
Buone amicizie e buone letture avvicinano al Vero
12 Settembre 2018
Montecassino, 22 ottobre 883: per non dimenticare
12 Settembre 2018E alla fine ci siamo arrivati. Abbiamo lasciato per ultime le due chiese che più ci rattristano, architettonicamente e spiritualmente, e che non vorremmo fossero state costruite, non vorremmo associarle al caro ricordo di una città che, fin quando noi ci abbiamo vissuto, aveva ancora un volto cristiano e cattolico chiaramente riconoscibile, anche se, probabilmente (ma noi, bambini, non lo sapevamo) già minato mortalmente dal gran male di tutta la Chiesa cattolica, il neomodernismo, messo in movimento e riabilitato alla grande dal Concilio Vaticano II. A lungo abbiamo rimandato, abbiamo tergiversato: perché affondare il coltello nella piaga? Perché angustiare noi stessi e gli altri sollevando la questione delle chiese che non sono chiese, che non vogliono essere tali, così come certi preti che non vogliono essere preti cattolici, ma qualcos’altro; e che segnano la rottura intenzionale, arrogante, diabolica con la vera Chiesa di sempre, una, santa, cattolica e apostolica? Pure, è giusto, dopo aver ricordato, una per una, tutte le chiese cittadine, parlare anche di queste ultime due: quella dell’Assunzione della Beata Vergine Maria in Viale Cadore e quella, in via Massaua, di San Domenico, nel villaggio omonimo. Abbiano incontrato, in questa rassegna delle chiese udinesi, alcune chiese che si stenta a riconoscere come luoghi del culto cattolico, perché si sforzano a tal punto di assumere lo stile del mondo, con l’uomo al centro e il progresso, anche tecnologico, quale vero oggetto del culto, da aver perso quasi del tutto il loro carattere sacro, nonché la loro natura specificamente cattolica; tali sono, a nostro parere, la chiesa di Gesù Buon Pastore in via Riccardo di Giusto, e la chiesa di S. Anna a Paparotti. In tutte le chiese del centro storico — tutte, con la parziale eccezione di San Quirino; e a suo tempo abbiamo spiegato perché – abbiano trovato il legame con la Tradizione, l’atmosfera sacrale, l’identità cattolica chiaramente riconoscibile. Poi, mano a mano che passavamo in rassegna le chiese della periferia, san Paolino in viale Trieste, san Cromazio al Villaggio del Sole, abbiano visto i segni del cedimento alla mentalità del mondo, al mito del progresso, alla centralità dell’uomo, però in forme ancora parzialmente accettabili, o comunque non tali da respingere completamente il fedele cattolico in cerca di Dio. Molto più vicine alla Tradizione le chiese dell’estrema periferia, parrocchie di quelli che un tempo erano paesi a sé stanti e che poi sono divenute frazioni cittadine, e che erano già parrocchie uno o due secoli fa, a volte più indietro ancora: quelle di Paderno, Beivars, Godia, Colugna, Rizzi. Ma con la chiesa di San Domenico, e soprattutto con quella dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, il discorso cambia: qui siamo in piena rottura con la Tradizione; qui si sente la pretesa, superba, eretica, di creare una nuova chiesa, di dar vita a un nuovo culto, sempre fondato sul Vangelo, ma solo a parole: un altro vangelo, evidentemente. Un vangelo tutto umano, in base al quale, per esempio, l’eutanasia di Eluana Englaro, che si è consumata proprio in un ospedale di questa città, e che l’ha resta tristemente celebre in tutta Italia e nel resto del mondo, non è affatto un atto contrario al Vangelo. C’è un gruppo di preti friulani, che si autodefiniscono preti di frontiera, favorevole alla eutanasia, così come sono favorevoli all’immigrazione indiscriminata, che a casa nostra si chiama invasione, ma a casa loro, e anche a casa dell’eretico Bergoglio, si chiama accoglienza. Non vogliamo fare casi personali; non vogliamo fare nomi, non certo per timore — ne abbiamo fatti tanti, in questi anni, e da qualcuno ci siamo anche beccati delle denunce, pur non avendo mai diffamato né calunniato alcuno, ed essendo sempre rimasti entro la verità dei fatti: perché sono tanto misericordiosi, costoro, ma solo verso i non cattolici e mai, comunque, coi cattolici che essi definisco, con sommo dispregio, "tradizionalisti" — ma perché non è nostra intenzione polemizzare con alcuno a livello personale. Non questa volta, almeno. Non vogliamo mescolare il dolce ricordo di una cara città e di una Chiesa che ha fatto di noi quel che siamo oggi, e che siamo lieti, e fieri, di essere, con polemiche ad personam nei confronti di sacerdoti che neppure conosciamo, ma solo per aver letto le loro triste esternazioni in frangenti come quello dell’eutanasia della povera Eluana.
Quando diciamo che queste sono chiese che non vogliono essere chiese, non stiamo esagerando, né forzando il significato delle parole. Sfidiamo il turista che giunge a Udine e che imbocca viale Cadore, per trovare la Chiesa dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, a individuarla nel pur diradato paesaggio della periferia. Istintivamente egli cercherà un campanile, o almeno una croce, ma non troverà né l’uno, né l’altra. Alla fine troverò solo un edificio che pare un comunissimo piccolo condominio di una qualsiasi zona residenziale, col suo praticello ben curato. La sensazione è così forte che, molto probabilmente, il nostro visitatore scambierà la chiesa per il condominio vicino, molto più imponente. Solo con fatica riuscirà a capire quale è la chiesa, e vi entrerà, esitante, chiedendosi fino all’ultimo se, per caso, non si sta sbagliando. Perfino la targa metallica dichiara che questa è la parrocchia, non già la chiesa, dell’Assunzione della Beata Vergine Maria. Si vede che la parola chiesa, e tanto più chiesa cattolica, è diventata una parolaccia: non si sa quando, né si sa per decisione di chi; una di quelle cose che una mattina si scoprono, per caso, e ci si accorge di aver perso qualcosa — o che qualcuno ce l’ha fatta proprio sporca sotto il naso, ma noi non ce ne siamo minimamente accorti. Insomma: niente campanile, niente croce, niente parola "chiesa": cosa ci sarà all’interno? All’interno c’è una sorta di sala-congressi, con le sedie perfettamente identiche a quelle che si trovano in una sala-congressi di un albergo o di un istituto culturale. Niente banchi, dunque impossibile inginocchiarsi per pregare, dunque niente umiltà davanti a Dio e al Mistero eucaristico. Tutti in piedi o seduti, come, appunto, a una qualsiasi conferenza. Questa non è una chiesa, ma una casa del popolo; questo non è affatto uno spazio sacro, ma un luogo di ritrovo perfettamente laico. Il bello è che questo è proprio ciò che i fautori della "svolta" conciliare volevano ottenere, e di cui vanno fieri: del fatto che non si capisce che questa è una chiesa, del fatto che non c’è un crocifisso che la identifichi, del fatto che, all’interno, essa sembra ancora meno una chiesa di quel che non sembri all’esterno. Qual è la cosa che identifica l’interno di una chiesa cattolica? Il Santissimo, evidentemente. Ebbene: dov’è il santissimo, dov’è il tabernacolo che lo contiene, in questo luogo che pare una palestra o un auditorium? Se, entrando in una chiesa, non si scorge subito il Santissimo, verso che cosa ci si inginocchia — pardon, qui non ci si può, non ci si deve, inginocchiare — verso che cosa ci si rivolge, per pregare? Verso l’assemblea dei fedeli? È questo il senso, è questo il suggerimento: la chiesa siamo noi? Se è così, quel che sospettavamo è pienamente confermato: questa non è una chiesa cattolica; e chi ci viene, non ci viene per incontrare il Dio cattolico, vale a dire Gesù Cristo, Figlio Unigenito del Padre celeste. Del resto, il signore argentino lo ha pur detto, che Dio non è cattolico. Bisogna concludere che allorché questo architetto, questo sacerdote, l’hanno così voluta, così progettata, così realizzata, nell’ormai lontano 1975, erano in anticipo di quasi quarant’anni sulla gloriosa svolta del signor Bergoglio, ma si sono anche posti, con ciò stesso, oltre, e perciò fuori, la Chiesa cattolica, quella vera.
Naturalmente, loro pensano e sostengono il contrario. La vera chiesa siamo noi, dicono. Si legga l’articolo del Messaggero Veneto, edizione online, del 26 ottobre 2013, iperbolicamente elogiativo sia della chiesa, sia dell’idea da cui essa è scaturita. In quell’articolo si riconosce francamente che la chiesa non sembra una chiesa; che la si riconosce a fatica, anzi, che non la si riconoscerebbe affatto, se non si sapesse che è una chiesa; che non c’è una croce e neppure la parola "chiesa", e che l’interno è ancora più sconcertante dell’esterno; però, con una logica tutta bergogliana, si arriva ad affermare, così, di punto in bianco, che proprio per tali ragioni, ossia perché questa è una chiesa che non vuol sembrare una chiesa, che non vuol rispettare alcuna tradizione, anzi, che vuol rompere con secoli di Tradizione, proprio perciò è una vera chiesa, nel senso etimologico della parola greca, ekklesia, assemblea: tanto per far passare l’idea, completamente farlocca, che le chiese, fin alle origini, fossero delle case del popolo e non le case in cui ci si riuniva per adorare il Signore Iddio, nella Persona di Gesù Cristo. Non un Dio qualsiasi; non un Dio che non è cattolico, e chi lo sa cosa sarà mai: nossignori, il Dio di cui ha parlato Gesù Cristo, e che era Lui stesso, incarnato, morto e risorto per amore degli uomini. Quel Dio, non un altro. Quel Dio che è presente nel Sacrificio eucaristico, che si rinnova ogni volta che il sacerdote celebra la santa Messa. Le domus ecclesiae, dice l’articolo, erano delle grandi case private, con una semplice mensa e un ampio spazio attorno per l’assemblea. Non erano templi ma luoghi dove si pregava e si svolgevano altre attività comunitarie. Questa impostazione pseudo storica è tipica dei cattolici progressisti e neomodernisti. Essi si rendono perfettamente conto della pericolosità di presentare il Vaticano II, l’unico concilio cui si riferiscono (su ventuno che ce ne sono stati) e che hanno sempre in bocca, come una rottura con la Tradizione, perché ciò farebbe di loro quel che in realtà sono, degli eretici e degli apostati, già solennemente condannati da san Pio X fin dal 1907, con l’enciclica Pascendi. Perciò, nella loro astuzia di basso conio, dicono di non essere affatto contrari alla Tradizione, ma anzi, di voler risalire e riallacciarsi alla "vera" Tradizione, quella dei primi secoli; evidentemente, anche se non osano dirlo, ma certo lo pensano, contro la falsa Tradizione, quella del Concilio di Trento, che condannò solennemente gli errori protestanti, e che ha improntato di sé gli ultimi cinque secoli di storia della Chiesa, di liturgia, di pastorale e di Magistero. Ed ecco le improbabili tirate sulla ekklesia come casa del popolo cristiano; ed ecco la giustificazione teorica delle aberrazioni architettoniche postconciliari; ecco con quale sfrontatezza arrivano a dire che è giusto così, che è bene e bello così: costruire chiese che non sembrino chiese, che il fedele non riesca a nemmeno a identificare come tali; e all’interno delle quali non ci s’inginocchia per pregare, ma si prega in piedi, e si svolgono anche tutte le altre attività comunitarie (quali? assistenziali? sindacali? quelle sul modello della comunità di sant’Egidio: trasformare la chiesa in refettorio, servire il pranzo ai poveri davanti all’altare e sostituire l’odore di ragù al profumo dell’incenso?). È curioso: quando si tratta di attaccare la Tradizione, essi sono per il nuovo, per la svolta, per il cambiamento, e quindi per il Concilio Vaticano II; ma quando si tratta di giustificare e dare una copertura ideologica ai loro abusi liturgici e d’altro genere, ecco che la Tradizione, per loro, diventa importante, importantissima: proprio per loro, benché, come i protestanti, alla Tradizione non ci credano, dal momento che la riducono a semplice tradizione, ossia un insieme di norme e consuetudini puramente umane, e non già divinamente ispirate. Guarda un po’ che astuzia: quando vogliono sovvertire la liturgia, la pastorale, la dottrina, allora la tradizione va loro stretta, è un laccio, una camicia di forza che deve essere abolita e messa in cantina; ma quando si tratta di appigliarsi a una valida ragione canonica per fare quello che fanno, sono ultra tradizionalisti, sono i veri custodi della tradizione (però sempre con la lettera minuscola), naturalmente scavalcando a pie’ pari tutta quella parte della tradizione secolare che a loro dà noia, come la dava a Lutero, e innestandosi direttamente, non si sa come, alla tradizione più antica, quella delle primissime comunità cristiane. Ignorando tuttavia il piccolo dettaglio che le prime comunità cristiane si riunivano nelle case private per la banalissima ragione che il culto cristiano era sostanzialmente proibito, sovente perseguitato a morte, dunque una ragione di segretezza che oggi non c’è più.
Perciò, se davanti a chiese come quella di san Paolino di Aquileia entriamo malvolentieri, e in chiese come quella di Sant’Anna entriamo con una stretta al cuore, sforzandoci di trovare Dio nonostante la bruttezza quasi offensiva (i mistici russi, in particolare, sanno quanto sia importante la bellezza della liturgia e dell’arte sacra, quale strumento per avvicinarsi a Dio), di fronte a una chiesa che non è una chiesa, come questa, ci rifiutiamo di entrare. Anche e soprattutto simbolicamente. Se davvero la Chiesa cattolica è diventata questa cosa qui, allora noi non ne facciamo parte: ma non, sia chiaro, perché sia cambiato qualcosa da parte nostra, nella nostra fede, nel nostro modo di adorare e servire Dio, ma perché è cambiato più di qualche cosa, è cambiato tutto, da parte di una chiesa che si dice ancora la Chiesa cattolica di sempre, ma non lo è più; e noi, che non abbiano vent’anni, lo sappiamo, perché lo abbiamo visto coi nostri occhi, e siamo stati testimoni di questa truffa gigantesca, di questa falsificazione sistematica e diabolica. Costoro si sono presi il marchio di fabbrica e con quello pretendono di essere nel vero, e di porre noi, automaticamente, fuori di esso; ma le cose stanno al contrario: sono loro che sono usciti dalla vera fede cattolica, e, abusando del loro potere e della loro autorità, hanno tratto in inganno l’intero gregge delle pecorelle che era stato loro affiato. Ne renderanno conto a Gesù, il Buon Pastore, il quale domanderà che fine abbiano fatto tutte quelle pecorelle che si sono allontanate, nauseate, per causa loro: Lui che per non perderne neanche una sola, non esitava a lasciare il gregge nel recinto per mettersi alla sua ricerca. È una responsabilità tremenda, quella che si sono assunti, come del resto il signore argentino, che ha commissariato i francescani dell’Immacolata; per nulla al mondo vorremmo trovarci al posto loro…