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Come se li è lavorati bene quei preti, il diavolo

Lo scrittore anglo-irlandese Clive Staples Lewis, meglio noto come C. S. Lewis (Belfast, 29 novembre 1898-Oxford, 22 novembre 1963) è oggi divenuto notissimo in tutto il mondo, anche grazie al cinema, per via del ciclo fantasy rivolto ai bambini, di sette romanzi apparsi fra il 1950 e il 1956, Le cronache di Narnia; ma prima della Seconda guerra mondiale era conosciuto e apprezzato negli ambienti accademici, lui, professore al Collegio della Maddalena di Oxford, soprattutto per l’ampio studio L’allegoria dell’amore, pubblicato nel 1936, dedicato al tema della spiritualità nella letteratura medievale. Eppure fra gli intenditori del genere saggistico e allegorico di matrice filosofica, il suo capolavoro resta senza dubbio un’opera minore, quanto a mole e, apparentemente, ad impegno intellettuale, The Screwtape Letters, noto in Italia come Le lettere di Berlicche, del 1942, ma già apparso a puntate sul quotidiano The Guardian. In questa breve, ironica, brillante e graffiante opera l’Autore, che dopo una fase d’incredulità era ritornato al cristianesimo e aveva aderito, come già aveva fatto T. S. Eliot, alla Chiesa d’Inghilterra, quella cosiddetta alta, la più tradizionalista, ossia la più vicina, o se si vuole, la meno lontana, dalla Chiesa cattolica, immagina che un diavolo esperto, Berlicche, uno degli assistenti di Stana, fornisca istruzioni e consigli a suo nipote Malacoda, diavolo ancora alle prime armi. L’oggetto della corrispondenza, naturalmente, è individuare la strategia migliore per corrompere le anime senza che se ne rendano conto, allontanandole dall’amore di Dio e vanificando, così, l’opera redentrice di Cristo; il tutto esposto con molto brio e molto acume. In pratica, si tratta di una riflessione di Lewis sulle debolezze degli uomini e specialmente dei cristiani, sulle loro vanità, sulla loro inclinazione all’orgoglio, alla lussuria e alla cupidigia, e su come sappiano magnificamente auto-ingannarsi, per non vedere ciò che realmente sono, immaginandosi d’essere seguaci di Cristo solo per il fatto di frequentare una parrocchia e andare alla Messa domenicale.

Un aspetto di forte attualità del libro di Lewis, se si considera che è stato scritto in un Paese non cattolico e nel pieno della Seconda guerra mondiale, in una Londra devastata dalle bombe di Hitler (l’ambientazione del bel romanzo di Graham Greene La fine dell’avventura), è la critica che egli fa del clero e specialmente di certi parroci che scandalizzano i fedeli con i loro atteggiamenti e modi di fare, che vorrebbero essere moderni e spregiudicati, e che finiscono per imboccare le due strade, entrambe ugualmente disastrose per la fede dei parrocchiani, oltre che dei sacerdoti stessi, di un permissivismo e di una tolleranza che giungono fino ad annacquare completamente il Vangelo, rendendolo insipido, oppure di una esasperazione e di un furore ideologico che impregna la predicazione di temi politici ed è solo la maschera, dietro l’apparenza di un fervore e di uno zelo religiosi, di un bruciante rancore a fatica dissimulato, che si sfoga nell’aggredire frontalmente i sentimenti di una parte dei parrocchiani, quasi a volerli sfidare e allontanare per far vedere che quel prete, quando si tratta delle cose di Dio, non ha paura di niente e di nessuno. In realtà, non è altro che un pover’uomo, pieno di frustrazioni e gonfio di superbia, già spiritualmente mezzo morto e quasi del tutto preso al laccio dal demonio, ignaro d’essere sul punto di diventare uno zelante servitore d’un padrone ben diverso da quello che crede di servire. Sono pagine stranamente premonitrici, e l’ideale sarebbe farle leggere a certi preti dei nostri giorni, che più cattolici non sono, però non lo sanno, anzi, credono di essere i primi, veri preti cattolici al mondo, nel pieno significato del termine; e che con le loro sciarpe arcobaleno, le loro pose irriverenti, le loro uscite provocatorie, rivelano una cosa sola: la patologia d’un io ipertrofico.

Vale la pena di rileggersi quelle osservazioni di Berlicche che appaiono oggi, a quasi ottant’anni di distanza e con l’evento del Concilio nel mezzo, fra quel tempo e noi, a far da spartiacque, di sorprendente attualità (da: C. S. Lewis, Le lettere di Berlicche, traduzione di Alberto castelli, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1947, pp. 97-100):

Mi sono informato, all’ufficio, delle due chiese che gli sono più vicine [si parla di un "paziente" seguito da Malacoda]. Ambedue si raccomandano per qualche cosa. Nella prima di esse il parroco è un uomo che sui è talmente occupato, per molto tempo, ad annacquare la fede per renderla più facile per una congregazione che crede incredula e di dura cervice, che ora è lui a stupire i suoi parrocchiani per la sua mancanza di fede, e non VICEVERSA. Egli ha minato il Cristianesimo di più di un’anima. Anche il suo modo di comportarsi durante le funzioni è ammirevole. Al fine di risparmiare ai laici tutte le "difficoltà", ha abbandonato il lezionario e i salmi d’obbligo, ed ora, senz’accorgersene, gira e rigira incessantemente intorno alla piccola macina dei suoi quindici salmi favoriti e delle sue venti lezioni favorite. Siamo perciò al sicuro dal pericolo che qualsiasi verità non già conosciuta a lui o al suo gregge possa mai giungere loro attraverso la Scrittura. Ma forse il tuo paziente non è stupido abbastanza per questa chiesa – o non ancora?

Nell’altra chiesa abbiamo padre Spike. Gli esseri umani si trovano spesso in imbarazzo non riescono a capire fin dove arrivano le sue opinioni — perché un giorno è comunista e il giorno seguente non lontano da una specie di fascismo teocratico — un giorno tutto politica, il giorno dopo proclama che tutti gli stati di questo mondo sono ALLO STESSO MODO "sotto il giudizio". Noi, naturalmente, vediamo l’anello di congiunzione, che è l’Odio. Quell’uomo non può risolversi a predicare cose che non sian dirette a impressionare, a recar dispiacere, o imbarazzo, o a umiliare i suoi genitori e i suoi amici. Una predica che questa gente potesse accettare sarebbe per lui insipida né più né meno di una poesia che essi fossero in grado di scandire. V’è pure presente una vera disonestà in lui; gli stiamo insegnando a dire: "L’insegnamento della Chiesa", mentre di fatto intende dire: "Son quasi certo di aver letto di recente in Maritain o in qualcuno del suo tipo". Ma ti debbo mettere sull’avviso che ha un difetto fatale: egli crede davvero. E ciò potrebbe ancora rovinare tutto.

Ma codeste due chiese hanno in comune una cosa — quella di essere ambedue chiese di partito. Mi par d’averti già avvisato prima che il tuo paziente, se non lo si può tener lontano dalla chiesa, dovrebbe almeno esser violentemente attaccato a qualche partito nel suo seno. Non intendo riferirmi alle questioni strettamente dottrinali; quanto a quelle, più tiepido sarà e meglio è. Non è sulla dottrina che noi principalmente ci fidiamo per produrre la malevolenza. Invece è un vero godimento far scoppiare l’odio fra coloro che DICONO "messa" e coloro che DICONO "santa comunione", mentre nessuno di loro potrebbe chiarire la differenza fra la dottrina, ad esempio, di Hooker e quella di San Tommaso d’Aquino, in un modo che si possa apparire ragionevole per almeno cinque minuti. E tutte le cose puramente indifferenti — le candele e i vestimenti e che so io — sono un terreno meraviglioso per le nostre attività. Abbiamo allontanato per sempre dalla mente degli uomini ciò che quel tipo pestilente di Paolo soleva insegnare intorno ai cibi e ad altre cose non essenziali — vale a dire che l’essere umano che non ha scrupoli dovrebbe sempre cedere di fronte a chi invece ne ha. Tu forse pensi che non potevano non vedere l’applicazione che se ne doveva fare. Ti aspetteresti di trovare che il fedele che appartiene ala Chiesa "bassa" faccia la genuflessione e il segno della croce per tema che la coscienza del suo fratello della chiesa "alta" fosse tentato d’irriverenza, e che chi appartiene alla Chiesa "alta" si astenga da quegli esercizi per non tradire il suo fratello della "bassa" e tentarlo d’idolatria. Così sarebbe di fatto avvenuto se non avessimo lavorato senza posa. Senza un tal lavoro la varietà degli usi della Chiesa d’Inghilterra sarebbe divenuta un vero semenzaio di carità e di umiltà.

Tuo affezionatissimo zio Berlicche.

Non si creda che il senso di queste righe possa essere chiaro solo per un membro della Chiesa d’Inghilterra, divisa fra seguaci della Chiesa alta e di quella bassa: è un senso che si attaglia perfettamente anche ai seguaci della Chiesa cattolica, specialmente di questi ultimi tempi. Ciò che Lewis vuol dire è che molti cristiani, e purtroppo anche molti preti, per vanità e per superbia, non si peritano di dare scandalo ai loro fratelli, non si curano di offende i loro sentimenti, di allontanarli, forse, dalla fede, solo per il gusto di rimarcare le differenze, per far vedere che loro sono tutti d’un pezzo, che non hanno alcun rispetto umano per amore di Dio, mentre la verità è che hanno un solo dio da servire, il loro ego, e un solo sentimento dominante: l’odio. Sono dei grandi odiatori, ma in incognito: apparentemente, sono pieni di amore, di benevolenza e di apertura verso tutti, ma specialmente verso gli "altri", i poveri, i diversi, gli emarginati. La verità è che essi hanno bisogno di una nobile causa da brandire come una clava sulla testa dei loro fratelli che hanno una differente sensibilità e che leggono il Vangelo in maniera più conforme alla Tradizione e al Magistero (quello vero, di sempre, non quello taroccato della neochiesa). E chi se ne frega della sensibilità altrui?, loro non si spaventano e non indietreggiano per così poco. E chi se ne frega della dottrina, se la dottrina crea divisioni e pone ostacoli? L’importante, essi dicono, è l’amore. Non si capisce però che tipo di amore: si direbbe, dal modo in cui ne parlano e da come lo manifestano, una cosa tutta e solamente umana, perciò molto fragile, molto precaria, e soprattutto molto egoistica. Di fatto, sorridono e ridono spesso, anzi quasi sempre; baciano e abbracciano i poveri, invitano in chiesa i luterani, lavano i piedi agli islamici, allestiscono pranzi per i profughi nelle chiese, proprio il giorno di Natale, e spandono sotto le volte e davanti agli altari non il profumo dell’incenso, ma l’odore del ragù: però i loro occhi restano sempre freddi e duri, la bocca non ride, si contrae in una gelida smorfia; tutta la loro persona è rigida, legnosa: stanno recitando un copione, interpretano un ruolo. Sanno benissimo di scandalizzare, e lo fanno apposta. Un prete progressista sa molto bene che, presentandosi in chiesa, alla santa Messa, con un cesto di capelli lunghi e ricci e con la sciarpa arcobaleno sopra i paramenti, simboli ormai di fraternità con gli omosessuali e di simpatia alla loro "causa", più che di amore per la pace, creano disagio, imbarazzo, frustrazione in una bella fetta dei loro parrocchiani: ma chi se ne importa? Molti nemici, molto onore, pensano soddisfatti se qualcuno di essi osa farsi avanti a lamentarsi, a esprimere le sue perplessità. Tanto, loro sono più avanti; loro hanno capito il Vangelo più e meglio di chiunque altro; e ascoltano con un beffardo sorrisetto d’ironia le parole imbarazzate di quei tali parrocchiani. I soli tradizionalisti, pensano, arroccati al passato, fermi a prima del Concilio. Qualche vola scappa loro di bocca tutta l’insofferenza, tutto il fastidio, tutto il disprezzo che nutrono: Io non parlo con chi non segue il Concilio e perciò professa un’altra religione!, sbottano qualche volta, quando proprio non ce la fanno a mascherare più a lungo i loro veri sentimenti, il loro livore, il loro astio. Ma perché vuole andare alla Messa in latino?, ci ha chiesto una volta un giovane prete, senza che gli avessimo domandato alcun consiglio; quella è archeologia! Povertà umana, presunzione, indelicatezza, indiscrezione, invadenza, c’è qui tutto un campionario di miserie; ma c’è anche qualcosa di peggio, c’è l’eresia. Considerare roba archeologica la Messa tridentina significa disprezzare ciò che la Chiesa è stata per molti secoli, e, implicitamente, dichiararsi seguaci di un’altra chiesa, di una chiesa nuova e diversa, che non ha nulla, né vuole aver nulla a che fare, con l’antica. Questa è semplicemente e puramente eresia, perché la Messa è il cuore e la principale ragion d’essere della Chiesa, e la Chiesa è una, apostolica, cattolica e romana: non esiste una chiesa di prima e una chiesa dopo il Concilio, non esiste una chiesa che sia viva e attuale e una che sia archeologica. Chi parla così, oltre a non avere alcuna sensibilità umana e a disprezzare i sentimenti del proprio fratello (cosa che si guarderebbe bene dal fare se si trattasse di un ebreo, di un islamico o di un ateo), non ha la più pallida idea di cosa sia la Chiesa della quale è stato ordinato sacerdote. Ciò è molto triste, e fa sorgere inquietanti domande su chi lo abbia ordinato sacerdote. Che sta succedendo nei seminari, a partire dal Concilio e fino ai dì presenti? Sono ancora dei luoghi nei quali si forma la mente e il cuore del futuro sacerdote, cioè di colui che dovrà sostenere e incoraggiare la fede dei laici, oppure sono diventati luoghi d’incredulità e di libero pensiero, dove ciascuno si sente autorizzato a seguire ciò che umanamente gli sembra meglio, in tutta autonomia e libertà, intese in senso puramente umano)? Se l’albero si riconosce dai frutti, è difficile non propendere per la seconda ipotesi. E più in generale: che sta succedendo nella cristianità, che sta succedendo nella Chiesa e nel cuore di milioni di persone che, a parole, si dicono ancora "credenti", e magari pensano davvero di esserlo, ma di fatto non lo sono più? Costoro hanno sostituito al culto di Dio il culto dell’uomo, e precisamente nella figura mitizzata del povero. Ma chi è il povero? In termini materiali è l’uomo economicamente indigente. Ma la vera povertà, in termini cristiani, è la lontananza dell’anima da Gesù. Chi è più povero di colui che non rimane unito a Lui?

Fonte dell'immagine in evidenza: Immagine di pubblico dominio (Gustave Dorè)

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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