
Dobbiamo offrire ai bambini un clima di spiritualità
11 Agosto 2018
Omaggio alle chiese natie: la cappella della Quiete
12 Agosto 2018La chiesa di San Giuseppe Sposo della Beata Vergine Maria è molto interessante dal punto di vista architettonico e culturale: realizzata nel 1962, su progetto dell’architetto Firmino Toso, riflette senza dubbio una precisa volontà di rinnovamento, non ancora, però, nelle forme che sarebbero divenute comuni qualche anno dopo, allontanandosi sempre più dalla Tradizione; allora il Concilio era ancora all’inizio, molti fedeli non avevano capito affatto quale fosse la posta in gioco (e parecchi non l’hanno capito neanche adesso che son passati cinquant’anni); si voleva annunciare il Vangelo in modo nuovo, ma, almeno per molti che erano in buona fede, senza rinnegare il passato, senza allontanarsi dalla Chiesa di sempre. Perciò l’esterno sopraelevato rispetto al piano della strada, con struttura capanna aggettante a tre pareti e largo uso di materiali moderni, come vetro e cemento armato, e l’interno luminoso, imponente ma raccolto, con la navata scandita da sei solidi pilastri che si congiungono al centro del tetto, e corrono prospetticamente verso la finestra rotonda dell’abside, nella cui luce si staglia il grande crocifisso che sovrasta l’altar maggiore, possono piacere o non piacere, ma possiedono indubbiamente una loro dignità estetica, una loro coerenza e compattezza di linguaggio, una loro armonia di linee, piani e proporzioni. Insomma, non sono privi di una certa spiritualità, anche se, evidentemente, non è e non può essere quella che si respira nelle chiese antiche del centro cittadino. D’altra parte, qui siamo sul Viale Venezia, in una zona periferica, però lungo un asse viario estremamente trafficato; una zona di recente espansione urbana ed edilizia, che, alla fine degli anni ’50 e al principio degli anni ’60, aveva bisogno di un nuovi luogo di culto, e forse non poteva darselo prendendo a prestito le architetture del passato, ma doveva realizzare uno stile adatto ai tempi: che erano, teniamolo ben presente, i tempi del boom economico, quando l’avvenire pareva roseo e le famiglie assaporavano, per la prima volta, un grado di benessere e, soprattutto, una attesa di meraviglie future ancor maggiori, quali mai si erano visti nel passato, o anche solo immaginati. Pertanto la chiesa di San Giuseppe non sarà un capolavoro, ma non è nemmeno "buttata lì", ha una sua ragion d’essere, risponde a una domanda e tenta di dialogare col paesaggio, che è appunto, un paesaggio di periferia urbana di tipo moderno, e certo non può adoperare la sintassi e il fraseggio delle chiese medievali, rinascimentali o barocche, che sorgono all’interno delle mura. Qui bisognava inventarsi una modalità espressiva totalmente nuova, ma pur sempre nel solco di una Chiesa antica di due millenni, e lo si è voluto fare con la forma a capanna che allude alla Sacra Famiglia, essendo la chiesa dedicata a San Giuseppe Sposo di Maria: una libertà espressiva che un architetto di prima del ‘900 non avrebbe potuto permettersi. Forse ci si è riusciti, forse no, ma va dato atto che il tentativo rispondeva a una logica; mentre è difficile vedere una logica in certe altre chiese della periferia udinese (e non solo), sorte nei decenni successivi, in omaggio a una ideologia neomodernista sempre più spinta e sempre più volutamente contrapposta alla Tradizione, come a voler dire: da qui non si torna indietro; pensatela come vi pare, ma siete nostri ostaggi, e dovrete venire dove a noi piacerà di condurvi.
E che nella grande chiesa di viale Venezia, per noi legata a un mesto ricordo, ci sia, ad ogni modo, un senso di spiritualità; che ci sia, in definitiva, un’anima, nella quale i fedeli possono trovare e incontrare Dio, ce lo ha confermato la scoperta, in rete, di un blog intitolato Traditio liturgica. La liturgia cristiana nella sua forma tradizionale nell’Oriente e nell’Occidente europeo, molto ben fatto e ben curato, il cui autore, un certo Pietro C., che non conosciamo, svolge varie riflessioni in tema di cattolicesimo e di neochiesa, e condivide coi lettori una serie di ricordi della sua educazione e formazione cattolica. Egli, che deve avere alcuni anni meno di noi, e ha vissuto i cambiamenti nella Chiesa all’incirca nella stessa epoca (mentre è difficile spiegare e far capire queste cose a un giovane, impossibilitato a fare confronti con l’epoca anteriore al Concilio), è cresciuto appunto nella parrocchia di San Giuseppe, e racconta con parole commosse come vi abbia trovato, anche per merito del parroco di allora, quel clima propizio allo sviluppo della spiritualità, che poi si è rapidamente dissolto. Riportiamo alcuni brani dai suoi Ricordi, 1:
In realtà, sono certo che il popolo non avrebbe mai voluto un cambiamento così radicale nella sua vita religiosa. Non ne sentiva semplicemente la necessità! Gli fu imposto ed egli credette bene d’obbedire. (…) Personalmente ho dei cari ricordi dai quali emerge, in qualche modo, questo cambio radicale che io, bambino, non potevi capire e tantomeno valutare ma che iniziavo a vedere. (…) Quando facevo la terza elementare, l’evento conciliare era finito da pochi anni ma si respirava ancora la spontanea pietà del modo precedente. Ricordo che una volta la maestra portò la classe alla quale apparteneva il mio fratellino in una chiesa di campagna poco lontano a pregare per gli astronauti. La chiesina era totalmente tradizionale, con i suoi santi che osservavano chi in essa entrava, il suo piccolo presbiterio transennato da balaustre, le sue vecchiette vestite di nero che vi si recavano per fare una preghiera ed accendere una candela. Pure il mio maestro portava la mia classe in chiesa a pregare, soprattutto nelle assolate giornate di maggio. (…) Quando mi capitava d’entrare nella parrocchia vicino alla mia scuola d’infanzia, percepivo nel modo vivace dei bambini, le sensazioni che l’ambiente m’infondeva. Respiravo un’atmosfera articolare, sacrale, che s’impresse nella mia anima; gli altari laterali stessi avevano un’aura come "magica" e tutto sembrava maestoso e parlava in modo soprannaturale. Subii come una sorta d’imprinting che rimase per sempre (…) Ricordo ancora quando, con i genitori, ancora piccino, andavo alla messa natalizia di mezzanotte in quella stessa chiesa. (…) Non sapevo nulla del latino della messa ma, ricordo distintamente!, mi univo spontaneamente a cantare come potevo il "Credo in unum Deum" che tutto il popolo faceva risuonare all’unisono. (…) Il parroco era un uomo grande e grosso con voce tonante. All’epoca era riconosciuto da tutti come un’autorità. (…). Quando, dopo Pasqua, passava per benedire le case, era accompagnato da tre o quattro chierichetti seri, muti e composti, con tanto di vestina e cotta. (…) Quando con questi ricordi mi capita d’entrare (di rado) in quella chiesa, quasi per rinnovare in me antiche sensazioni, la trovo ingrigita. Più che dal tempo, mi sembra rovinata da un’incuria nata da un’ideologia. Mi infonde una tristezza unica come a chi cerca l’acqua in un deserto. La porta verso il luogo dell’infanzia con il suo mondo sacrale, un tempo spalancata nonostante i limiti o l’ignoranza degli uomini di allora, rimane solidamente chiusa e sigillata, in barba alle supposte "virtù" o "intelligenza" degli uomini odierni. L’atmosfera di quell’edificio è totalmente cambiata al punto da inficiare le parole che un tempo vi si pronunciavano: "Salirò all’altare di Dio, al Dio che rinnova [o rende lieta] la mia giovinezza". Lì non mi si rinnova [o allieta] proprio nulla! Dov’è finita tutta quell’antica pietà? Gli altari allora curati dai quali si sprigionava una specie di "aura magnetica" , quasi fossero esseri viventi, giacciono spogli, inerti e "ossificati" come morti da gran tempo. I nuovi "uomini di Chiesa", subentrati a coloro che ebbero un’educazione ancora tradizionale, operarono quasi un ammazzamento ma, a differenza dei fedeli che li seguirono e li sostennero in buona fede, ne furono ben consapevoli! Questa chiesa fu consacrata non molto prima della mia nascita, ed aveva ancora l’orientamento tradizionale. Ma quando il rinnovamento religioso seguito al Concilio la coinvolse, lo stesso edificio materiale si trasformò e parve ammutolirsi, come un essere esterrefatto. Allora ero troppo piccolo per accorgermi che cosa stesse succedendo. Di certo non feci in tempo a vedere la parabola discendente di questa chiesa, in quanto edificio sacro, e me ne accorsi solo molte tempo dopo. Se è vero che gli edifici possono cambiare gli uomini che li abitano, in questo caso, furono gli uomini a cambiare gli edifici sacri, oscurandone la trasparenza spirituale, attenuandone o spegnendone, a seconda delle situazioni, la primigenia luminosità. Successivamente la mia famiglia si trasferì da quel posto e si persero i seppur sporadici contatti religiosi con la parrocchia d’infanzia. (…) Il nuovo parroco, focoso paladino dei cambiamenti impressi dal Concilio, aveva mantenuto per poco tempo l’orientamento tradizionale dell’altare nell’edificio sacro. Quando iniziai a frequentare la parrocchia per seguire il catechismo in vista della prima comunione, aveva già fatto alcune trasformazioni: l’altare (o meglio la messa) invece di stare al fondo dell’unica navata, stava di traverso, al centro di un muro laterale. La celebrazione era già verso il popolo e l’orientamento del’assemblea, oltre che del prete, era stato volutamente girato di novanta gradi per sottolineare la rottura con il recente passato, se il celebrare verso il popolo non ne fosse ancora stato sufficiente. (…) Ricordo che volevo vestirmi come uno di quei chierichetti con la vestina e, nella mia mente da bambino, lo ritenevo un grande onore, una distinzione e una promozione. Notai con meraviglia che il parroco faceva una strana resistenza a questa mia idea, seppure la esprimesse gentilmente per non ferirmi. Mi disse di lasciar perdere e che, in fondo, la mia richiesta non aveva molto senso. Mi deluse e non capii perché pensasse in quel modo, dal momento che qualche altro bambino continuava ad indossare la piccola divisa. All’inizio pensai che, per avere l’onore della vestina, avrei dovuto essere più solerte ma, dentro di me, avvertii che forse non era neppure così. Obbedii servendo la messa con i vestiti che avevo nella speranza di un’eventuale "promozione" che non venne mai. Al contrario, le convinzioni del parroco mi demotivarono rapidamente: finii per servirgli messa poche altre volte per poi smettere per sempre. Di lì a poco il parroco "gettò la maschera": abolì i chierichetti. Qualche anno dopo fece aprire un gran cantiere in cui inglobò il vecchio edificio per costruire la più modernistica chiesa della regione (e forse d’Italia), un’autentica rivoluzione architetturale mai comparsa fino ad allora! Durante la messa, nei primi anni settanta, iniziò a fare leggere il vangelo ad alcune donne. (…) Egli contribuì a protestantizzare ulteriormente la nuova messa già, di suo, sufficientemente protestantizzata. (…) Ricordo molto bene le generose collaboratrici di quella parrocchia. (…) Quando avevamo a che far con gli adolescenti, la loro prima preoccupazione non era se pregavano ma se socializzavano tra loro. (…) Le ultime volte che frequentai questa parrocchia (…), il parroco aveva introdotto dei capelloni schitarranti nelle messe (…). Contemporaneamente, amava autodefinirsi "progressista comunista" e credeva fermamente che le chiese, come edifici, non dovessero avere nulla di sacro essendo un po’ come le "case del popolo". (…) La chiesa parrocchiale della mia adolescenza (che non ha nulla di sacro né mai è stata consacrata) sembra come un monumento di rovine nel deserto. Me ne allontanai cadendo in una sorta d’indifferentismo agnostico.
La citazione, pur qua e là tagliata, è stata un po’ lunga, ma ci è sembrata necessaria per poter seguire lo sviluppo della vita interiore di un bambino negli anni cruciali del Concilio e del post-concilio; pensiamo che molte persone che oggi hanno intorno ai sessant’anni possono riconoscere le sensazioni e le esperienze descritte dall’autore. In pratica, la generazione dei nati a metà o alla fine degli anni ’50 è stata la vittima di un gigantesco esperimento d’ingegneria religiosa: non solo la protestantizzazione e la modernizzazione (nel senso del modernismo religioso) della Chiesa, ma il sottile, costante, deliberato travisamento dei contenuti della fede, e quindi il tradimento vero e proprio che il clero, partendo dalle gerarchie, ha perpetrato a danno dei fedeli ignari. Un bambino che ha frequentato le lezioni di catechismo e poi fatto la Prima Comunione e la Cresima (che allora erano assai ravvicinate) all’inizio degli anni ’60, ha ricevuto un’impronta spirituale incancellabile, fortemente legata alla Tradizione, nella quale la liturgia non era un elemento decorativo a sé stante, ma parte viva di una viva concezione della vita: la concezione cattolica, secondo la quale la vita terrena è una palestra e una preparazione alla vita eterna, allorché ogni cosa diverrà chiara, i veli cadranno e il destino delle anime sarà determinato da come avranno saputo affrontare la prova. Poi, nel giro di pochissimi anni, quel bambino, avviandosi verso l’adolescenza, ha visto cambiare ogni cosa intorno a sé: l’architettura degli edifici sacri è stata rivoluzionata, l’orientamento delle celebrazioni è stato stravolto, l’atmosfera mistica è sparita e sono giunti nuovi sacerdoti, pieni di idee di rinnovamento, i quali apertamente hanno cominciato a introdurre novità in totale contrasto con ciò che a quel bambino era stato insegnato e presentato come sacro. Nelle omelie ha fatto la sua comparsa un linguaggio nuovo, profano, sconveniente, fortemente politicizzato; l’ossequio verso la Tradizione è stato svilito, ridicolizzato, messo in soffitta; alla fede è subentrata la sociologia; le catechiste si sono interessate più alle relazioni dei bambini fra di loro, ai giochi e alle risate che alla vita dell’anima e alla preghiera; non pochi preti si sono proclamati apertamente progressisti e comunisti; hanno lasciato andare quelli, tra i fedeli, che non si adeguavano, se ne sono infischiati delle pecorelle che avrebbero dovuto custodire, del gregge affidato loro da Gesù Cristo. Qualcuno, come il parroco citato nel brano, ha fatto anche di più, ha introdotto i capelloni con le chitarre elettriche in chiesa, sostituendoli alla musica d’organo, e ha cambiato i canti sacri con dei canti d’ispirazione profana hippy (e la canzone Come alberi piantati lungo il fiume ne è un tipico esempio: non c’è, in essa, neppure l più vago riferimento al cattolicesimo, né al cristianesimo in quanto tale, né ad alcun tipo di sentimenti religioso).
Poi, non ancora soddisfatto, quel clero neomodernista e progressista ha voluto costruire delle chiese che non sono chiese, che non sono state neppure consacrate, delle "case del popolo di Dio", dove Dio, però, c’entra poco e niente, anzi è un mero pretesto. Per chi non lo sapesse, la chiesa ultramoderna voluta dal parroco di cui si parla in questo brano, è quella di Santa Maria Assunta, realizzata nel 1975, in viale Cadore (periferia nord-ovest della città), i cui estimatori si vantano che è quella, in tutta la regione, che ha saputo interpretare nel modo più completo il famoso "spirito" del Concilio. Basti dire che, dall’esterno, non la si riconosce nemmeno come una chiesa: pare un comunissimo condominio. Per scelta dei fedeli, e questo va sottolineato, la facciata non presenta alcun simbolo religioso, neppure una croce. L’interno è anche peggio: non sembra una chiesa, ma una laicissima sala congressi. Ma naturalmente, per loro, tutto ciò è un valore aggiunto: che sono mai queste fisime di volersi dichiarare cattolici, in tempi di ecumenismo e dialogo-inter-religioso? E del resto, non lo dice chiaro e tondo pure il signor Bergoglio, che Dio non è cattolico? In compenso, quei signori sono convinti, convintissimi, di aver realizzato la vera ekklesia (anche se non hanno studiato il greco, lo tirano fuori per far vedere di non essere contrari alla Tradizione, anzi, di riallacciarsi, dicono, alla Tradizione più antica, quella dei primi secoli della Chiesa), e così riescono a contrabbandare l’idea, laica e socialista, della "casa del popolo" al posto dell’idea, cristiana e spirituale, della casa di Dio, coi fedeli che si riuniscono per celebrare i Sacrificio eucaristico, non per chitarrate, prediche ideologiche e, magari, come quel parroco in provincia di Lucca, per esporre simboli omosessuali, come la scultura coi due uomini che si baciano sulla bocca, addirittura sul’altar maggiore…
Ci restano da dire due parole sulla responsabilità intellettuale, storica e morale di quei preti e di quei vescovi neomodernisti i quali si sono serviti del Concilio per scardinare la Tradizione (quella vera) e per introdurre nella Chiesa lo spirito del mondo, con tutti i veleni della modernità, dal protestantesimo al razionalismo, dal comunismo al pragmatismo, dall’indifferentismo religioso al femminismo; che hanno distrutto la spiritualità; che hanno "abolito" i chierichetti per far vedere che non serve quel tipo di devozione, ma hanno introdotto le "chierichette" per mostrare la loro adesione alla causa femminista; che, proclamandosi comunisti, hanno spaccato i fedeli e diviso le parrocchie, introducendo la politica e allontanando una parte dei fedeli (vizio che non hanno mai corretto, al contrario, visto quel che oggi dicono e fanno contro la Lega di Salvini); ma, soprattutto, che hanno deluso nei loro parrocchiani, e specialmente nell’anima dei bambini, il loro bisogno, la loro sete di soprannaturale, insegnando che la religione è un fatto terreno, tangibile, materiale, e che si risolve tutto sul piano dell’immanenza, perché alzare gli occhi verso il Cielo è un segno di alienazione e un disertare le battaglie per la giustizia sociale… Saranno due parole brevi e schiette: guai a voi. Gesù Cristo, Colui che disse: Se non diventerete come questi bambini, non entrerete nel regno dei Cieli, vi chiederà conto di quel che avete fatto, delle anime che avete respinto. Allora gli direte che avete sfamato gli affamati (meglio se africani) e dissetato gli assetati (preferibilmente rom); ma Lui vi chiederà che cosa avrete fatto per dare alle anime la sua Parola, che è acqua di vita eterna e sorgente di salvezza. E che cosa direte, allora?