniamoci pronti, perché presto ci arriveranno.

Tornando ai leoni di Samaria: l’idea espressa dall’autore biblico è molto chiara e semplice: c’è una punizione per gli uomini che non hanno timor di Dio. Il vero Dio, naturalmente, non degli idoli. Gli uomini oggi adorano molti idoli: il piacere, il denaro, il successo. E stanno facendo qualcosa di ancor peggiore: stanno proclamando che il peccato non è più peccato; che l’uomo ha il pieno diritto di inseguire e realizzare tutti i suoi istinti, tutti i suoi impulsi; infine, stanno chiamando Dio a mallevadore di questo capovolgimento della morale. Stanno arruolando Dio fra gli idoli da adorare: stanno tentando di sfigurare il volto di Dio, del Dio unico e vero, quello insegnatoci da Gesù Cristo, e che era Dio Egli stesso, con un’altra divinità, larga di manica, tollerante, permissiva, che chiude un occhio, e magari tutti e due, sulle peggiori nefandezze, che scusa tutto, anche a chi non si pente, né si sogna di cambiar vita: dall’aborto all’eutanasia, passando per le peggiori sfrenatezze, sessuali e non sessuali, la superbia, la cupidigia. Stanno costruendosi un dio fatto sulla loro misura, un dio indifferenziato, indistinto, che si può chiamare Gesù, o Jahvé, o Allah, o magari Buddha, o Manitù; un dio che ha cento nomi e cento facce, che si può adorare in cento modi, che non è la verità, perché ha cento verità, come insegnava Pirandello. Diciamo pure un grande architetto dell’universo, come lo chiamano i massoni. E questo falso dio, questo dio inerte, questo dio inconsistente e incapace di salvare alcuno, lo stanno spacciando, dentro le chiese cattoliche, dentro i seminari cattolici, dai pulpiti della santa Messa, per il Dio di Gesù Cristo, che disse di Sé: Io sono la via, la verità e la vita. No, c’è qualcosa che non quadra; ci stanno imbrogliando; ci stanno traghettando verso l’apostasia, e cercano di fare in modo che non ce ne accorgiamo.

E i leoni di Samaria, allora, dove sono andati a finire? Dal momento che noi abbiamo abbandonato il culto del vero Dio, dal momento che ci siano messi ad adorare i falsi dei, o, cosa più orribile di tutte, abbiano osato deturpare il volto di Dio e farne un’immagine falsa e ingannevole, adatta ai desideri dei nostri cuori perversi, come mai non sbucano fuori i leoni mandati da Dio a divorarci, per farci capire la gravità del nostro peccato, della nostra idolatria blasfema, e spingerci alla conversione, al riconoscimento del vero Dio, quale unica guida delle nostre vite? Ma il punto è proprio questo: i leoni ci sono, e ci stanno divorando, le fauci spruzzate del nostro stesso sangue: ma noi non li sappiamo vedere. Le vittime della droga e quelle delle malattie sessuali, le vittime dell’alcolismo e dei suicidi; le vittime della guerra e della giustizia negata, che gridano vendetta davanti a Dio: siano noi, puniti per mezzo delle nostre passioni disordinate, dei nostri stessi peccati: e non ce ne rendiamo nemmeno conto, a tal punto siamo sprofondati nell’ignoranza, nell’avidità, nell’egoismo, nell’abbrutimento. Si muore di Aids, per esempio: ma guai a dire che certe malattie sono la conseguenza di uno stile di vita sbagliato, che sono l’effetto di una inversione morale che si manifesta nei rapporti contro natura. E sappiamo tutti come ha reagito la neochiesa quando il padre Giovanni Cavalcoli ha osato accennare al fatto che un terremoto può anche essere un segno del Cielo, affinché l’umanità peccatrice si ravveda: è stato zittito, è stato rimproverato, è stato punito e pubblicamente umiliato. No, mai: quelle cose non si possono, né si devono dire: è un linguaggio che i "cristiani" moderni non vogliono assolutamente udire! Roba da medioevo, dicono: e s’indignano, schiumano di rabbia, digrignano i denti, come se non vi fosse alcuna relazione fra il peccato e i castighi che colpiscono l’umanità peccatrice. Si sono fabbricati un "cristianesimo" secondo i loro gusti e le loro inclinazioni, con tanto di sacerdoti gay e di santi gay — così, almeno, dice padre James Martin, invitato in qualità di esperto al recentissimo Incontro mondale della Famiglia. Esperto di cosa? E come Enzo Bianchi è stato invitato a tenere gli esercizi spirituali mondali per il clero. Ma esperto di che? Per favore, cerchiamo di essere seri. La Bibbia, la Parola di Dio non è uno scherzo…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Jorgen Hendriksen su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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