
Bisogna salire, Giuseppe Fanciulli
16 Agosto 2017
È possibile scippare un continente?
17 Agosto 2017Ci eravamo domandati, a suo tempo, perché mai la Chiesa cattolica avesse deciso di eliminare la preghiera di esorcismo all’Arcangelo San Michele, voluta dal papa Leone XIII al termine di ogni Santa Messa e recitata devotamente per otto decenni, fino a quando, con il Vaticano II, un apposito documento conciliare provvide a cassarla, precisamente l’istruzione Inter oecumenici, n. 48 del 26 settembre 1964 (cfr. l’articolo: A chi dava fastidio quella preghiera?, pubblicato su vari siti e attualmente consultabile sul sito del Circolo Cattolico Christus Rex, dove è stato inserito il 23 febbraio 2016).
Chi conosce un po’ la storia di quella preghiera, che è stata così bruscamente e inspiegabilmente soppressa sotto il pontificato di papa Montini, lo stesso che denunciava la presenza del fumo di Satana in Vaticano e che ricordava ai credenti, come atto di fede, l’esistenza di un essere personale la cui opera minacciosa insidia l’anima degli uomini e la loro amicizia con Dio (come facesse a conciliare le due cose, lui solo lo avrà saputo), sa che essa ebbe origine da una spaventosa visione dei diavoli all’assalto di Roma, che Leone XIII ebbe al termine della celebrazione di una Santa Messa, visione che lo lasciò visibilmente scosso e turbato e che lo spinse a scrivere personalmente e sull’istante, di getto, in pochi minuti (meno di mezz’ora), quella preghiera, prescrivendo che venisse recitata non solo a Roma, ma dovunque, da parte di tutti i sacerdoti celebranti, con il massimo fervore e la massima puntualità. Coloro i quali hanno, oggi, un’età di almeno sessant’anni, la ricordano molto bene, anche se il nuovo clima instauratosi nella Chiesa dopo la cosiddetta riforma liturgica, approvata dallo stesso Montini, ha favorito il suo rapido oblio, tanto che moltissime persone ignorano che essa sia mai esistita, che rivestisse una particolare solennità e che ben sei successivi pontefici l’avessero confermata e mantenuta, considerandola ormai parte integrante della liturgia ordinaria della Santa Messa. Poi, appunto, le cose sono cambiate, quasi da un giorno all’altro; tradizioni plurisecolari sono state abbandonate; gli altari sono stati rimossi o girati al contrario (con relativo, irreparabile scempio architettonico); il latino è stato eliminato dalla liturgia (sebbene nessun documento conciliare abbia mai stabilito un provvedimento del genere); e da quella che padre Ermes Ronchi ha definito, con un misto di fastidio e disprezzo, la teologia della paura, la Chiesa di papa Bergoglio è passata alla pedagogia della misericordia, intendendo quest’ultimo concetto come la libertà di peccare impunemente, perché tanto, alla fine, Dio perdona ogni cosa; e anche la preghiera a San Michele Arcangelo è stata riposta in soffitta, fra i vecchi arredi inutili, destinati a coprirsi di polvere e ad essere mangiucchiati dalle tarme.
La preghiera a San Michele Arcangelo faceva parte delle cosiddette Preci Leonine, un corpo di orazioni istituito da Leone XIII il 6 gennaio 1884, da recitare obbligatoriamente dopo ogni santa Messa non cantata, che comprendeva tre Ave Maria, un Salve, Regina, un versetto, un responsorio e una colletta, cui venne aggiunta la preghiera a San Michele Arcangelo, nel 1886, ossia due anni dopo la visione terrificante avuta dal pontefice, il 13 ottobre 1884. Una piccola aggiunta venne poi apportata da san Pio X, nel 1904. Come si detto, vennero abolite nel settembre 1964, dopo aver fatto parte della liturgia ordinaria della santa Messa per ottantadue anni; se, però, si considera la città di Roma, esse erano in uso dal 1859, quando ancora esisteva lo Stato della Chiesa e il papa regnante era Pio IX, al secolo Giovanni Maria Mastai Ferretti.
Ci piace riportare la genesi della preghiera a San Michele con le parole di un grande sacerdote che è stato anche un grande esorcista e, quindi, un grande conoscitore del diavolo, il quale recentemente ci ha lasciati per tornare alla casa del Padre, don Gabriele Amorth (Modena, 1° maggio 1925-Roma, 16 settembre 2016), tratte da uno dei suoi libri più famosi, che ha avuto decine di edizioni, Un esorcista racconta (Bologna, Edizioni Dehoniane, 1990, 2010, pp. 37-40), affinché il lettore che on conosce bene questa vicenda possa farsene un’idea il più possibile esatta e precisa:
Molti di noi ricordano come, prima della riforma liturgica dovuta al concilio Vaticano II, il celebrante e i fedeli si mettevano in ginocchio alla fine di ogni messa, per recitare una preghiera alla Madonna ed una a S. Michele arcangelo. Riportiamo il testo di quest’ultima, perché è una preghiera molto bella, che può esser recitata da tutti con frutto:
"San Michele arcangelo, difendici nella battaglia; contro la malvagità e le insidie del diavolo sii nostro aiuto. Ti preghiamo supplici: che il Signore lo comandi! E tu, principe delle milizie celesti, con la potenza che ti viene da Dio, ricaccia nell’inferno Satana e gli altri spiriti maligni, che si aggirano per il mondo a perdizione delle anime".
Come è nata questa preghiera? Trascrivo quanto pubblicò la rivista "Ephemerides Liturgicae" nel 1955, pp. 58-59.
Padre Domenico Pechenino scrive: "Non ricordo l’anno preciso. Un mattino il grande Pontefice Leone XIII aveva celebrato la S. Messa e stava assistendone un’altra, di ringraziamento, come al solito. Ad un tratto lo si vide drizzare energicamente il capo, poi fissare qualche cosa al di sopra del capo del celebrante. Guardava fisso, senza batter palpebra, ma con un senso di terrore e di meraviglia, cambiando colore e lineamenti. Qualcosa di strano, di grande avveniva in lui.
Finalmente, come rivenendo in sé, dando un leggero ma energico tocco di mano, si alza. Lo si vede avviarsi verso il suo studio privato. I familiari lo seguono con premura e ansiosi. Gli dicono sommessamente: "Santo Padre, non si sente bene? Ha bisogno di qualcosa?". Risponde: "Niente, niente". Dopo una mezz’ora fa chiamare il Segretario della Congregazione dei Riti e, porgendogli un foglio, gli ingiunge di farlo stampare e di farlo pervenire a tutti gli Ordinari del mondo. Che cosa conteneva? La preghiera che recitiamo al termine della Messa insieme al popolo, con la supplica a Maria e l’infocata invocazione al Principe delle milizie celesti, implorando Dio che ricacci Satana nell’inferno".
In quello scritto si ordinava anche di recitare tali preghiere in ginocchio. Quanto sopra, che era stato pubblicato anche nel giornale "La settimana del clero", il 30 marzo 1947, non cita le fonti da cui è stata attinta la notizia. Risulta però il modo insolito con cui fu ordinato di recitare quella preghiera, che venne spedita agli Ordinari nel 1886. A conferma di quanto scrive P. Pechenino abbiamo l’autorevole testimonianza del card. Nasalli Rocca che, nella sua Lettera Pastorale per la quaresima, emanata a Bologna nel 1946, scrive:
Leone XIII scrisse egli stesso quella preghiera. La frase (i demoni) che si aggirano per il mondo a perdizione delle anime" ha una spiegazione storica, a noi più volte riferita dal suo segretario particolare, mons. Rinaldo Angeli. Leone XIII ebbe veramente la visione degli spiriti infernali che si addensavano sulla città eterna (Roma); e da quella esperienza venne la preghiera che volle far recitare in tutta la Chiesa. Tale preghiera egli la recitava con voce vibrata e potente: la udimmo tante volte nella basilica vaticana. Non solo, ma scrisse di sua mano uno speciale esorcismo contenuto nel Rituale Romano (edizione 1954, tit. XII, c. III, pag. 863 e segg.). Questi esorcismi egli raccomandava ai vescovi e ai sacerdoti di recitarli spesso nelle loro diocesi e parrocchie. Egli lo recitava spessissimo lungo il giorno".
È anche interessante tener conto di un altro fatto, che arricchisce ancor più il valore di quelle preghiere che si recitavano dopo ogni messa. Pio XI volle che, nel recitare queste preghiere, vi si ponesse una particolar intenzione per la Russia (allocuzione del 30 giugno 1930). In tale allocuzione, dopo aver ricordato le preghiere per la Russia a cui aveva sollecitato anche tutti i fedeli nella ricorrenza del patriarca S. Giuseppe (19 marzo 1930), e dopo aver ricordato la persecuzione religiosa in Russia, così conclude:
"E affinché tutti possano senza fatica ed in modo continuato in questa santa crociata, stabiliamo che quelle preci che il nostro antecessore di felice memoria, Leone XIII, comandò che si recitassero dopo la messa dei sacerdoti e dei fedeli, siano dette a questa particolare intenzione, e cioè per la Russia. Di ciò i Vescovi e il clero secolare e regolare abbiano cura di rendere informati il loro popolo e quanti sono presenti al S. Sacrificio, né manchino di richiamare spesso quanto sopra alla loro memoria ("Civiltà Cattolica", 1930, vol. III).
Ora, come è noto, o come dovrebbe essere noto almeno ai cattolici, la preghiera, qualunque preghiera, è formata da tre elementi: l’orante, le parole e l’intenzione. Dei tre elementi, il terzo è prevalente sul primo e sul secondo: nella messa nera dei satanisti, per esempio, parole e gesti liturgici sono ricalcati su quelli della santa Messa cattolica, ma con intenzione perversa e blasfema, il che fa di quelle preghiere delle invocazioni infernali; e il celebrante, molto spesso — ci tremano le vene e i polsi a dirlo – , è un sacerdote cattolico regolarmente consacrato, non un satanista che non è mai stato prete e che, indossando i paramenti sacri, finge soltanto di esserlo. Le parole delle Preci Leonine acquistano particolare significato alla luce dell’intenzione con cui erano recitate. Fino al 1929, cioè fino alla risoluzione del conflitto esistente fra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica, tale intenzione era rivolta alla soluzione della Questione Romana; poi, sotto Pio XI, alla libertà e sicurezza dei cristiani in terra di Russia (si ricordi che la Vergine Maria, a Fatima, nel 1917, durante la terza delle sue sei apparizioni, aveva chiesto la consacrazione della Russia al suo Cuore Immacolato). L’aggiunta della preghiera a San Michele Arcangelo aveva un chiarissimo significato esorcistico. Leone XIII aveva una coscienza molto viva del pericolo rappresentato per i cristiani all’opera di satana, e seguiva con estrema attenzione e preoccupazione i progressi della massoneria, fuori e dentro la Chiesa. Egli ha anche composto personalmente un documento intitolato De exorcismis et supplicationbus quibusdam, un manuale di esorcismo e una raccolta di esorcismi in cui fu inserita anche la preghiera a san Michele Arcangelo. Quasi inutile precisare che anche questo documento è stato "opportunamente" rivisto e significativamente modificato dai solerti riformatori del Concilio Vaticano II, che intervennero anche sulla preghiera a San Michele, già abbreviata da Leone XIII al momento del suo inserimento nelle Preci Leonine, e poi ancora rivista e abbreviata rispetto al testo originale – ma non a quello del 1886 – nel 1902, allorché venne pubblicata una nuova edizione del Rituale Romano. Della preghiera, pertanto, esistono tre versioni; quella "lunga", ossia quella originaria dell’ottobre 1884; quella "breve", inserita nelle Preci Leonine nel 1886; e quella riformata del 1902; alle quali si aggiunge l’aggiornamento operato dal Concilio, nel 1964, che la tolse, insieme alle altre Preci Leonine, dalla Messa ordinaria.
È molto difficile capire se, e fino a che punto, durante il pontificato di Leone XIII, la massoneria avesse già trovato il modo di attuare quella strategia di lenta e silenziosa penetrazione nella Chiesa, conquistando, sotto vari pretesti, alcuni monsignori e cardiali, allo scopo di operare, al suo interno, una rivoluzione metodica, ovviamente non dichiarata, al fine di scalzarla dalle sue basi e di rovesciarne la dottrina, rendendola innocua e, anzi, ponendola al servizio del proprio disegno politico di portata mondiale. Oggi questo disegno è divenuto evidente, almeno per chi lo vuol vedere, come pure le sue connessioni con l’alta finanza e con i circoli satanisti che ad essa, almeno in parte, si richiamano. Certo si era avuto un anticipo inquietante della potenza che la massoneria stava raggiungendo e della posizione di forza che stava acquistando nei confronti della Chiesa cattolica, con la penosa vicenda dell’arcivescovo metropolita di Parigi, Georges Darboy (caduto poi vittima dei comunardi, nel 1871), il quale nel 1865 celebrò i funerali cattolici per il Gran Maestro della Massoneria francese, il maresciallo Bernard-Pierre Magnan, cosa che irritò moltissimo Pio IX, il quale lo rimproverò duramente in una lettera personale. Un altro segnale inquietante era stato l’anatema lanciato contro il papa dal Gran Maestro della massoneria italiana (cfr. La formazione dello Stato fascista. Scritti e discorsi di Alfredo Rocco, 1925-1934, vol. III, p. 807). Un terzo segnale, ancor più clamoroso e drammatico, si vide allorché, durante la traslazione della salma di Pio IX verso la chiesa di San Lorenzo al Verano, si scatenò una gazzarra furibonda, con tanto di assalto al corteo funebre, al culmine del quale un gruppo di energumeni cercò di gettare il sarcofago nel Tevere, nella notte dal 12 al 13 luglio 1878. Più tardi, dal 1907 al 1913, fu sindaco di Roma il massone ebreo e anticlericale Ernesto Nathan, negli anni del pontificato di Pio X. Potremmo andare avanti coi segnali e gl’indizi. Ci basta qui riportare il passaggio di una istruzione permanente dell’Alta Vendita carbonara, datato alla metà del XIX secolo (e pubblicato da Marco Tosatti nel sito Inter multiplex Una Vox): Ciò che noi dobbiamo cercare e attendere… è un papa secondo i nostri bisogni. Dio non voglia che quel momento sia giunto. San Michele Arcangelo, difendici da satana…
Fonte dell'immagine in evidenza: Immagine di pubblico dominio (Gustave Dorè)