
Grazie ai giudici, l’Italia è il paradiso dei criminali
11 Settembre 2018
Omaggio alle chiese natie: Assunzione B. V. Maria
12 Settembre 2018Il libro reca una data significativa: 1943, XXI: l’ultimo anno dell’Italia come nazione indipendente e sovrana; l’ultimo anno di un popolo e di un esercito che potevano ancora andare a testa alta, fieri di se stessi; e l’ultimo anno di una cultura che non aveva complessi d’inferiorità, né servilismi verso le mode straniere, e che non esitava valorizzare al massimo i propri autori, i propri pensatori, i propri artisti e scienziati, non per gretto sciovinismo, ma per rispetto di se stessa, delle proprie radici, della propria storia, e perché solo quando una cultura è se stessa, e fiera di essere se stessa, può partecipare al grande scambio di idee e di valori che avviene a livello mondiale, e darvi un significativo contributo. Mentre oggi che siamo una provincia dell’impero americano, e una sub- colonia della Banca centrale europea; oggi che non abbiamo né sovranità politica, né sovranità monetaria, né confini, ma dove può entrare chiunque, e la magistratura si affretta a indagare come un criminale il ministro che tenti di presidiarli; ora che abbiamo fatto piazza pulita della memoria, della tradizione, dell’immenso patrimonio della nostra civiltà, per appiattirci e involgarirci sui modelli e sugli stili della cosiddetta globalizzazione, oggi noi, i figli di un grande Paese, gli eredi di una civiltà che ha fatto scuola al mondo intero, dimentichi dei nostri maestri, sprechiamo tempo e intelligenza per inseguire ogni moda che venga da fuori, ogni scrittore, regista o musicista che abbia l’aria di essere all’avanguardia, solo perché parla in inglese e propaganda l’american way of life, cioè un modo di essere che è già fallito, da un pezzo, nella sua patria d’origine, ma che viene ancora smerciato per moneta buona presso le popolazioni sottomesse, le quali lo accolgono come se fosse puro vangelo, e non vedono che è merce scaduta e avariata.
Il titolo è Con sette note, edito da Ulrico Hoepli, ed è una raccolta di biografie di grandi musicisti, adatta a un pubblico di giovani lettori, illustrato con sedici bellissime tavole fuori testo di Nino Pagot (nome d’arte del disegnatore Nino Pagotto: Venezia, 3 aprile 1908-Milano, 23 maggio 1972); l’autore è Guido Edoardo Mottini, autore allora piuttosto conosciuto e oggi, invece, completamente dimenticato. Era nato in provincia di Aosta nel 1884 e, quando il libro sunnominato vide le stampe, era già scomparso da quasi un decennio, nel 1934. Poeta, scrittore, critico e storico dell’arte, giornalista, saggista: meriterebbe almeno una "voce" nelle enciclopedie e un paragrafo nei manuali di letteratura; e invece nulla. Anche in rete non si trova praticamente niente, a parte una brevissima biografia e la citazione di una sua poesia per l’infanzia, all’indirizzo antonio-ragone.blogspot.com; eppure aveva pubblicato una decina di volumi che conobbero una discreta notorietà. Ricordiamo una Storia dell’arte italiana in due volumi, che edita da Mondadori nel 1929, fu più volte ristampata negli anni ’30, ’40, ’50 e ’60, e sulla quale hanno studiato milioni di studenti liceali; una Mitologia greca e romana, sempre con Mondadori, nel 1934, anche’essa più volte ristampata; una raccolta di saggi d’arte, L’anima e il colore, del 1929; La pittura italiana da Leonardo al Tiepolo, del 1927; In giro per l’Italia. Impressioni di viaggio, per la collana La Scala d’Oro della U.T.E,.T., nel 1933; Giannetto Parigi re di Francia, stessa collana, nel 1958; Il libro dei sette colori, idem, del 1932; Il Correggio, del 1935; Il romanzo di Bertoldo, del 1932; Dal libro di Dio. Episodi biblici, del 1932; Beethoven, del 1940; All’insegna del cuor contento. Storie d’arte e d’artisti per la gioventù, del 1932; Cristalli. Prose brevi, del 1930; Maestri antichi, del 1929; una versione per ragazzi dei Viaggi di Gulliver, del 1934. Una mole impressionante di opere d’un gran lavoratore della penna; e quel che balza all’occhio è che questi libri vennero scritti quasi tutti fra la fine degli anni ’20 e l’inizio degli anni ’30; poi, per tre decenni, vi furono le revisioni in vista delle nuove edizioni, a testimonianza della sua fortuna presso il pubblico giovanile e gli insegnanti di storia dell’arte. Considerato che la sua di scrittore si svolse a cavallo della Seconda guerra mondiale, ma specialmente prima di essa, in quegli anni ’30 che la cultura oggi dominante ha bollato a fuoco come "gli anni del fascismo", è sorprendente che i suoi manuali siano stati adottati fin verso il 1968. Ciò significa che sono scritti bene e che meritavano il successo che ebbero al loro tempo; di fatto, ciò che li rese obsoleti e decretò l’oblio del loro autore fu il rapidissimo mutamento della società italiana dopo la Seconda guerra mondiale, specialmente ad opera del "miracolo economico", perché l’Italia da lui descritta e il mondo ideale al quale si era ispirato erano pur sempre quelli degli anni Trenta, e dopo il 1968 quell’Italia e quei valori non c’erano più. È il tipico caso di uno scrittore che è sparito apparentemente nel nulla non perché non avesse nulla da dire, ma perché la società, cambiando in maniera frenetica, non si riconosceva più nel suo mondo. In compenso, gli anni del dopoguerra, ma specialmente gli anni dopo il ’68, hanno visto un autentico diluvio di opere straniere o di autori italiani che volevano fare i moderni a tutti i costi, adottando stili e contenuti tipici della modernità straniera, specialmente anglosassone: tutti a scuola dallo Zio Sam, che era stato così buono da liberarci dal fascismo, insieme alle nostre ambizioni sbagliate (come avrebbe detto il cattivo maestro Moravia), e da introdurci alle meraviglie del capitalismo finanziario e del libero mercato, oltre che della democrazia liberale.
Il libro Con sette note, oltre ad essere molto bene illustrato, ben rilegato, ben concepito ed esposto — il canto del cigno della nostra cultura libera e indipendente; sissignori, "libera", perché la censura fascista era niente in confronto alla censura antifascista e progressista dei settant’anni seguenti, fino all’oggi compreso — è un ottimo invito alla storia della musica. È un libro gentile, per concezione e realizzazione, altamente didattico, ben curato in ogni aspetto, e soprattutto ben scritto. Ecco come incomincia, per esempio, il capitolo dedicato a Bach (cit., p. 43):
La storia della musica è come la catena delle Alpi: ha dolci alture, greppie maestose, cime, avvallamenti, vette vertiginose. Sebastiano Bach è una di queste. Per i più è una cima inaccessibile, coperta di neve e di ghiaccio. Invece per chi si accosta alla sua immensità con animo desideroso di comprendere la bellezza severa delle sue creazioni, la neve disgela e appaiono dolci erbe e teneri fiori. Per l’alpinista coraggioso e appassionato che tenta quelle solitudini il vento reca sulle ali il fremito di profonde foreste e l’eco di canti sovrumani. Chi dice che l’arte di Bach manca di melodia, che è arida e difficile come un compito d’algebra, o non conosce affatto Bach, oppure confonde la melodia, anima divina ed essenza d’ogni musica, coi motivi volgari, dal ritmo facilone, che si portano a casa dall’operetta o del "varietà". Bach è certo severo: ma un adagio antico dice giustamente che l’arte severa è un gran godimento. "Ars severa magnum gaudium".
Ora, allargando un po’ la nostra riflessione, non possiamo non vedere il legame chiarissimo, evidente, che esiste fra ciò che una società legge, il tipo di amicizie che le perone si creano e frequentano, e la qualità della loro vita spirituale. Una società, come un individuo, è sana finché si alimenta di abitudini sane: cattive amicizie e cattive letture sono indizi di una malattia, di un disordine e di una sostanziale mancanza di consapevolezza. Si frequentano cattive amicizie quando si cercano dei complici per le proprie cattive inclinazioni; si prediligono le cattive letture per trovare in esse un alibi e una giustificazione alle proprie cattive abitudini. Non tutte le amicizie sono buone e non tutta la cultura è buona. Sono cattive le amicizie che allontanano le persone dalla loro verità interiore, dalla necessaria coincidenza fra ciò che è bene per se stessi e ciò che è bene in generale. Sono cattive letture quelle che alimentano l’illusione che si possa trovare il proprio bene anche nel disordine generale, e che si possa alimentare la propria felicità nell’ingiustizia e nella sofferenza causata agli altri. Esistono varie forme di cattiva cultura: non solo la filosofia e la letteratura, ma anche il cinema, il teatro, la musica e perfino lo sport; e che siano cattive, lo si vede dai loro frutti: le persone che hanno familiarità con essa tendono a divenire peggiori, a mettere da parte le loro tendenze positive e ad assecondare quelle egoistiche e distruttive. Gran parte della filosofia, della letteratura, della musica leggera degli ultimi cento anni sono espressione di una cultura malvagia o, nel migliore dei casi, confusa. Un giovane, che ascolta tutto il giorno, con le cuffie, una musica rock, assordante, fortemente sincopata, alimenta la dimensione tenebrosa del proprio inconscio: socchiude la porta al male. Non è detto che esso arrivi, però la porta è aperta: se non arriva oggi, arriverà domani. Si mettano insieme tutte le abitudini negative di cui è fatta la vita della maggior parte delle persone, a cominciare dall’abuso del computer, del telefonino, dei giochi elettronici, e si capirà che esse vivono in una sorta di trance o auto-ipnosi pressoché permanente: la loro esistenza si svolge all’ombra di forze oscure che agiscono nel profondo e che orientano, senza che neppure se ne rendano conto, i loro sentimenti, i loro pensieri e i loro comportamenti. E a ciò si aggiunga, poi, l’effetto catastrofico che ha, nella nostra società, una errata idea di libertà, per cui gli adulti, e in particolare i genitori, sono portati a credere che indicare ai bambini e ai ragazzi delle verità certe, assolute, indiscutibili, e una netta distinzione fra il bene e il male, fra il vero e il falso, fra il giusto e l’ingiusto, sia una forma di violenza, o quasi, e che i giovani debbano essere lasciati completamente liberi di cercare e trovare da sé la loro strada, i valori sui quali appoggiarsi, i modelli da imitare e quelli da rifiutare. Di fatto, vi è una fuga generale del mondo degli adulti dalle sue precise responsabilità educative: i giovanissimi sono lasciati a se stessi, liberi di sbandarsi e di inoltrarsi lungo vie distruttive, alla fine delle quali non troveranno la propria realizzazione, ma il proprio annientamento, se non fisico, morale. Pare, però, che di questo nessuno si preoccupi: grazie al relativismo imperante, questa specie di diserzione sistematica della società delle proprie responsabilità educative verso i giovani non viene percepita come un fenomeno aberrante e carico di effetti negativi, ma come una conquista di civiltà, un progresso sulla via del rispetto della persona. Dimenticando che un bambino non è una persona, ma una persona in formazione, cioè una persona in potenza; e che fare finta che sia già una persona equivale ad abbandonarlo, nudo e indifeso, in mezzo a un branco di lupi affamati.
In fondo, le cose sono terribilmente, incredibilmente semplici: se ci appaiono complicate, è perché della nostra auto-ipnosi fa parte il coro dei cattivi filosofi, dei cattivi scrittori e di tutti i cattivi intellettuali i quali non si stancano di ripeterci che tutto è incredibilmente complesso, che la vita è incomprensibile, che il reale è indecifrabile, che la verità non esiste e che noi dobbiamo, per forza di cose, accontentarci di quelle piccole verità parziali che sono verità per noi, anche se non lo sono in assoluto. Come un bambino al quale i maestri non fanno che ripetere quanto è poco intelligente, quanto è pigro, quanto è incapace, e che finisce per crederlo e per odiarsi e disprezzarsi, così la maggior parte degli uomini-massa della società odierna si è lasciata persuadere che la verità non esiste, o è irraggiungibile, e che loro, comunque, non potranno mai arrivarci, e del resto non ne varrebbe la pena, visto che si può vivere benissimo anche senza trovarla e senza neppure cercarla, accontentandosi di una filosofia spicciola del qui e ora, e anzi facendosene un vanto, come di una filosofia ispirata al più sano realismo e alla più ammirevole concretezza. Questo empirismo volgare e cialtrone ha persuaso gran parte degli uomini-massa che non vale la pena affaticarsi inseguendo valori universali; che non solo il vero, ma neppure il buono, il giusto, il bello, esistono; che le cose sono vere, giuste, buone e belle se lo decidiamo noi; e che se uno, per raggiungere i propri scopi, calpesta i diritti altrui, quello non è male, ma è il passaggio necessario per la propria realizzazione, e che nessuno lo può giudicare. Il fatto che quest’ultimo concetto si senta, con sempre maggiore frequenza, sulla bocca dei teologi, dei sacerdoti e perfino del (sedicente) papa attuale, è altamente significativo: ciò sta a indicare fino a che punto il veleno del relativismo, pompato e irrorato ad arte nella nostra società dai persuasori occulti, abbia finito per diffondersi e per apparirci come una cosa perfettamente logica e naturale. Noi siamo ormai simili a dei trogloditi, abituati a vivere al buio, nel fetore e nella sporcizia, i quali non vogliono neppure che si parli loro di cieli azzurri, di aria pura e di postura eretta, e che, se qualcuno si azzarda a farlo, gridano subito all’inganno e alla mistificazione, mentre la realtà è che sono terribilmente spaventati all’idea che si possa vivere in tutt’altra maniera da come essi trascinano la loro miserabile esistenza. Pure, è necessario prendere il coraggio a due mani, insorgere e cercare il cielo azzurro e l’aria pura. Non si può continuare a condurre questa vita da cavernicoli, da ominidi ottusi e degenerati. E, per farlo, abbiamo bisogno di ritrovare un poco di umiltà, un poco di coraggio, e un poco d’innocenza. Dobbiamo tornare a guardare al mondo con stupore e gratitudine; dobbiamo imparar di nuovo le parole di preghiera e di lode che ci hanno insegnato quand’eravamo piccoli. E dobbiamo smetterla di stringere cattive amicizie o di sprecare tempo in pessime letture. Abbiamo bisogno di pulizia, di serietà, di bellezza: perciò di buone amicizie e buone letture. Come quelle che ci offrivano i libri di G. Edoardo Mottini.
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