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Dio, Patria e Famiglia: i tre amori di G. Fanciulli

Abbiamo ricordato in diverse occasioni lo scrittore Giuseppe Fanciulli (Firenze, 8 marzo 1881- Castelveccana, Varese, 18 agosto 1951), a torto catalogato fra gli "scrittori per l’infanzia" come se si trattasse di un girone di serie B rispetto alla letteratura "vera" e "impegnata"; ché quella di Fanciulli è una letteratura vera, che più vera non si può immaginare, e impegnata, impegnatissima. Essa forma una produzione immensa, qualcosa come 200 volumi sui temi e nei generi più disparati, senza contare la collaborazione alle riviste e ai giornali, a cominciare dal mitico Giornalino della Domenica: tutta, questo è vero, o quasi tutta, sotto il segno dell’interesse prevalente per un pubblico di bambini o di adolescenti. Altro che scrittore di serie B: Giuseppe Fanciulli è stato, ci si passi l’ossimoro, un piccolo gigante; una di quelle figure formidabili e tuttavia schive, modeste, che preferiscono restare sullo sfondo, mentre altri, al loro posto, anzi, con meno della metà dei loro meriti, si farebbero largo a gomitate per passare a riscuotere. Fanciulli era una persona semplice, e quel che faceva, lo faceva con semplicità: in pratica, egli ha posto la sua intera vita al servizio dei fanciulli e dei giovani, con una costante preoccupazione educativa: nulla di ciò che scriveva, nulla, neppure un singolo racconto o una singola frase, figuriamoci un libro, doveva contenere qualcosa che potesse risultare incomprensibile, o, peggio, che potesse fuorviare i suoi giovanissimi lettori. Aveva un’idea altissima dello scrivere, come un modo tra i più nobili di contribuire all’educazione e allo sviluppo armonioso della persona, in tutte le sue dimensioni: intellettuale, spirituale, morale; perciò è stato un vero educatore, dalla radice dei capelli alla pianta dei piedi, sempre e comunque: un pedagogista imprestato alla letteratura, più che uno scrittore "puro".

Che si tratti di biografie dei santi, o dei grandi uomini, o di una storia della letteratura italiana, o di antologie scolastiche, o di libri di lettura per la scuola elementare, o, infine, di romanzi — Fiore, Lisa-Betta, L’Omino turchino, Olka figlio di Dio, Il romanzo di Enea, San Francesco d’Assisi, San Giovanni Bosco, San Luigi Gonzaga, Cristoforo Colombo, Virgilio, Il tempo delle rose, Il bosco incantato, L’isola degli uccelli, La barca della fortuna, Le isole verdi, Gente nostra, Creature, Il castello delle carte, L’isola d’argento — Fanciulli si preoccupa sempre di assumere una prospettiva ottimistica, ma non stucchevole, e religiosa, ma non bigotta; d’infondere il senso della serietà della vita, ma con leggerezza; di trasmettere l’idea che la vita è bella, che vale la pena di viverla, ma che essa è fatta, oltre che di stupore, bellezza, legittima ricerca della felicità, anche di doveri, rinunce e sacrifici, nonché di tensione verso il vero. Soprattutto, il male non viene nascosto, non viene occultato, però non trova alcuna indulgenza, alcuna giustificazione: chi fa il male per il gusto di farlo, dovrà renderne conto, se non in questa vita, nell’altra; e chi lo fa per imprudenza, immaturità, incoscienza, dovrà anch’egli pagare un prezzo e, forse, questo contribuirà alla sua crescita e alla sua maturazione. Il bene è spontaneo, ma è anche una conquista; non sempre è facile, non sempre viene premiato e riconosciuto, anzi, talvolta viene ostacolato, vilipeso, disprezzato: eppure vale sempre la pena di perseguirlo, perché il bene è premio a se stesso.

Il modello, infatti, è sempre Gesù Cristo; perché Giuseppe Fanciulli è uno scrittore cattolico e non si vergogna di esserlo, non lo nasconde, non lo minimizza, anche se non lo ostenta né lo impone. I suoi lettori lo sanno ed egli, d’altronde, sa d’interpretare il sentimento della maggioranza degli italiani, perché, quando egli scrive — il suo primo libro è del 1950, l’ultimo appare l’anno prima della morte — l’Italia è ancora un Paese cattolico, e la religione cattolica è quella ufficialmente riconosciuta dallo Stato. Non crediamo di andare molto lontano dal vero se pensiamo che la sua appartenenza dichiarata alla cultura cattolica sia stata un fattore importante del suo rapido oblio e della sua ingiusta rimozione da parte della cultura poi dominante in Italia, quella affermatasi dopo la Seconda guerra mondiale, in gran parte di matrice marxista, irreligiosa e anticattolica. Se vi fosse un equo riconoscimento del merito, un gran numero di scuole elementari italiane dovrebbero essere dedicate al nome di questo grande educatore, e non certo a un mediocre scrittore come Gianni Rodari, il cui unico titolo di merito è di essersi schierato con la dominante cultura di sinistra, che lo ha designato quale massimo esponente della pedagogia socialista, democratica e antifascista. Peggio ancora, durante gli anni del Fascismo egli vide nel regime di Mussolini un fatto positivo, e ne scrisse: una biografia di Italo Balbo e un’altra del Duce in persona, le quali, senza dubbio, non sono state dimenticate, né gli sono state perdonate da quelli che sarebbero diventati, dopo il 1943, i padroni dei salotti buoni della cultura nostrana. Peraltro, Fanciulli non è mai stato un vero fascista, nel senso ideologico del termine: è stato uno dei tanti italiani in buona fede, amanti della Patria, della religione e della famiglia, i quali hanno visto nel regime fascista lo strumento per la difesa e l’affermazione dei valori nei quali credevano, e per tenere a bada le forze distruttrici di essi. Sarebbe difficile trovare un "fascista" più mite, più ingenuo, se si vuole, e più in buona fede, di lui; al punto che perfino negli anni dell’epurazione nessuno ha osato calcare la mano contro di lui, tanto era evidente che il fascismo, per lui, non era stato l’ideologia aggressiva, militarista, guerrafondaia e razzista, che poi si è voluto far credere, e meno ancora un’occasione per assicurarsi chi sa quali vantaggi personali; ma una scelta naturali, in linea con l’amor di Patria e con gli altri due grandi amori del Fanciulli, così detestati, invece, dagli intellettuali di sinistra: Dio e la famiglia.

Hanno scritto di lui Mario Valeri ed Enrichetta Monaci nella loro ampia e documentata monografia Storia della letteratura per fanciulli (Bologna, Edizioni Giuseppe Malipiero, 1961, pp. 142-144):

Fanciulli diceva:

"In tutto questo lavoro ho cercato di immettere un fermento di amore per il Padre nostro che sta nei cieli, per l’Italia, per la famiglia, speso rappresentata dalla madre, eterna mia nostalgia. Ed anche ai pensieri più gravi, alle commozioni più profonde ho desiderato di aggiungere la luce di un sorriso".

Infatti egli evita sempre di rappresentare delle scene di sconsolata tristezza che possano turbare l’animo del lettore. Egli riteneva che la fede debba essere sempre a fondamento dell’educazione per ottenere effetti completi di bene nell’animo dei giovani.

Tra le sue opere si distinguono soprattutto quelle che hanno carattere o sfondo autobiografico, tra cui "Creature", in cui sono rivissuti i ricordi dell’infanzia lontana. Una delle più importanti è "L’Omino turchino", che ha avuto una grandissima fortuna; è stato tradotto in dieci lingue ed è forse il libro che anche oggi è il più vivo nella produzione del Fanciulli. Per ragazzi più grandi sono "LIsa-Betta" e "Fiore"; quest’ultimo soprattutto appare di particolare valore formativo, mentre "Lisa-Betta" ha un certo carattere artificioso e troppo internazionale anche se diede un particolare contributo allo sviluppo dei romanzetti rosa, in un piano letterariamente più valido della comune produzione del tempo.

"L’Omino turchino" nasce vestito da semplice impiegato delle poste su un cartoncino da cartolina illustrata e dopo che da un paio di forbici ha avuto la bella sorte d’essere liberato da quel cartoncino che lo incornicia, diventa artista in un teatro di marionette e compie poi un viaggio nella musicale città di Grillopoli e nel poetico paese dei Ciclamini, finché ritorna dalle piccole mani che l’hanno creato, con un solo profondo pensiero sotto il suo vestito turchino: "Non ho compiuto nulla di straordinario ma ho potuto fare un po’ di bene ed ora invecchio serenamente".

Questo lungo cammino nel mondo della natura, tra gli insetti, gli uccelli ed i fiori, ha delle caratteristiche di originalità poetica che riuniscono le doti di sensibilità al mondo fantastico con un fine senso del’umorismo, e queste sono a nostro parere le doti più caratteristiche, anche se non sempre le più evidenti, in questo scrittore. Il velo fantastico che ricopre una profonda filosofia, quel sapore di tristezza velato di sorrisi, che ha fatto avvicinare il Fanciulli al Maeterlinck, non racchiude però un complesso simbolismo, ma si esprime in un piano di fantasia immediatamente quasi completamente accessibile ai bambini.

"L’Omino turchino" è un personaggio completo: dell’adulto ha tutta la bonaria saggezza che il fanciullo può comprendere. è un po’ uno gnomo, un essere che unisce caratteri dei piccoli con quelli dei grandi, che può far tutto come e più dei grandi, perché è padrone del mondo immaginoso della fantasia, ma è pur così vicino al mondo del fanciullo. Però "L’Omino turchino" è un gnomo nato in Italia, con quella forma che lo spirito latino gli impone, per quel maggior senso della concretezza.

Il mondo de "L’Omino turchino" è decisamente fiabesco anche se si tratta di un fiabesco casalingo, più vicino al carattere e alla fantasia del nostro popolo. Il mondo della natura in cui "L’Omino turchino" passa, ricorda un po’ l’ambiente di Ciondolino, ma nel libro di Vamba  solo la vivace narrazione dello scrittore riesce a non far scivolare quelle descrizioni in un genere troppo aridamente didascalico.

Molte sono le considerazioni che vengono fatte nel corso dell’opera e che toccano profondi problemi della vita; tuttavia, il tono su cui sono fatte lo sentiamo sempre su un piano discorsivo  che solo raramente può sfuggire alla comprensione dei fanciulli e che anche se qualche volta sfuggirà loro, non potrà lasciare psicologicamente un vuoto che danneggi lo scorrere della narrazione.

Il sentimento della natura si fonde con il sentimento di amore e di comprensione verso gli altri; è questo certamente il significato che Fanciulli attingeva dal suo interesse estetico e religioso che gli faceva vedere nell’amore dell’arte e nella natura non un isolamento, ma un avvicinamento alla natura umana:

"Ognuno ha qualche cosa in sé che non può rimanere chiusa ed oscura; che deve essere rivelata per il piacere di tutti, e quelli che non sanno adoperare la voce, si esprimono coi movimenti, coi colori e coi profumi più diversi (…) questo è tanto vero, che molto spesso i discorsi degli uomini non sono che la traduzione più o meno esatta di quei discorsi senza parole (…). Quando il poeta dice queste cose ed altre infinite pazzie, non ripete, forse, sia pure esagerando un poco, quanto gli hanno detto tutti gli esseri della natura?".

"Certo, molti uomini sono così occupati per tutta la loro vita a guardare e ascoltare sé stessi che non possono intendere quasi nessun altro (…). Invece bisogna abituarsi a tenere bene aperte tutte le finestre dell’anima, per giungere a sentire o prima o poi, come si vive tutti insieme; e nessuno allora sarà tanto meschino da riconoscere inutile e brutta la propria vita".

E altrove: "Egli sentì un’altra volta potente il desiderio di nuovi paesi. E in questo, l’Omino turchino, bisogna riconoscerlo, era ben superiore agli uomini veri; perché questi da lunghissimo tempo, con la scusa di diventar civili hanno perso ogni passione per la vita nomade e muoiono senza aver visto tutta la terra, che è la vera casa concessa a tutti loro".

Giuseppe Fanciulli è stato un puro, un idealista, un uomo buono e retto, uno scrittore che scriveva per educare i giovani ai più alti valori della vita; compito nobilissimo, che egli, forse, è stato l’ultimo a perseguire indefessamente, lungo l’intero arco della sua vita, senza risparmiarsi. Dopo di lui, faremmo fatica a individuare un solo scrittore che possa stargli a pari quanto a coerenza, fiducia nel futuro e amore per i giovani; al contrario, quanti cattivi maestri e quanti diseducatori della gioventù si sono succeduti, sia nella letteratura, sia nell’altro mondo ch’egli aveva amato, quello dei giornalini a fumetti! In definitiva, Fanciulli è il paradigma di quella cultura italiana che oggi, purtroppo, è pressoché scomparsa: fiera dei propri valori, fiera di sé, ma senza trionfalismo e senza nazionalismo esasperato; patriottica nel senso migliore della parola, di quel patriottismo che nessuno si sogna di rimproverare, ad esempio, ai britannici o agli statunitensi. Inoltre, è stato uno scrittore cattolico nel senso più puro del termine: e questo in un’Italia che odia la propria tradizione, e quindi anche la propria religione. Infine, è stato un difensore e un apologeta della famiglia: lui, che era rimasto orfano di madre fin da bambino, ha sempre esaltato la figura materna e celebrato una vera e propria religione familiare. Cosa c’era di sbagliato in tutto questo? Assolutamente nulla; anzi, ne avessimo avuti di più, e ne avessimo specialmente ora, di scrittori animati da un così alto sentire. Il guaio è che, in un’Italia divenuta nemica di se stessa, odiatrice della religione cattolica, dell’idea di Patria e della famiglia (l’ultimo sfregio è l’equiparazione a quest’ultima delle coppie omosessuali con tanto di figli adottivi o altrimenti procurati) uomini come Fanciulli son fuori posto, non servono, anzi, disturbano: la loro presenza dà fastidio. Perché questa Italia, non se li merita…

Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Wallace Chuck from Pexels

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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