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12 Agosto 2018Non avremmo mai immaginato che un giorno avremmo scritto a proposito di una chiesa che, quando abitavamo in quella città, non sapevamo neppure che esistesse. Per noi, da bambini, le parole La Quiete evocavano delle immagini dolcemente malinconiche di verde, di anziani, di silenzio, perché si trattava di una casa di riposo situata nel centro urbano, e tuttavia in una zona un po’ appartata e ricca di alberi e giardini, posta vicino a uno dei parchi pubblici che abbiamo a suo tempo frequentato, quello della Rimembranza. Quiete e rimembranza erano, per noi, parole suggestive, ma in qualche modo remote, quasi favolose: che cosa è mai la vecchiaia, per un bambino di sette, otto anni, che corre per i vialetti ghiaiosi e si diverte un mondo a dondolarsi sull’altalena? Non è praticamente nulla: è un’astrazione. Perfino il futuro possibile e plausibile è per lui un’astrazione: un bambino, nato negli anni ’50 del Novecento, quando pensava al 2000, aveva una strana sensazione d’irrealtà: sì, facendo un po’ di calcoli, lui al 2000 ci sarebbe arrivato tranquillamente, ma di lì a immaginarsi una cosa del genere, ce ne corre. Per un bambino di sette anni, una persona di quaranta è quasi vecchia, e una di sessanta è decrepita. E se questo era vero per i bambini delle passate generazioni, figuriamoci per quelli di adesso, nati e vissuto in una società che corre a ritmo sempre più vertiginoso, e che ogni pochi anni ci mette di fronte a delle novità radicali, sia nel sistema della nostra vita materiale (il computer, per esempio, e poi il telefonino), sia in quella spirituale e morale. Dunque, alla Quiete noi non c’eravamo mai stati, anche se saremo passati chissà quante volte per la via sant’Agostino, dove si aprono i suoi cancelli, in una zona tranquilla e silenziosa nella parte nord-orientale della città, a due passi dal Giardino Grande e dal famoso santuario della Madonna delle Grazie; e chissà quante volte avremo visto quei vecchi camminare lentamente, sostenuti dai figli o dai nipoti, nel giardino antistante o lungo i viali vicini, all’ombra dei platani, dei cedri e dei pini. I nostri nonni godevano una discreta salute, e quando essa inevitabilmente declinò, a prendersi cura di loro c’erano una delle quattro figlie, che non si era spostata, e una fedelissima donna di servizio. Le famiglie avevano un’altra solidità, il divorzio ancora non c’era, tanto meno l’aborto; le convivenze, una cosa mai sentita; e andare in casa di riposo era una soluzione estrema, quasi sempre per delle persone rimaste sole: non c’era il problema delle badanti, con la relativa immigrazione dall’Europa orientale.
Poi ce ne siamo andati via, gli anni sono passati, e La Quiete è diventata una Residenza Sanitaria Assistenziale (R.S.A.), un tipo di struttura non ospedaliera sorta alla metà degli anni ’90 per l’assistenza di persone malate e non autosufficienti, anche a tempo indeterminato, cioè, in pratica, per l’assistenza dei malati terminali. Nel dicembre del 2008 la drammatica vicenda umana e giudiziaria di Eluana Englaro si avvicinava alla sua conclusione e La Quiete, interpellata dalla famiglia di lei, diede dapprima la sua disponibilità ad accoglierla, poi la ritirò, quindi la concesse di nuovo, in un’altalena convulsa, mentre a Roma il Parlamento si divideva e si moltiplicavano ovunque iniziative, favorevoli e contrarie, di uomini politici, magistrati, giornalisti, intellettuali e persone comuni. L’Italia era spaccata a metà, e anche la Corte europea per i diritti dell’uomo fu investita del caso. Tutti avevano compreso che, se Eluana fosse stata trasferita alla Quiete, dalla casa di cura di Lecco d’era da tanto tempo, amorevolmente assistita dalle Suore Misericordine di San Gerardo (che mai ebbero da papà Englaro una parola di pubblico ringraziamento), quello sarebbe stato il suo ultimo viaggio, perché si trattava di trovare una struttura disposta a interrompere l’idratazione e l’alimentazione di quell’organismo addormentato, anche se — suprema ipocrisia — nessuno voleva adoperare la parola eutanasia. Non intendiamo rievocare quella tristissima vicenda, della quale ci siamo occupati a suo tempo, con tutta una serie di articoli; basti dire che il 3 febbraio un’autoambulanza partì da Lecco e portò Eluana a Udine, dove trovò un certo numero di civilissimi manifestanti che pregavano e vegliavano, nella neve di quel freddo inverno, perché non venisse staccata la spina che teneva in vita quella donna. Il 6 febbraio l’équipe medica assegnata a Eluana, formata da una quindicina di persone, annunciò che quel giorno avrebbe avuto inizio la progressiva riduzione dell’alimentazione; per chiamar le cose con il loro nome, si trattava di farla morire di fame, e nessuno può dire onestamente se, pur essendo in coma, ella non abbia provato sofferenza nello spegnersi. Mentre in Parlamento continuavano a succedersi convulsi tentativi di scongiurare l’inevitabile, e la vicenda aveva ormai assunto le proporzioni di un caso internazionale, giunse infine la notizia che il cuore di Eluana aveva cessato di battere, alle 19,35 del 9 febbraio. L’autopsia ordinata dalla procura di Trieste stabilì che era morta per la disidratazione, come previsto dal protocollo siglato fra i sanitari e la famiglia.
Tutta questa vicenda ci ritorna alla memoria a distanza di anni, avendo appreso che, nel 2015, l’arcivescovo della città, monsignor Andrea Bruno Mazzocato, ha celebrato una Messa pre-natalizia per i pazienti della Quiete nella chiesa interna della struttura, quella chiesa che, come detto, non sapevamo neppure che esistesse. È una struttura molto moderna all’esterno, abbastanza tradizionale all’interno, con le statue di Gesù e di San Giuseppe col Bambino ai due lati dell’altar maggiore, situata al primo piano della Residenza Lodi. Dopo la Messa, il sindaco Furio Honsell ha ringraziato il personale e gli assistenti della struttura, che con il loro impegno fanno dell’azienda pubblica, ha detto, con un orribile neologismo oggi praticamente obbligatorio, un riferimento di eccellenza per l’assistenza ai malati. Chissà se qualche ombra indugiava in quel luogo, se qualche fantasma sfiorava la coscienza di quelle persone; se il ricordo di Eluana Englaro, che era viva e non malata, che respirava da sola senza bisogno di ventilazione artificiale, e che da sola assimilava il nutrimento somministratole, ma che qualcuno volle far morire, si è affacciato, per un attimo, alla coscienza di quei sanitari e di quelle autorità civili e religiose. E chissà se a qualcuno, fra quei sorrisi, quei flash dei fotografi (perché c’erano anche quelli, si capisce: quando mai un vescovo o un sindaco si lasciano scappare una simile occasione di pubblicità?), mentre si scambiavano gli auguri di buone feste, sono tornate in mente le parole delle Suore Misericordine di Lecco, le quali avevano semplicemente detto: Se c’è che la considera morta, lasci che Eluana resti con noi che la sentiamo viva. E si noti la sottile differenza fra "considerare", tutto di testa, e "sentire", che viene anche e soprattutto dal cuore: ci sono delle ragioni che la ragione non conosce, ma solo il cuore, diceva il filosofo Blaise Pascal. Ecco qui: la vicenda di Eluana Englaro è una di quelle che ci hanno maggiormente rattristato, proprio in quanto friulani. Pensare che Udine aveva offerto "ospitalità" a un caso patente di eutanasia, anche se nessuno voleva chiamarlo a quel modo, ci ha profondamente addolorato. È stato un segnale del fatto che anche Udine non era più quella che avevamo conosciuto, che si è arresa ai nuovi modi di pensare e di sentire, un tempo così lontani dalla schietta, generosa semplicità della sua gente. Poi ci sono stati altri fatti, che hanno purtroppo rafforzato questa impressione. I casi di cronaca nera, innanzitutto; ma anche episodi come il gay pride del 2017, al quale è andato pure il patrocinio dell’Università di Udine: si vede che era giusto considerarlo un evento di alto valore culturale. Peccato che l’università sia statale, e che sia finanziata anche dai nostri soldi. Ma sull’università di Udine, molto ci sarebbe da dire, e qualcosa abbiamo visto e osservato coi nostri occhi, che avremmo preferito non vedere; però meglio tacere. Resta la nostra perplessità rispetto alla decisione di creare uno studio universitario in una città che non l’aveva mai avuto, e con ben tre università a circa un’ora di treno: Trieste, Venezia e Padova. Le università non sono supermercati, hanno bisogno di una tradizione: Padova e Bologna avevano già una fama europea al tempo di Dante Alighieri. Non le si può improvvisare così, semplicemente per ragioni politiche (e demagogiche).
Ma tornando alla chiesetta interna della Quiete, non possiamo fare a meno di restare alquanto pensosi apprendendo, dal sito internet della struttura (www.laquieteudine.it), in che cosa consistano i servizi religiosi da essa offerti ai ricoverati:
Per quanto riguarda la religione cattolica nei giorni festivi viene celebrata la S. Messa presso la Cappella interna posta al primo piano della Residenza Lodi secondo l’orario esposto all’esterno della Cappella. Il sacerdote è a disposizione, su richiesta, per ogni esigenza degli ospiti.
In relazione alle altre confessioni religiose e di credo, la struttura è disponibile all’attivazione, previa richiesta, di idoneo servizio.
Cioè, se abbiamo capito bene, e se la lingua italiana non è una mera opinione, qualora un ricoverato, pardon, un "ospite" della struttura, che fosse di fede giudaica, o islamica, o protestante, avesse bisogno di un rabbino, o di un imam, o di un pastore luterano, basta chiedere, e il sacerdote incaricato del "servizio religioso" cercherà di provvedere. Per i lama buddisti e i sacerdoti indù non sappiamo, forse non sarà altrettanto facile, e neppure per i preti scintoisti; però siamo certi che ce la metteranno tutta per accontentare ogni richiesta. Molto gentile e molto rassicurante, non si può che ringraziare di tutto cuore per tanta delicatezza e tanta sollecitudine (anche con la famiglia di Eluana sono stati molto solleciti e molto delicati). Peccato che tutto ciò non sia affatto cattolico e che non si capisce perché un sacerdote cattolico, se è lui ad occuparsene, dovrebbe prestarsi a simili richieste, se non in nome dell’indifferentismo religioso, che è una concezione difforme, e apertamente condannata, dal Magistero della Chiesa cattolica. Questo è un fatto, e neppure i più strenui sostenitori dello "spirito" del Concilio Vaticano II possono affermare il contrario; se lo possono, che ci mostrino in quale documento del Concilio c’è scritto che le religioni si equivalgono, che chiunque può scegliere quella che preferisce, e che con tutte quante si guadagna la salvezza eterna. Per favore, cerchiamo di essere seri. Se la religione è, come dovrebbe essere, una cosa seria, non si può andare al supermercato delle religioni, scegliere e ordinare quella che si preferisce; o meglio, lo si potrà anche fare, ma non si può chiedere a un sacerdote cattolico di prestarsi a una tale filosofia. La religione si occupa della salvezza dell’anima; e un prete che si mette a disposizione di un’altra fede religiosa dà prova di un supremo galateo mondano, ma di un pessimo esercizio di cristianesimo: sta letteralmente giocando con il destino eterno di quell’anima. E se è contento lui di caricarsi una tale responsabilità sopra le spalle, non può essere però contenta la Chiesa, quella vera, la Sposa di Cristo, ricordando le parole del divino Maestro (Marco, 16, 15-16): Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. Sono parole talmente chiare che qualunque commento sarebbe superfluo: che piacciano o che non piacciano ai falsi pastori della neochiesa. E così queste (Giovanni, 6, 47-51): In verità, in verità vi dico: chi crede ha la vita eterna. Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo. Gesù non dice: chiunque crede in un Dio qualunque, avrà la vita eterna; ma dice: Io sono la via, la verità e la vita; chi crede in me ha la vita eterna. Oggi il neoclero vorrebbe fare di Gesù un maestro fra i tanti, e del cristianesimo una strada fra le tante; una delle meno valide, forse, viste le colpe storiche che deve farsi perdonare, e che pesano specialmente sulla Chiesa cattolica.
Ripensiamo a tutto ciò mentre ci tornano alla memoria tante cose di un tempo, e le confrontiamo con le cose presenti. Chi si è maggiormente avvicinato al miraggio di una vita migliore, la civiltà cristiana o la civiltà moderna? E chi sé maggiormente avvicinato al cuore del Vangelo, la Chiesa di sempre o la neochiesa del Concilio e del post-concilio? Quanta arroganza, quanta superficialità, quanto sciocco correr dietro alle mode del mondo, da parte di quelli che hanno creduto di vedere più lontano di tutti, e invece non vedevano più in là del loro naso. E come è cambiata la nostra vecchia città, come è cambiata la società intera, e quanto irriconoscibile è divenuta la Sposa di Cristo! Dunque il prezzo che si paga per entrare nel supposto paradiso della modernità è questo: smarrire il buon senso, lasciarsi accecare dalla propria superbia, confondere il bene col male e viceversa… Una città che non parla mai di tutti gli aborti che si compiono nell’ospedale, uno dei migliori d’Italia e forse del mondo, ma che si guadagna un tristo primato offrendosi di far morire una donna in coma, che le suore cui era stata affidata chiedevano solo di lasciare alle loro cure. E una oscena, orrida sfilata di omosessuali, che ottiene anche il patrocinio dell’università statale. Bene: bel risultato. Cari amici progressisti, avete proprio di che andar fieri. Banali e conformisti eravate ieri, quando dicevate e facevate tutto il contrario di adesso; banali e conformisti siete rimasti oggi, come allora…