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Fino a quando, Signore?

La sera di venerdì, 1° dicembre 2017, la cattedrale di Santo Stefano a Vienna è stata teatro di un evento di cui si è parlato poco sui mass media, compresi quelli cattolici ultraprogressisti, forse perché perfino i neopreti e la loro neochiesa trovano che sia prudente non richiamare troppo l’attenzione dell’opinione pubblica sulla scandalosa deriva modernista, islamista e omosessualista in atto: favorirla, incoraggiarla, anche condurla in prima persona, ma, nello stesso tempo, adoperando quel tanto di abilità e destrezza che servono per nascondere la mano che ha scagliato il sasso, tutte le volte che sia opportuno e che sia possibile. Tanto, l’importante è infrangere la vetrata; e se la mano che l’ha infranta non si vede, meglio ancora. Ancora un po’ di pazienza, e quei signori si mostreranno al cento per cento per quel che sono, e mostreranno apertamente quel che stanno facendo, e fin dove vogliono arrivare: non ci manca molto. Bisogna che i tempi siano del tutto maturi; bisogna alzare un altro poco la temperatura dell’acqua, per far bollire la rana senza che se ne accorga. Fuori di metafora: bisogna aspettare solo quel che tanto che non crei una inutile forzatura dei tempi; perché tutto lascia pensare che i cattolici, o le masse che ancora si considerano tali, siano già cotti quasi al punto giusto: ormai manderebbero giù qualsiasi cosa, non si scandalizzano più di niente, sono più che disposti a trovare "normale" qualsiasi blasfemia, bestemmia e sacrilegio: è sufficiente che a metterci la faccia vi sia un sacerdote, meglio se un vescovo o un cardinale, e meglio di tutto se c’è il papa.

E così, negli stessi giorni in cui il papa Francesco stava facendo il suo viaggio "apostolico" (si fa per dire) in Myanmar e Bangla Desh, senza mai nominare Gesù Cristo, elogiando Buddha e prendendo le difese di una minoranza islamica perseguitata, i Rohyngia (ma tacendo bellamente che questi, a loro volta, si accaniscono contro i propri confratelli cristiani e indù), insomma interpretando in tutto e per tutto la parte di un Mahatma Gandhi redivivo, che di cristiano e soprattutto di cattolico non ha assolutamente nulla, fin dal logo del viaggio stesso, Love & Peace, che sembra più uno slogan beat degli anni ’60, a Vienna intanto il baldo cardinale Christoph Schönborn, classe 1945, arcivescovo della capitale austriaca e già assai noto per le sue posizioni sempre più gay-friendly, ha ritenuto cosa giusta e buona offrire la cattedrale della sua città, simbolo del cristianesimo in questa parte d’Europa, ad una serata di commemorazione per le "vittime" dell’Aids. Questa, la veste ufficiale dell’iniziativa; il vero obiettivo è stato mandare in scena un clamoroso spot pubblicitario a favore dell’ideologia gender e dello stile di vita omosessuale, tacendo rigorosamente la cosa principale, se di una serata di lotta all’Aids doveva trattarsi: che la via più sicura per prendersi quella malattia è praticare dei rapporti omosessuali fra maschi, tanto è vero che gli omosessuali, pur essendo circa il 2% della popolazione negli Stati Uniti, ove sono stati fatti dei rilevamenti statistici precisi, sono, al tempo stesso, il 57% delle "vittime" dell’Aids. E abbiamo scritto vittime fra virgolette perché non può dirsi vittima di un bel nulla una persona adulta e responsabile, la quale, benché perfettamente informata dei rischi legati a un determinato stile di vita e a determinate pratiche sessuali, molto spesso promiscue e del tutto prive di precauzioni, si ammala e, forse, muore. Le vittime sono altre: sono quelle che vengono colte da disgrazie, fatalità o da azioni altrui deliberatamente malvagie. Chi continua a fumare, pur essendogli stato diagnosticato un cancro ai polmoni, non è una vittima del cancro ai polmoni; questo deve essere ben chiaro. E la stessa cosa vale per le persone omosessuali che si ammalano di Aids: il che sia detto, fra parentesi, sotto il profilo strettamente medico e scientifico, e lasciando del tutto da parte l’aspetto morale.

Il momento-clou della serata, conclusa dall’esecuzione del Requiem di Mozart — che dovrebbe essere, in realtà, una Messa da Requiem, e non un concerto a sé stante, in stile profano — è stato quando il noto cantante transgender Thomas Nuewirth, in arte Conchita Wurst, femmineo e barbuto al tempo stesso, ha tenuto una inverosimile concione dal tono a metà fra la preghiera post-cristiana e l’omelia simil-sacra, nella quale si raccomandava di accettare e di rispettare tutte le persone, indipendentemente dalla loro individualità e sessualità, con toni che avevano tutta l’aria di una reprimenda contro la Chiesa cattolica brutta e cattiva, la quale, per secoli e secoli, ha discriminato e marginalizzato, se non peggio, le persone omosessuali, e che deve, quindi, fare pubblica ammenda di tale suo vergognoso passato.

Il regista di questa bella operazione, per cui i cattolici viennesi sono entrati nella loro cattedrale per farsi catechizzare da un travestito e per vedersi negata una parola di verità circa il fatto che la regola numero uno, per non ammalarsi di Aids, è di non farsi sodomizzare da qualche baldo maschio omosessuale — ammesso e non concesso che fosse proprio quella la sede più adatta per parlare, laicamente, della lotta contro l’Aids e delle relative discriminazioni, vere o supposte — è stato il signor arcivescovo, non nuovo a siffatte uscite e prese di posizione, nonché fan e ammiratore dichiarato del bel (o bella?) Conchita dalle lunghe ciglia e dalla folta barba. Costui, che già aveva confermato la validità dell’elezione di un omosessuale notorio alla caria di presidente del Consiglio pastorale della parrocchia di Stützenhofen, e che aveva affidato la preparazione dell’evento in cattedrale del 1° dicembre a una coppia di omosessuali dichiarati e militanti, da tempo sta conducendo una sua personale battaglia a favore dell’omosessualismo. Ne avevamo già parlato l’anno scorso, riferendo di un opuscolo, stampato e distribuito sempre nella cattedrale di Santo Stefano, nel quale si "celebra" e si propone alla pubblica ammirazione la perfetta famiglia arcobaleno: due uomini e un bambino (africano) adottato, tutti abbracciati, felici e sorridenti, in costume tirolese, così come appaiono nella fotografia che illustra l’opuscolo stesso (cfr. l’articolo: Vogliono cambiare la Chiesa? Lo dicano, se ne vadano e si facciano la loro, pubblicato su Libera Opinione il 27/10/2016). Adesso l’attacco è divenuto frontale, ha investito direttamente i fedeli dell’arcidiocesi di Vienna, e il risultato è stato… silenzio assoluto. A quanto pare, i bravi cattolici austriaci non hanno trovato nulla di strano nel recarsi in chiesa per presenziare a un evento dal taglio ultra laicista, in chiave apertamente pro-gay, né sul fatto che a "dettare" le preghiere, o quelle che venivano contrabbandate per tali, era un travestito/transessuale. O forse qualcuno sarò rimasto scioccato, ma non ha avuto modo di farlo sapere, ammesso che abbia avuto il coraggio di dirlo. Perché ormai, per dire quel che un cattolico dovrebbe dire, occorre del coraggio. Non fra i nemici dichiarati della Chiesa di Gesù Cristo; no, o non più del solito, ma proprio all’interno della Chiesa. All’ombra di una delle più antiche e gloriose cattedrali d’Europa, o meglio, all’interno di essa. E con l’arzillo arcivescovo-cardinale lì presente, compiaciuto e tutto sorrisi, che recita la parte dell’anfitrione e non trova assolutamente nulla di contraddittorio fra l’essere in un luogo sacro, lui pastore della Chiesa cattolica, e il prestarsi ad uno spot che, dietro il pretesto della lotta contro l’Aids, di fatto era uno spot a favore dell’omosessualità.

Abbiamo detto del silenzio discreto, "gesuitico", da cui l’evento è stato avvolto e che ne ha ovattato il possibile impatto mediatico. I cattolici progressisti e i loro amici esterni alla Chiesa, di solito così solerti nello sbandierare le loro trovate, anche le più discutibili e oscene, stavolta hanno scelto di tenere un basso profilo. Di fatto, senza la puntuale e precisa segnalazione da parte de La Nuova Bussola Quotidiana, per merito dei giornalisti Tommaso Scandroglio e Andrea Zambrano, il fatto, o il fattaccio, ci sarebbe senza dubbio sfuggito. Prendiamo atto di questa sempre più raffinata strategia della duttilità e della elasticità; del resto, si sa che i cattolici progressisti sono dei veri campioni in un tal genere di contorcimenti: sono gli altri, i cattolici ch’essi chiamano "tradizionalisti", ad essere rigidi, come ha detto, stigmatizzandoli pubblicamente, il papa Francesco in persona; sono loro che, come ha detto monsignor Galantino, pregano con volti "inespressivi", e in quel caso Galantino spezzava una lancia, guarda caso, anche lui sul versante del gay-friendly. Ma quel silenzio si può interpretare anche come la tranquilla arroganza di chi sa di aver praticamente vinto la partita, di non dover più avanzare in salita; di chi ritiene che non valga neanche la pena di calcare la mano, perché, se così facesse, darebbe ancora spazio a qualche pensiero alternativo, incoraggerebbe magari qualche riflessione critica, mentre il silenzio-assenso è ciò che meglio si adatta ad una strategia come quella perseguita dalla neochiesa omoerotizzante: far passare l’idea che l’omosessualità è la cosa più normale del mondo; e, più in generale, che non esistono peccati sessuali, perché il sesso è tutto buono e santo, sempre e comunque. Quindi, meglio parlare poco e lasciar parlare i fatti; meglio mettere i fedeli davanti a tutta una serie di scandali istituzionalizzati, di fatti compiuti detestabili, ma avvolti nei panni della più borghese normalità, aggirando in partenza il possibile ostacolo di un pubblico dibattito, o, almeno, di una personale riflessione.

Ci vengono in mente, davanti a misfatti come quello perpetrato dal cardinale Schönborn, le parole di san Paolo (Prima lettera ai Corinzi, 5, 1-5): Si sente da per tutto parlare d’immoralità tra voi, e di una immoralità tale che non si riscontra neanche fra i pagani, al punto che uno convive con la moglie di suo padre. E voi vi gonfiate di orgoglio, piuttosto che esserne afflitti, in modo che si tolga di mezzo a voi chi ha compiuto una tale azione! Orbene, io, assente col corpo ma presente con lo spirito, ho già giudicato come se fossi presente colui che ha compiuto tale azione: nel nome del Signore nostro Gesù, essendo radunati insieme voi e il mio spirito, con il potere del Signore nostro Gesù, questo individuo sia dato in balia di satana per la rovina della sua carne, affinché il suo spirito possa ottenere la salvezza nel giorno del Signore. E qui si parla di una relazione immorale, sì, di un vero e proprio incesto, ma pur sempre di una relazione sessuale fra un uomo e una donna; non di un peccato contro natura, per giunta presentato come se peccato non fosse. Il fatto è che san Paolo era un vero pastore d’anime, il prototipo del pastore cristiano, ardente di zelo e di carità, ma, se necessario, anche severo, perché il Vangelo è l’annuncio dell’amore nella verità, e dunque non è buonismo; mentre il cardinale Schönborn non è che un pagliaccio vestito da sacerdote cattolico. Un vero pastore deve saper parlare chiaro; deve parlare sempre con amore, ma nella verità, come san Paolo che dice: E voi vi gonfiate di orgoglio, piuttosto che esserne afflitti; perché l’amore senza la verità non è neanche vero amore, ma un inganno, una mistificazione, una beffa; e un vangelo annunziato con "discernimento", con desiderio "d’inclusione", con la volontà di "accompagnare" il fratello, non è che una terribile menzogna, se non si dice al peccatore che sta peccando, che è sulla strada sbagliata, e che alla fine di quella strada c’è l’inferno. Ecco perché il sedicente cardinale Schönborn, che oggi riceve il plauso del mondo e che viene lodato per le sue posizioni progressiste, aperte e illuminate, è più colpevole di Conchita Wurst; ecco perché, se non si pente, se non si ravvede e non fa pubblica ammenda del suo peccato – che è, come minimo, un gravissimo peccato di omissione, avendo dato a credere ai fedeli che la posizione della Chiesa, sul tema della pratica omosessuale, sia cambiata, mentre non è cambiata affatto e non può cambiare – nel giorno del Giudizio, crediamo, lui e quelli come lui saranno trattati più duramente di Conchita Wurst e quelli come lui (o come lei; non si sa, né c’importa saperlo).

Che cosa dirà, quando verrà la sua ora, il cardinale Schönborn, per giustificarsi davanti a Dio dell’enorme scandalo che ha dato alle anime dei suoi fedeli? Cosa dirà per giustificarsi d’aver abusato del suo abito, della sua autorità, del suo prestigio, per deturpare l’annuncio del Vangelo, piegandolo alla ricerca del facile consenso, testimoniato dai troppo facili applausi che miete sulle scene con siffatte iniziative? Si può immaginare una colpa più grave di questa: aver trascinato le anime nell’errore e nella china che conduce alla dannazione eterna, da parte di chi aveva solennemente giurato a Dio di lottare con tutte le sue forze e con tutta la sua vita per salvare le anime dei suoi fratelli? Al tempo stesso, non possiamo non domandarci fino a dove questo neoclero progressista e modernista voglia spingersi, fino a che punto voglia arrivare, e perché. Senza dubbio vi è un disegno; esiste una strategia che ha delle centrali occulte, dei tentacoli che si diramano in ogni direzione, all’interno della Chiesa stessa. Il diavolo ha trovato la strada giusta: invece di seguitare la lotta frontale per distruggere la Chiesa dall’esterno, impresa che da duemila anni gli fallisce tra le mani, avvelenarla dall’interno, travisarla, contraffarla, ridurla a tutt’altra cosa dalla Sposa di Cristo. Con la piena collaborazione di una parte del clero stesso. Che, poi, codesti neopreti e neovescovi siano anche consapevoli di tutte le implicazioni delle loro scelte, ciò è secondario: quel che conta è il risultato complessivo. Ci domandiamo, con angoscia, fino a quando continuerà questo spettacolo atroce, e ormai pressoché quotidiano, del rovesciamento e della profanazione di tutti i valori cristiani da parte di un clero impazzito e infedele. E ci si chiede perfino, talvolta, se valga ancora la pena di lottare contro una simile deriva… Fino a quando, o Signore, continuerai a dimenticarmi? Fino a quando mi nasconderai il tuo volto? Guarda, rispondimi, o Signore, mio Dio.

Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Wallace Chuck from Pexels

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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