
Come se li è lavorati bene quei preti, il diavolo
15 Agosto 2018
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16 Agosto 2018Alla fine si son tirate le somme, e si è visto che i conti non tornano. Perché, nella vicenda di Staranzano, una piccola parrocchia della diocesi di Gorizia, a doversene andare è stato alla fine il parroco, che sosteneva la giusta e vera dottrina della Chiesa cattolica, e a restare è stato il capo scout che ha sposato civilmente un uomo, fiancheggiato dal vice parroco, nonché cappellano dell’Agesci. Uno a zero per gli omoeretici, e i cattolici fermi e zitti, con l’arcivescovo a fare da Ponzio Pilato, o peggio, della situazione: perché non si è limitato a lavarsene le mani, ma ha anche, di fatto, sposato la tesi gay-friendly, quella delle lobby LGBT. Sostenuto dall’immancabile Avvenire di Marco Tarquinio, manco a dirlo, e da tutta la stampa (ex) cattolica.
I fatti.
Ai primi di giugno del 2017, solleva notevole clamore la notizia che il capo scout della parrocchia di Staranzano si è unito civilmente a un uomo, un consigliere comunale in quota Pd. Non facciamo nomi, non ce n’è bisogno e non vogliano personalizzare la vicenda; del resto, per chi sia interessato, c’è ampio materiale in rete. Al rito, doppiamente sbagliato per un cattolico, perché si tratta di una unione civile e perché riguarda due persone dello stesso sesso, con la non lieve aggravante che lo sposo (o la sposa? non indaghiamo) svolge funzioni educative della massima delicatezza in una parrocchia cattolica, fra i giovanissimi, partecipa, festoso come tutti gli invitati, alle note di Over the Rainbow, il cappellano degli scout, del quale sì, facciamo il nome, certo don Eugenio Biasiol, che si è mostrato entusiasta del lieto evento, al punto da tenere il suo bravo discorso di felicitazioni. La cosa è tanto più grave in quanto il parroco, don Francesco Fragiacomo, avuto sentore della cosa, l’aveva disapprovata, anche per la maniera tutt’altro che discreta in cui si è svolta, quasi con ostentazione. Una volta il viceparroco era tenuto a seguire le indicazioni del suo diretto superiore, ma adesso pare che queste consuetudini siano passate di moda, specie se il vice si pone in termini politicamente corretti e quindi può avvalersi del sostanzioso sostegno, anche mediatico, di tutte le organizzazioni e i partiti di sinistra, nonché di tutti i settori progressisti della Chiesa, a cominciare dai giornali e dalle televisioni, mentre il parroco si pone su posizioni cattoliche, ora fatte passare per tradizionaliste o anche per conservatrici, mentre sono semplicemente cattoliche, senza aggettivi, punto e basta. Si sarebbe esposto, quel signore, a parti rovesciate? Se, cioè, avesse dovuto contestare la posizione del suo parroco progressista, gay-friendly e, naturalmente, immigrazionista, e lui avesse negato, per esempio, che per essere dei buoni cattolici si deve considerare la Lega di Salvini come l’incarnazione del diavolo? Ci sia concesso di dubitarne fortemente: a navigare col vento in poppa son capaci tutti, ma a remare controcorrente, è tutto un altro discorso, ed è lì che si vede di che stoffa è fatto un uomo.
Bisogna precisare che la bomba non è scoppiata come un fulmine a ciel sereno: la situazione si trascinava da tempo, cioè da tempo la condotta del capo scout era di pubblico scandalo ai parrocchiani di Staranzano, se è ancora lecito esprimere ciò che dice la dottrina cattolica a proposito della pratica omosessuale, §§ 2357, 2358 e 2359:
2357 – L’omosessualità designa le relazioni tra uomini o donne che provano un’attrazione sessuale, esclusiva o predominante, verso persone del medesimo sesso. Su manifesta in forme molto varie lungo i secoli e nelle differenti culture. La sua genesi psichica rimane in gran parte inspiegabile. Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni (cf Gn 19, 1-29; Rm 1, 24-27; 1 Cor 6,9-10; 1 Tim 1,10), la Tradizione ha sempre dichiarato che "gli atti omosessuali sono intrinsecamente disordinati" (Sacra Congregazione perla Dottrina della Fede, Dich. "Persona humana", 8; AAS 68 ([1976] 85). Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati.
2358 – Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione.
2359 – Le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un’amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente, e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana.
Don Fragiacomo, a ogni modo, e a differenza dell’arcivescovo Carlo Roberto Maria Redaelli, le sue responsabilità di parroco e di educatore se le era prese tutte quante, senza nascondersi dietro un dito e senza girare la testa dall’altra parte per fingere di non vedere, in omaggio al politically correct, cosa che gli avrebbe assicurato, se non altro, la benevola neutralità dei cattolici e di tutti i gay-friendly, fuori e dentro la Chiesa, nel piccolo, piccolissimo mondo di una parrocchia della diocesi di confine con la Slovenia, e gli avrebbe evitato di finire sulla griglia mediatica, dipinto come un sacerdote retrivo e omofobo. Nel bollettino parrocchiale aveva cercato di prevenire lo scandalo finale, e invitato il capo scout ad assumersi, lui, le proprie responsabilità, facendo una scelta precisa: o con la Chiesa e per uno stile di vita conforme al Vangelo, o addio suo ruolo educativo nella parrocchia, libero di seguire la sua strada. Invece di chiedergli di dimettersi, aveva sperato che lo avrebbe fatto da solo; si era illuso che avrebbe avuto la coerenza di scegliere fra due alternative che non sono conciliabili. Ma aveva sopravvalutato la coerenza altrui. E del resto, perché il capo-scout avrebbe dovuto scegliere e dimettersi, quando poteva avere questo e quello: restare capo scout e sposarsi con un uomo? Anzi, meglio: così avrebbe potuto contribuire alla "buona causa" omosessualista in seno alla Chiesa: far capire che si può benissimo essere non solo omosessuale dichiarato e praticante, ma anche civilmente unito a una persona dello stesso sesso, e continuare a frequentare la parrocchia con funzioni di responsabilità educativa fra i giovani. Ciò avrebbe contribuito ad abituare le persone a situazioni analoghe in futuro, e quindi avrebbe promosso la causa dell’accettazione della sodomia come pratica e stile di vita assolutamente normale e perfettamente compatibile col Vangelo. Inoltre, era facile immaginare che avrebbe avuto dalla sua tutto il mondo dell’informazione, e certo non avrebbe avuto contro il vescovo, né altre autorità ecclesiastiche. Insomma, la partita si presentava facile sin dall’inizio: il parroco si trovava chiaramente isolato, in una posizione scomoda, senza un cane che gli esprimesse solidarietà, che gli dicesse: Sì, don Francesco; tu stai difendendo la vera dottrina cattolica; quello che fai è giusto, non perché faccia piacere giudicare le scelte di un’altra persona, ma perché bisogna che i fedeli, e i giovani specialmente, sappiamo che quel tipo di scelta e quello stile di vita non fanno parte dell’insegnamento della Chiesa e del modello da lei proposto in fatto di sessualità, continenza, matrimonio e famiglia, ma anzi contrasta gravemente con esso. Invece, niente di tutto questo; al contrario. Se, all’inizio, l’arcivescovo è parso volersi barcamenare fra Scilla e Cariddi, e anche l’Agesci, quando è stata chiamata in causa, è parsa esitare sulla posizione da assumere, poi, un po’ alla volta, si sono spostati apertamente a favore della legittimità della scelta fatta dal capo-scout: scelta per modo di dire, cioè la scelta di non scegliere di avere entrambe le cose.
Nel frattempo si sono delineate sempre più le posizioni. Nei mesi a seguire, l’arcivescovo e la stampa, anche nazionale, nonché i vertici dell’Agesci, si sono sempre più spostati su una linea favorevole al capo-scout, il quale a dimettersi non ci pensava proprio: perché subire una simile discriminazione? Dopotutto, sono in gioco i diritti civili, non si può cedere su un principio così sacro (anche se i diritti civili non c’entrano nulla con la dottrina cattolica, come nel caso dell’aborto o del divorzio; ma come spiegarlo a questi cattolici progressisti, o sedicenti tali?). L’argomento chiave con cui costoro hanno cercato di spiegare il loro incredibile atteggiamento è stato il concetto, tanto caro al signor Bergoglio, del discernimento. Bisogna discernere, non si può giudicare le persone in astratto; bisogna includere, accogliere, evitare contrapposizioni. Di conseguenza, era chiaro dove si sarebbe andati a finire: a dar torto a quel rompiscatole del parroco, e ragione al suo vice e al capo-scout. L’Avvenire ci ha messo del suo, pubblicando una lettera molto tagliata e aggiustata di don Fragiacomo, reagendo poi con stizza a un lettore che ne chiedeva conto, e infine non potendo evitare che emergesse la verità, dapprima negata: la lettera del parroco non era stata pubblicata integralmente; non solo: la linea del giornale non era favorevole all’atteggiamento da lui assunto, per la buona ragione (si fa per dire) che non era nella linea del famoso discernimento bergogliano. Così si è arrivati a novembre, le dimissioni del novello sposo non arrivavano affatto, e i sacerdoti della diocesi hanno brillato nel asciare sempre più solo il loro improvvido collega, troppo zelante difensore della dottrina: ma la dottrina, Bergoglio lo dice sempre, è una cosa buona fino a che permette di gettare ponti e di creare unione, mentre cessa di esserlo nel momento in cui diventa causa di divisioni. Stranissima concezione della dottrina, che nessuno, ripetiamo nessuno, dei duecentosessantacinque papi che lo hanno preceduto sul soglio di San Pietro, avrebbe sottoscritto, mai e poi mai. È ovvio, al contrario, che la dottrina divide, perché definisce ciò che è cattolico e ciò che non lo è: e, come tutte le definizioni, non può includere tutto e tutti, se lo facesse non sarebbe una dottrina, e il cattolicesimo non esisterebbe, sarebbe un abito buono per tutte le stagioni, una casacca che chiunque può indossare a piacimento.
Così, alla fine, don Fragiacomo ha fatto quel che deve fare un uomo d’onore e di responsabilità, quando gli viene impedito di svolgere il ruolo per il quale è stato chiamato: ha rassegnato all’arcivescovo le sue dimissioni. Che sono state subito accettate, anche se rese note solo ora, ad agosto 2018, insieme a tutti gli altri avvicendamenti che avranno luogo nella diocesi di Gorizia dal 14 settembre: sarà trasferito in un’altra parrocchia. Sarà lui a dover fare le valigie; il capo-scout resterà nella sua funzione, e il viceparroco potrà restarsene al suo posto, finalmente libero dalla noiosa presenza di un parroco del quale non condivideva l’impostazione pastorale, e al quale aveva rifiutato di obbedire. Le parrocchie, ormai, funzionano così: ognuno può fare e dire quel che gli pare, l’obbedienza non è più una virtù, siamo tutti figli ideali di don Milani e i superiori, specialmente se assumono atteggiamento conservatori, o comunque poco aperti, vanno contestati e sbugiardati, anche in pubblico, anche alla televisione, come abbiamo visto tane volte in questi ultimi anni, per esempio in diocesi di Verona, dove un sacerdote, portavoce del vescovo Zenti, ha criticato apertamente il suo pastore in diretta televisiva. Ma i casi sono dozzine, probabilmente centinaia. È il nuovo corso bergogliano: è lo spirito del Concilio che finalmente trionfa, dopo essere stato frenato e ostacolato, per ben cinquant’anni, dai suoi implacabili avversari.
Povero don Francesco, chi glielo ha fatto fare? la sua vicenda somiglia a quella di tanti onesti, coraggiosi servitori dello Stato: fanno di tutto perché la legge venga rispettata, si espongono, rischiano del loro, e poi non solo i superiori non li "coprono", ma, quando si viene al dunque, addirittura li piantano in asso, voltano loro le spalle, o perfino li fanno mettere sotto inchiesta. Così impareranno a non fare i seccatori; chissà che finiscano per saper essere flessibili. No, speriamo che non lo imparino mai; speriamo che tutti i Fragiacomo d’Italia e del mondo, e forse ce ne sono più di quanti non si ceda, non si scoraggino, ma vadano sempre avanti, a testa alta e con la schiena ditta. Non è questione di orgoglio personale: se fosse solo per quello, li consiglieremmo di cedere. Il vero cristiano è umile, è docile davanti al volere di Dio. Ma non è timido, né arrendevole, davanti a ciò che è male agli occhi di Dio. Cari vescovi e direttori di giornali e responsabili delle organizzazioni cattoliche, voi potete essere gay-friendly fin che vi pare, ma una cosa non potete fare: cambiare la dottrina a vostro arbitrio. Né potete cambiare le parole della Bibbia, né capovolgere la Tradizione, insieme a duemila anni di Magistero. No, questo non lo potete fare. Godetevi pure i vostri trionfi, finché potete; e godetevi il fatto che sono i rompiscatole come don Fragiacomo, per ora, a dover fare la valigia e levare il disturbo. Ma verrà il momento della verità. Per ora i conti non tornano, ma quando sarà Dio a farli, allora di certo torneranno, eccome se torneranno, fino all’ultimo spicciolo. Allora ciascuno sarà chiamato a rendere conto: di quello che ha fatto e di quello che non ha fatto…
Fonte dell'immagine in evidenza: RAI