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Quelli che costruiscono e quelli che distruggono

A ben guardare, non vi sono che due categorie di uomini al mondo; i tipi psicologici fondamentali non sono dodici, otto o sei, come hanno sostenuto eminenti studiosi della mente umana: sono solamente due, coloro che costruiscono e coloro che distruggono. Poi, naturalmente, ci sono le personalità intermedie; e ci sono anche, all’interno della medesima personalità, entrambe le tendenze: però, ala fine, cioè all’atto pratico, vien fuori la natura profonda di questi due tipi fondamentali, i costruttori e i distruttori., E tutta la storia umana, così’ come le piccole storie individuali delle singole persone, delle famiglie, dei luoghi di lavoro e di studio, dei quartieri, dei paesi, delle città e delle nazioni, è sostanzialmente il risultato dialettico dell’azione contrastante di questi due tipi.

I costruttori non sono la stessa cosa di coloro che amano realizzare progetti più o meno grandiosi, siano essi architettonici e urbanistici, o d’altro tipo, scientifici, tecnologici, artistici, filosofici, religiosi, militari, economici e finanziari. Non tutto coloro che costruiscono qualcosa sono veramente dei costruttori. Adolf Hitler, per esempio, era un uomo che coltivava piani di costruzione vastissimi; e nei suoi momenti creativi, quando discuteva con l’unico amico della sua vita, Albert Speer, carezzava il sogno ad occhi aperti della Grande Berlino, che sarebbe sorta al termine della guerra: una megalopoli immensa, monumentale, faraonica, dai viali larghi come fiumi, lunghi decine di chilometri, fiancheggiati da palazzi colossali, vero e proprio simbolo della perennità del Terzo Reich, testimonianza vivente della grandezza della Germania, del nazismo e di lui stesso, in qualità di Führer. No: i veri costruttori non sono persone di questo tipo; sono coloro i quali amano costruire qualcosa di profondo, di bello, di buono, di onesto, che resti anche dopo di loro; che sanno sacrificarsi per realizzare il loro ideale; che hanno, come scopo della loro vita, quello di lasciare il mondo un po’ più ricco e accogliente di come l’hanno ricevuto. Sono persone generalmente modeste, umili, ma determinate; che non arretrano davanti a minacce, fatiche o pericoli; che non si lasciano scoraggiare dagli sbandamenti emotivi delle masse, dal capriccio del giudizio altrui; che non temono di andare controcorrente, pur di affermare le cose in cui credono, pur di non dispiacere alla propria coscienza. Soprattutto, sono costruttori di pace, di giustizia e di bene: dove vanno, cercano di rasserenare l’atmosfera, d’illuminare la strada, di smorzare l’asprezza delle cose, di appianare le incomprensioni, di lenire il bruciore delle ferite. Non lo fanno per alcun secondo fine: semplicemente, amano la pace, la verità, la giustizia e la bellezza sopra ogni altra cosa, e sono disposti a mettersi in gioco sino in fondo, pur di vederle trionfare. Non sono egocentrici, non sono tirannici, non sono presuntuosi, moralisti o bigotti; non vogliono imporre il bene e il giusto ad alcuno, però non sopportano di rinunciarvi, non accettano di tradirli, non hanno un prezzo sul mercato degli uomini, cioè non sono disposti, mai, per nessuna ragione, a prostituirsi: né per una poltrona o una cattedra, né per uno stipendio sostanzioso, né per poter accedere a privilegi e posizioni di rendita. Sono coraggiosi, perfino intrepidi, ma non lo sanno: per loro, è naturale agire come agiscono, parlare e comportarsi come detta loro la coscienza. Se possono evitare di fare del male al prossimo, non chiedono di meglio; però non transigono sui principi, non si rimangiano mai la parola data, non si scodano mai di un impegno preso. Rispettano i piccoli e non hanno per essi minore riguardo che per i grandi; ai loro occhi, la dignità di un bambino vale quella di un re, e quella di una donna di fatica vale quella d’una imperatrice. Al tempo stesso rifuggono dai populismi da strapazzo, dalle facili demagogie, e non si curano di piacere agli uomini: per loro, è premio sufficiente una coscienza retta e la capacitò di guardarsi allo specchio senza arrossire. Il mondo ha disperatamente bisogno di loro: se non ci fossero, ogni cosa si fermerebbe e tutto andrebbe in malora: economia, politica, cultura, morale. Però il mondo è avaro di riconoscimenti verso di loro: è come se desse scontata la loro presenza, mentre scontata non lo è.

I veri costruttori hanno anche un animo delicato: non vorrebbero ferire alcuno, non urtano inutilmente la sensibilità altrui, aborriscono il pensiero di poter dare scandalo; preferiscono cento volte soffrire loro, in silenzio, che far soffrire gli altri, se ciò non è assolutamente indispensabile per realizzare il bene. Ma quando si verifica questo caso, allora non arretrano davanti a nulla; e non fanno sconti a nessuno, né ai loro migliori amici, o ai loro colleghi di partito, di squadra, di lavoro, né, tanto meno, a se stessi. Con se stessi, anzi, sono esigentissimi: pensano che ogni momento della loro vita e ogni energia di cui dispongono non siano una loro privata proprietà, ma un bene che Dio ha concesso loro affinché ne facciano il migliore uso possibile. Ed essi appartengono a quel genere di uomini che prendono molto sul serio le cose di Dio. Quando, poi, vedono qualcuno in difficoltà, qualcuno che soffre, qualcuno che non ce la fa, il loro primo istinto è quello di andare in suo soccorso, di offrirgli una mano, o anche solo la consolazione d’una parola buona: e veramente, quando parlano alle anime turbate e confuse, sanno trovare gli accenti della vera pace, che scendono come un balsamo negli animi esacerbati; anche se loro, personalmente, hanno forse a che fare con problemi più gravi e con ostacoli più ardui di quelli che strappavano sospiri di desolazione a coloro che essi hanno soccorso.

I distruttori, invece, sono coloro che provano una sorta di piacere maligno nel distruggere, non importa cosa, purché ci sia da mandare in pezzi qualcosa, e tanto meglio se era qualcosa di prezioso, di antico, di nobile. Poiché non sanno costruire, amano distruggere: godono vedendo le cose guastarsi, le amicizie finire, gi amori inaridirsi, i valori offuscarsi, la malignità emergere e avanzare. Sono nature demoniache: anche se, a parole, dicono di amare la pace e di desiderare il bene, i loro atti li rivelano chiaramente per ciò che sono: odiatori del bene e della pace, invidiosi, bugiardi, fraudolenti, vendicativi, avari, superbi, orgogliosi. Sono soddisfatti se riescono a insinuare una parole che genera sospetti, una battuta che gela l’allegria, un’allusione che mette disagio; si compiacciono quando gli altri falliscono, cadono, vengono umiliati, annaspano e non riescono a rialzarsi; provano una soddisfazione profonda in tutto quel che di brutto, di negativo, d’ingiusto e di crudele può mandare all’aria i piani delle persone, demolire le loro speranze, provocare tristezza, sconforto e desolazione. In fondo, sono dei malati, affetti da una irreparabile distorsione dell’istinto vitale: anziché mettersi al servizio della vita, si mettono a disposizione della morte, perché la loro malignità non è che un travestimento del loro istinto di morte, della loro brama di Thanatos. Tuttavia, se anche sono dei malati, lo sono in un senso tutto particolare: infatti, più che esserne la causa, la malattia è l’effetto del loro modo di porsi rispetto al reale; un modo egoico, brutale, ingiusto e meschino, in base al quale tutto ciò che di bene capita agli altri è come se fosse rubato, è come se fosse sottratto a loro, e tutto ciò che essi cercano è un costante, incolmabile risarcimento. Pensano di avere il diritto di rivalersi, perché i loro meriti sono misconosciuti e il trattamento che ricevono dagli altri, su tutti i piani – affettivo, professionale, economico — non è proporzionato ai loro meriti, al loro valore, che il mondo, chi sa perché, non si decide a riconoscere. In effetti, ignorano cosa sia la vera amicizia e sono dei perfetti analfabeti dell’amore: dove arrivano loro, la serenità svanisce e le cose buone cominciano a inacidire, il calore dei sentimenti è come stretto in una morsa di gelo. Si comportano, in tutto e per tutto, come dei vampiri psichici: chi li frequenta, dopo un po’ di tempo si sente stanco, spossato, come se qualcosa gli avesse succhiato via le forze vitali. E, a dire il vero, è proprio così: perché i costruttori sanno solo prendere, senza mai dare nulla. Al massimo, fingono di dare: ma se se spendono una parola buona verso qualcuno, è solo per fare bella figura, o per qualche altro fine recondito; se provano a metter pace fra due contendenti, è solo per poterli controllare e manipolare meglio. Essi, infatti, amano più di ogni altra cosa il controllo e la manipolazione delle persone; è la sola cosa che li fa star bene.

I distruttori, inoltre, non sono capaci di guardarsi come realmente sono: si fabbricano, a loro proprio uso e consumo, un’immagine distorta, ed enormemente idealizzata e ingentilita, di se stessi; e finiscono per credere, sovente, alle loro stesse menzogne. Per esempio, se tradiscono un amico, non sono capaci di rimproverare se stessi per aver commesso un’azione bassa e meschina, ma si creano un alibi dicendosi che quell’amico, dopotutto, meritava una lezione, magari per il suo stesso bene. Riescono, cioè, ad auto-convincersi che non agiscono mai per avidità, superbia, lussuria, cupidigia, ma solo per ripristinare un ordine violato, o per rimediare a una prepotenza commessa da altri, a una situazione ingiusta e insopportabile; riversano sulle loro vittime la colpa di aver "dovuto" procedere contro di esse, ma pensano d’aver fatto di tutto per evitare di dover giungere a tanto. Questa incapacità di guardarsi per ciò che sono è, da un lato, un potente fattore di forza: essi non dubitano mai di se stessi, almeno a livello conscio, perché si ritengono già perfetti, benché ostacolati dalla incapacità e dalla goffaggine altrui; dall’altro lato, però, è anche la loro maledizione, perché, non sapendosi mai mettere in discussione, sono votati a reiterare sempre le stesse dinamiche, a ripetere gli sessi errori, senza mai imparare nulla dalle loro esperienze.

Sia perché generalmente sono estroversi, sicuri di sé, ambiziosi e vanitosi, sia perché possiedono quattro dita di pelo sullo stomaco, non hanno scrupoli e non si fanno alcun problema ad agire in modo fraudolento, subdolo e sleale, succede che i distruttori si trovino ad occupare, molto spesso, dei posti di responsabilità, dei posti di comando, dai quali dipende il futuro di moltissime persone; i costruttori, viceversa, essendo per lo più di carattere riservato, modesto, quasi schivo, e assolutamente indisponibili a compromessi e meschinità, raramente giungono a occupare alte posizioni, e il loro talento rimane inutilizzato: un vero e proprio spreco per la società. Si tratta certo di un paradosso, ma che ha una sua logica ed è facilmente spiegabile: la gente, solitamente, predilige le persone che si mettono in vista, che fanno grandi promesse, che sanno ingraziarsi le simpatie generali, perché è attratta da ciò che è vistoso, brillante, appariscente, mentre evita o disprezza le cose che paiono più dimesse, quotidiane, trascurabili. La folla è femmina: e le femmine amano colui che sa blandirle con paroline dolci e promette loro eterno amore; perfino se appare evidente che si tratta di un ciarlatano, d’un imbroglione, nondimeno i suoi modi accattivanti e il suo aspetto gradevole conquistano al seduttore immediate simpatie, mentre il galantuomo riservato e modesto, che non ama fare grandi promesse, ma che è franco e leale e sa mantenere sempre la parola data, ha, ai loro occhi, qualcosa di piatto, di pedestre, di noioso, e perciò risulta poco apprezzabile. Quindi, vi è una ragione se i distruttori prevalgono e i costruttori vengono trascurati e lasciati in ombra: la società moderna è formata da uomini-massa, e l’uomo-massa vuol essere lusingato, vezzeggiato, magari anche ingannato, però in maniera tale che la sua vanità ne risulti rafforzata; non vuol sentirsi dire le cose come stanno, non vuol essere costretto a fare i conti con la realtà. Dunque, è "giusto" che la società sia dominata dai ciarlatani chiacchieroni e disonesti, dai distruttori, dai vampiri psichici, dai parassiti, dai fraudolenti; così come è "giusto" che essa non sappia che farsene dei costruttori, anche se ne avrebbe un bisogno immenso, un bisogno talmente grande che essa non arriva neppure a immaginarlo.

Il mondo va così: il mondo decaduto e sfigurato dalle conseguenze del Peccato originale. Non c’è vera giustizia fra gli uomini, perché pochi sono capaci di guardare se stessi con onestà; e, se la maggior parte delle persone non sa fare una cosa del genere, che è assolutamente essenziale, ma preferisce barare al gioco con se stessa, è vano aspettarsi che le cose, a livello sociale, possano una volta o l’altra andar meglio di come vanno al presente: indipendentemente dalle ideologie, dai governi, dai modi di produzione, dalle fedi religiose, quello che conta è la stoffa di cui sono fatte le persone; e, nelle condizioni dell’umanità decaduta, figlia della disobbedienza di Adamo ed Eva, quella stoffa, generalmente parlando, è di qualità assai mediocre. La civiltà moderna, che ha esaltato il principio quantitativo e diffuso ovunque gli errori esiziali del liberalismo, del democraticismo, del socialismo, dell’egualitarismo e del buonismo a senso unico (cioè diretto sempre verso l’esterno, verso il diverso, e mai verso l’interno e verso il proprio simile) non ha fatto che peggiorare ulteriormente la qualità del tessuto umano. In queste condizioni, cioè in presenza di una continua, sistematica selezione alla rovescia, ossia di una vera e propria selezione dei peggiori, possiamo solo aspettarci un sempre più accentuato degrado della società e del livello etico complessivo delle persone. Ma già parlare di "persone" è forse eccessivo, perché l’uomo-massa non è più una persona, ma solo un consumatore, un elettore ed un numero statistico. Si direbbe una situazione senza uscita e senza speranza. Eppure, l’uscita c’è, come pure la speranza: e passano entrambe per un ritorno degli uomini a Dio. In Lui, che è amore, ma anche giusto giudice, essi possono ritrovare il senso del costruire, la bellezza del costruire; e capire, al contrario, tutta la miseria ed il vuoto del distruggere…

Fonte dell'immagine in evidenza: Wikipedia - Pubblico dominio

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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