
Un segnale di resa preciso e inconfondibile
16 Giugno 2018
Se la sono cantata e suonata per 70 anni; ora basta
17 Giugno 2018Noi moderni, e anche noi cristiani moderni, abbiamo, in generale, una strana pretesa: che le nostre azioni non abbiano delle conseguenze logiche e necessarie, non solo di tipo individuale, ma anche collettivo, quando esse vanno non solo contro la legge morale stabilita da Dio, ma anche contro la stessa legge morale naturale. La cultura moderna ci ha ormai persuasi che le azioni individuali, purché non vadano contro la legge dello Stato, non riguardano che il singolo individuo; pertanto la quasi totalità delle persone è fermamente convinta che le scelte morali riguardano esclusivamente la coscienza soggettiva, sono cioè un fatto privato nel quale gli altri non devono permettersi entrare, tanto meno di giudicare. Addirittura, le scelte morali, spesso, non vengono neppure percepite come tali, ma come un semplice e sacrosanto esercizio di "diritti": per esempio, la scelta di abortire, da parte di una donna, viene intesa soprattutto, o esclusivamente, come una decisione attinente la sua sfera di libertà e di autodeterminazione, qualcosa che ha a che fare con l’esplicazione di un diritto e non con la sfera dell’etica. Il "diritto", se così vogliamo esprimerci, del nascituro, non viene nemmeno preso in considerazione, dal momento che gi si nega lo statuto ontologico di persona, sia pure in potenza, perché il farlo porrebbe un ostacolo insormontabile all’affermazione del diritto materno di non portare avanti la gravidanza; quanto all’eventuale diritto del padre del nascituro, di far sentire la sua volontà, non se ne parla nemmeno, perché anche solo nominarlo equivarrebbe a voler imporre alla donna il giogo del predominio maschilista, dal quale appunto ella si è legittimamente ribellata, anche con la battaglia per far approvare la legislazione abortista. E se queste "battaglie" sono state condotte da personaggi come la signora Bonino, che ora il papa Francesco ha definito "una grande italiana", e che viene frequentemente invitata dai sacerdoti a parlare, anche nelle chiese, di problemi sociali, quale l’immigrazione e l’accoglienza dei cosiddetti profughi, è chiaro che un grandissimo numero di cattolici, o meglio di persone che si ritengono cattoliche, per non parlare del clero cosiddetto progressista, non trovano nulla da eccepire a questa percezione del fenomeno "aborto". Se lo facessero, se, cioè, permettessero alla loro coscienza di esprimere il sia pur minimo dubbio su una siffatta impostazione del rapporto fra esercizio dei diritti e sfera dell’etica, vanificherebbero decenni di lotte civili e di conquiste legislative, il che li farebbe passare immediatamente per dei reazionari oscurantisti, nemici dei diritti e soprattutto nemici della donna: laddove il femminismo è una delle acquisizioni certe e irrinunciabili della cultura progressista, anche nell’ambito dei cattolici, come viene quotidianamente confermato dai discorsi, dalle interviste e perfino dalle omelie di numerosi membri del clero, per non parlare del comportamento di certe suore che ballano, cantano, vanno a parlare alla radio tutti i giorni, dissertano su qualsiasi argomento, dicono che Maria non era Vergine perché faceva sesso con san Giuseppe "come avviene in tutte le coppie normali", e via di questo passo. In sostanza, il cattolico moderno preferisce autocensurare la propria intelligenza, la propria sensibilità, e perfino la propria coscienza, se ancora ne possiede una, piuttosto che dire o fare la sia pur minima cosa che potrebbe suonare come una critica, anche solo implicita o silenziosa, all’andazzo generale, del quale i cosiddetti diritti civili sono parte essenziale, e di cui la cultura moderna mena il maggiore vanto, come di ciò che la contraddistingue da culture meno moderne, meno progredite e, quindi, meno fortunate. È una strana, anche se spiegabilissima, forma di perversione mentale e spirituale, che consiste, a ben guardare, in un auto-ricatto: siccome la cosa migliore della modernità è la conquista dei diritti civili (che non è mai finita, perché vi sono sempre nuovi traguardi da raggiungere, ad esempio la piena equiparazione delle cosiddette famiglie arcobaleno alla famiglia tradizionale), è impossibile dire o fare qualcosa che sottintenda una critica ad essi, perché, se così fosse, ci si macchierebbe di una colpa ben più grave di qualunque peccato: il tradimento nei confronti degli idoli della modernità, a cominciare a quello della libertà assoluta e soggettiva.
Eppure, c’è qualcosa che non torna in un tale atteggiamento. Infatti, anche una persona dotata di mediocre intelligenza dovrebbe rendersi conto che è impossibile che milioni di donne che abortiscono, e milioni di feti che vengono gettati nel cestino dei rifiuti, e milioni di bambini cui non viene data la possibilità di venire al mondo, e di figli che vengono eliminati nel grembo materno per volontà della loro stessa madre, tutto questo non può rimanere senza conseguenze, non solo al livello della singola persona che ha preso una tale decisione, ma anche al livello dell’intera società. Per chi non è credente, si tratta, comunque, di una violazione sistematica della legge naturale; per il cristiano, siamo in presenza di un peccato gravissimo, moltiplicato per milioni di volte ed esteso all’insieme della società, coinvolgendo migliaia e migliaia di persone, mariti, compagni, parenti, amici, psicologi, medici, infermiere, e anche tutti quelli che brillano per la loro assenza e per il loro assordante silenzio, primi fra tutti i sacerdoti. Quelli stessi che non lasciano passare un giorno senza tuonare contro l’egoismo di chi rifiuta l’accoglienza dei "migranti", o di chi disapprova il riconoscimento delle unioni omosessuali; e che trasformano l’ambone delle loro chiese in una tribuna politica quotidiana, oppure vanno continuamente in televisione, come don Fabio Corazzina, parroco di Brescia, o postano incessantemente le loro riflessioni in rete, come don Paolo Farinella (attraverso una versione online di giornali a grande tiratura) per far sapere a milioni di fedeli quali sono le loro opinioni sulle più svariate problematiche sociali: spacciando, oltretutto, tali opinioni per la Parola stessa di Gesù Cristo, e quindi falsificando il Vangelo.
Un vero cristiano, un cristiano rettamente formato secondo il vero Magistero della Chiesa, sa perfettamente, o dovrebbe sapere, che il peccato, perché di questo si tratta, non rimane confinato all’ambito del rapporto personale fra il singolo uomo e Dio, ma investe l’intero tessuto delle relazioni sociali nelle quali il peccatore è inserito; e se, come nel caso che abbiamo preso in esame – quello dell’aborto — si tratta di un peccato legalizzato e istituzionalizzato, e quotidianamente consumato con la più grande disinvoltura e con la collaborazione, diretta o indiretta, di un grandissimo numero di persone, compresi i giornalisti, gli scrittori, i professori universitari e, ahimè, perfino certi sedicenti teologi, allora bisogna aspettarsi che le conseguenze siano veramente generali, così come generale è stata l’offesa a Dio. Non che Dio stia lì, pronto a punire, sospettoso e vendicativo: si ricordi l’episodio di Abramo che contratta con il Signore per strappargli la promessa che, se avesse trovato in Sodoma anche solo pochi giusti, per amore di quelli, non avrebbe distrutto la città. Ciononostante, e al contrario di quel che ha avuto la sfrontatezza di dire, rivolto a un pubblico di giovani, monsignor Galantino, Dio, non avendo trovato neppure quei pochissimi giusti, distrusse col fuoco la città, in una maniera tale che ne rimase a stento il ricordo: questo dice la sacra Bibbia e questo ha sempre insegnato la Chiesa, che piaccia o che non piaccia ai Galantino, ai Corazzina e ai Farinella. E questo ha sempre saputo il cristiano, anche quello che non viene invitato in televisione (nei salotti radical chic, e per quanto sia capellone e ostenti un look da contestatore, versione aggiornata e ultramoderna del donmilanismo), e non twitta sui social network, e non firma i suoi pezzi per qualche importante giornale laicista, e non trasforma il pulpito in un palcoscenico di teatro, come quel parroco di Crespano del Grappa (Treviso) che ha celebrato un matrimonio invitando lo sposo, giocatore di pallacanestro, a tirare la palla nella rete appositamente sistemata davanti all’altare; anche il cristiano più umile, con la licenza di terza elementare quale solo titolo di studio. Qualsiasi cristiano, al tempo (lontanissimo) dei nostri nonni, sapeva che il peccato è un’offesa fatta a Dio, nonché una violazione dell’ordine da Lui voluto nella sua creazione; e che, se un peccato diviene talmente frequente da trasformarsi nella norma, allora esso si configura come una ribellione generale della società contro Dio, ribellione alla quale non può non seguire, presto o tardi, secondo gli imperscrutabili disegni della divina Provvidenza, il giusto e meritatissimo castigo. E se generale è la ribellione, anche la preghiera del cristiano dovrebbe travalicare l’ambito personale e dilatarsi alle proporzioni di una richiesta di perdono non solo per sé, ma per tutti gli uomini, i quali hanno trasformato l’intera società in una struttura di peccato (espressione un tempo assai cara ai "teologi della liberazione", con riferimento, ad esempio, alle multinazionali: come se l’aborto legalizzato non rendesse la sanità pubblica, e la società intera, una struttura di peccato). Ma oggi, per aver espresso un concetto analogo, padre Cavalcoli è stato rimproverato e punito…
La preghiera del cristiano dei nostri giorni dovrebbe essere simile a quella che il profeta Daniele rivolse a Dio: una preghiera di pentimento e di riparazione a nome di tutto il popolo, per supplicarlo di avere misericordia d’Israele, su cui pesava la colpa di essersi allontanato dai suoi comandamenti e d’essersi abbandonato a ogni sorta d’iniquità e peccato (Dan. 9, 3-19):
Mi rivolsi al Signore Dio per pregarlo e supplicarlo con il digiuno, veste di sacco e cenere, e feci la mia preghiera e la mia confessione al Signore mio Dio: «Signore Dio, grande e tremendo, che osservi l’alleanza e la benevolenza verso coloro che ti amano e osservano i tuoi comandamenti, abbiamo peccato e abbiamo operato da malvagi e da empi, siamo stati ribelli, ci siamo allontanati dai tuoi comandamenti e dalle tue leggi! Non abbiamo obbedito ai tuoi servi, i profeti, i quali hanno in tuo nome parlato ai nostri re, ai nostri prìncipi, ai nostri padri e a tutto il popolo del paese. A te conviene la giustizia, o Signore, a noi la vergogna sul volto, come avviene ancor oggi per gli uomini di Giuda, per gli abitanti di Gerusalemme e per tutto Israele, vicini e lontani, in tutti i paesi dove tu li hai dispersi per i misfatti che hanno commesso contro di te. Signore, la vergogna sul volto a noi, ai nostri re, ai nostri prìncipi, ai nostri padri, perché abbiamo peccato contro di te; al Signore Dio nostro la misericordia e il perdono, perché ci siamo ribellati contro di lui, non abbiamo ascoltato la voce del Signore Dio nostro, né seguito quelle leggi che egli ci aveva date per mezzo dei suoi servi, i profeti. Tutto Israele ha trasgredito la tua legge, s’è allontanato per non ascoltare la tua voce; così si è riversata su di noi l’esecrazione scritta nella legge di Mosè, servo di Dio, perché abbiamo peccato contro di lui.
Egli ha messo in atto quelle parole che aveva pronunziate contro di noi e i nostri governanti, mandando su di noi un male così grande quale mai, sotto il cielo, era venuto a Gerusalemme.
Tutto questo male è venuto su di noi, proprio come sta scritto nella legge di Mosè. Tuttavia noi non abbiamo supplicato il Signore Dio nostro, convertendoci dalle nostre iniquità e seguendo la tua verità. Il Signore ha vegliato sopra questo male, l’ha mandato su di noi, poiché il Signore Dio nostro è giusto in tutte le cose che fa, mentre noi non abbiamo ascoltato la sua voce. Signore Dio nostro, che hai fatto uscire il tuo popolo dall’Egitto con mano forte e ti sei fatto un nome, come è oggi, noi abbiamo peccato, abbiamo agito da empi. Signore, secondo la tua misericordia, si plachi la tua ira e il tuo sdegno verso Gerusalemme, tua città, verso il tuo monte santo, poiché per i nostri peccati e per l’iniquità dei nostri padri Gerusalemme e il tuo popolo sono oggetto di vituperio presso quanti ci stanno intorno. Ora ascolta, Dio nostro, la preghiera del tuo servo e le sue suppliche e per amor tuo, o Signore, fa’ risplendere il tuo volto sopra il tuo santuario, che è desolato. Porgi l’orecchio, mio Dio, e ascolta: apri gli occhi e guarda le nostre desolazioni e la città sulla quale è stato invocato il tuo nome! Non presentiamo le nostre suppliche davanti a te, basate sulla nostra giustizia, ma sulla tua grande misericordia.
Signore, ascolta; Signore, perdona; Signore, guarda e agisci senza indugio, per amore di te stesso, mio Dio, poiché il tuo nome è stato invocato sulla tua città e sul tuo popolo».
Siamo capaci di pregare così, noi uomini moderni, noi cristiani moderni? Se non lo siamo, allora dovremmo seriamente interrogarci su che ne è stato del nostro cristianesimo, per quanto teologi come Rahner, Congar, De Lubac, Küng e Schillebeeckx abbiano fatto di tutto per convincerci che si tratta finalmente, dopo millenovecento anni di oscurantismo e superstizione, di un cristianesimo "adulto", "maturo" e "responsabile", di un cristianesimo capace di confrontarsi con il mondo senza più complessi o autocensure. Sarebbe dunque adulto un cristiano che non sa domandare perdono a Dio, non solamente per i suoi peccati, ma anche per quelli dei suoi simili? Se essere cristiani adulti ha acquistato, nella cultura moderna, e nella stessa Chiesa moderna, un tale significato, allora dobbiamo concludere necessariamente, senza alcuno spirito polemico, ma sulla base dell’evidenza e del buon senso, che tale pretesa maturità non è altro che una malattia, una lebbra morale, una distorsione del senso morale talmente profonda, da impedirci perfino di capire quanto grave sia il peccato allorché questo viene trasformato in un diritto. E Dio non voglia che diventiamo come il cardinale Nichols, quello che ha ringraziato medici e giudici per l’eutanasia del piccolo Alfie Evans.
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