
«Ti mando da figli testardi, dal cuore indurito»
2 Giugno 2017
«Nel rotolo vi erano scritti lamenti, pianti e guai»
2 Giugno 2017Vi sono dei libri che incontrano il favore del pubblico non tanto per i loro meriti letterari, ma perché scuotono le coscienze, allorché, in particolari circostanze storiche, le coscienze sono desiderose di lasciarsi scuotere, cosa non troppo frequente in circostanze normali; libri che, pur lasciando un’orma profonda sul modo di pensare di una società, vengono poi pressoché dimenticati, o che, al di fuori di quel particolare contesto storico, non arrivano neppure ad una vasta popolarità: come quei fiumi carsici che s’inabissano, dopo aver offerto un vario e bello spettacolo con la parte visibile del loro corso, e non tornano mai più in superficie.
A questa categoria appartiene il romanzo Ramona, apparso nel 1884, che ebbe qualcosa come 300 ristampe nella sua patria, gli Stati Uniti d’America, e che ha ispirato non meno di quattro versioni cinematografiche; eppure, all’estero non è mai stato neppur vagamente altrettanto popolare, e oggi si può dire che non lo ricordi più nessuno. La sua autrice, Helen Hunt Jackson (nata il 15 ottobre 1830 e morta il 12 agosto 1885) fece appena in tempo a scriverlo, prima di chiudere gli occhi per sempre; tuttavia, ella era nota presso il pubblico americano per aver scritto, tre anni prima, Un secolo di disonore, dura requisitoria contro le ingiustizie e le violenze perpetrate dagli uomini bianchi ai danni dei nativi del Nord America, dei quali ella volle ergersi a vindice e a strenuo difensore, così come Harriet Beecher Stowe, con La capanna dello Zio Tom, aveva voluto riscuotere la coscienza dei suoi compatrioti sulla questione della schiavitù dei neri. Nel romanzo Ramona, la Hunt Jackson volle richiamare l’attenzione del pubblico sul destino dei pellirossa della California del Sud dopo che, con la guerra fra Stati Uniti e Messico del 1846, quel territorio, insieme all’intero Sud-Ovest, con il Trattato di Guadalupe-Hidalgo del 1848 era passato sotto il controllo della repubblica nordamericana.
La protagonista del racconto, Ramona, è una ragazza di sangue misto, per metà scozzese e per metà indiana, che la sua madre adottiva, morendo, ha affidato alla sorella, la señora Gonzaga Moreno, una vedova, proprietaria terrena, che ha un figlio maschio, Felipe. Già l’adozione del punto di vista messicano rappresenta di per sé un elemento fortemente originale, dato che la guerra contro il Messico era stata vissuta dalla maggior parte dell’opinione pubblica americana come una pagina nobile e gloriosa della propria storia nazionale, mentre solo poche voci si erano levate per deplorare una guerra di aggressione ai danni di un Paese più debole e assai più povero, conclusa con l’annessione di circa metà del suo territorio (cfr. il nostro articolo Chi ha vinto la battaglia di Buena Vista?, pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 21/02/2012). Se, poi, l’attenzione della vicenda si sposta sul matrimonio fra Ramona, fuggita di casa per l’incomprensione della matrigna, e un indiano di nome Alessandro, un giovane pastore figlio del capo Pablo Assis, e la loro vita difficile e tribolata fra le montagne dell’interno, alla ricerca di un’impossibile felicità in un mondo dominato dall’avidità e dalla prepotenza dei bianchi, allora si può ben dire che l’Autrice abbia spezzato una lancia in difesa di una causa particolarmente impopolare. E tuttavia, per la romantica storia d’amore e per i toni patetici con cui è descritta, ella finì per catturare le simpatie di migliaia di lettori e per convogliarle sul destino degli ultimi pellerossa, i quali, in gruppi sempre più sparuti, si aggiravano in quelle terre dalla meravigliosa bellezza, un tempo loro patria incontaminata.
Se la ranchera Gonzaga Moreno è una vinta, perché, dopo la confitta del Messico, le sue terre sono state invase da orde di yankee a caccia dell’oro, l’orfana Ramona, mezzosangue rifiutata da tutti, e il pastore Alessandro, che, dopo averle dato una figlia e una vita di stenti, braccato come una bestia fra le montagne di San Bernardino, finirà per perdere la ragione e da ultimo la vita, per mano di un americano, al quale aveva rubato il cavallo, sono doppiamente dei vinti: lei, perché sposa e madre senza radici, senza affetti, senza protezione; lui perché figlio di un popolo mite e arretrato, destinato all’estinzione e all’oblio, dopo la perdita delle terre e la distruzione della propria identità.
Il romanzo, in verità, termina con un parziale lieto fine: Felipe, che non condivideva i pregiudizi di sua madre e che ha sempre amato Ramona, si fa avanti dopo aver saputo che lei è rimasta vedova (e dopo la morte dell’ormai anziana señora), la riprende con sé, e insieme decidono di tornare al Messico, la loro patria, lontani dalle angherie dei vincitori nordamericani, per rifarsi una vita e dimenticare il loro triste passato. Forse ci riusciranno, forse no; in ogni caso, Ramona non è più la stessa ragazza spensierata di un tempo: le durissime esperienze che ha vissuto, le crudeltà e i pregiudizi di cui è stata vittima, o testimone, hanno cambiato per sempre il suo modo di vedere la vita: è diventata più consapevole, più matura, ma anche più malinconica. Qualcosa è morto dentro di lei, qualcosa si è spezzato in maniera irreparabile; ella lo sa e, benché giovane, si accinge a convivere con questa dolorosa consapevolezza, che ormai è divenuta parte di lei.
Eccome come lei stessa mostra di essere conscia di questo irreversibile mutamento interiore, nella pagina conclusiva del romanzo (da: Helen Hunt Jackson, Ramona, 1884; traduzione dall’americano di Roberto Minozzi, Milano, Editrice AMZ, 1966, pp. 140-141):
Le condizioni di esistenza ed i sistemi che gli Americani introducevano in California rendevano sempre più amara a Felipe Moreno la residenza in quel paese. Egli aveva l’impressione di vivere in un brutto sogno, tra gente che concepiva la vita come un eterno gioco di azzardo. "In tal modo possono vivere i briganti, non i gentiluomini", pensava Felipe, nel quale l’educazione ricevuta e tutti gli istinti si rivoltavano. Anche la sua lingua, il dolce spagnolo, ormai non era parlata che da pochi.
Così il giovane Moreno cominciò a vagheggiare di trasferirsi nel Messico, dove avrebbe ritrovato un asilo sicuro fra gente della sua razza. Ma Ramona avrebbe accettato un nuovo cambiamento? Avrebbe voluto lasciare quella terra nella quale aveva tanto sofferto?
Infine si decise a parlarle, e con sua grande sorpresa Ramona gli rispose:
– Siano lodati i Santi! Tu non sai quante volte ho desiderato che tu mi facessi questa proposta. Non osavo credere che tu ti decidessi a vendere la fattoria, ma il mio sogno preferito era che la mia piccola Ramona potesse vivere nel Messico.
Superato ogni dubbio Felipe si mise subito in rapporto con alcuni ricchi Americani che desideravano acquistare la fattoria dei Moreno. I terreni accuratamente coltivati erano aumentati considerevolmente di valore e fu facile ottenere un ricavato take da potersi agevolmente ricostruire una nuova vita nel Messico.
Quando tutto fu concluso e fu fissato il giorno dell’imbarco, una nuova espressione apparve sul viso di Ramona e Felipe che la avvertì osò per la prima [volta] di sperare: laggiù in un nuovo mondo non avrebbe potuto nascere un nuovo amore?
La risposta Felipe la ebbe a Monterey.
Stavano sistemando le loro cose a bordo della ave che doveva trasportarli ed ora tornavano a terra in una piccola imbarcazione; c’era luna piena e Ramona, a capo scoperto, guardava i giochi di luce nell’acqua. Felipe la ammirava rapito e quando le offerse la mano per scendere non seppe più trattenersi:
– Ramona, – esclamò — amor mio, non potrai mai amarmi?
– La giovane lo fissò in viso, sorpresa.
– Oh Felipe, fratello mio! — gli rispose.
– No, non sono tuo fratello, non voglio esserlo; voglio morire piuttosto!
– Che cosa dici? — esclamò Ramona spaventata.
– Scusami, non lo dirò più, ma ti amo tanto e da tanto tempo!
– Mio caro, sono stata una grande egoista! Non sapevo…
– Certo, amore mio, non potevi saperlo, eppure non ho mai amato altra donna che te. Potrai imparare un giorno ad amarmi? Non volevo dirtelo, ma non ho saputo più tacere.
Ramona si avvicinò a Felipe e prendendogli la mano gli disse:
– Ti ho sempre amato, ma lo sai, vero, Felipe, che una parte di me è morta per sempre? Puoi accettare in moglie una donna che è viva solo in parte?
– Felipe l’abbracciò ed esclamò esultante:
– Dunque non rifiuti? Lasciati soltanto amare, mia adorata!
Ramona aveva ricevuto l’abbraccio senza respingerlo; la gentile, fedele, dolce Ramona accettava dunque di diventare sua moglie! La giovane aveva tuttavia detto il vero ed una parte di lei era morta, ma con infallibile intuizione aveva anche compreso che Felipe l’amava come lei stessa un giorno aveva amato Alessandro.
– Se sei sicuro che potrò farti felice e se credi che questo sia bene, sarò tua moglie, Felipe, – disse solennemente.
– Oh, mia Ramona! — esclamò Felipe. — Ti amerò tanto da far rinascere anche la parte di te che è morta.
Una strana luce passò sul viso di Ramona con meraviglia del giovane; forse non era che un riflesso lunare; passò, e Felipe non lo rivide mai più.
Il nome del generale Moreno era ancora vivo nei ricordi dei Messicani e Felipe si ritrovò quindi tra amici, Nella cattedrale, il giorno dopo l’arrivo, il giovane Moreno sposò Ramona; la vecchia Marda e Juan Can con le sue grucce assistettero inginocchiati ed orgogliosi alla cerimonia.
La storia romanzesca della vita dei nuovi coniugi fu ben presto nota a tutti e con la bellezza della Señora Moreno fece per un pezzo le spese dei dintorni della città.
Quando il dolce richiamo delle colombe del bosco echeggia nella notte Ramona volge gli occhi al cielo e sente una voce esclamare: "Majella" [il nomignolo con cui la chiamava Alessandro]. È questo l’unico segreto del suo cuore, ché un amore sincero e leale l’unì sempre a Felipe.
Figli e figlie vennero ad allietare la nuova casa; le figlie furono tutte belle, ma la più bella di tutte, la prediletta dai genitori, era quella che portava il nome della madre, era la pupilla del Señor Moreno: Ramona, figlia di Alessandro l’Indiano.
Il libro della Hunt Jackson, i cui pregi letterari, come si sarà visto e intuito, sono assai modesti, tuttavia merita un posto almeno nella storia del costume americano, perché testimonia un lato gentile, poi ridotto pressoché al silenzio: la pietà verso i vinti, la sincera compassione per gli sconfitti della storia, anche e soprattutto per quelli provocati dalla propria storia; e, dunque, attesta una capacità autocritica che si tende generalmente a ignorare, o a sottovalutare, essendo stata messa completamente in ombra dal trionfalismo e dal nazionalismo becero a stelle e strisce, specialmente dopo l’avvento del cinema e la nascita della mitologia western. Per quanto riguarda gli indiani, in particolare, tracce di questa gentilezza, di questo spirito cavalleresco, che riconosce il valore dei popoli spazzati via dall’avanzare della "civiltà" dei bianchi, si trovano già nel padre della letteratura statunitense, Washington Irving; per non parlare del pittore George Catlin, che viaggiò a lungo per le praterie, prima che scomparisse l’ultima "frontiera", e raccolse una imponente documentazione etnologica, fra l’atro eseguendo il ritratto di molti capi indiani, compreso il capo seminole Osceola, poco prima che morisse. Ma anche il dramma dei Francesi dell’Acadia aveva attratto l’attenzione di alcuni spiriti più sensibili, come il poeta Henry Wardsworth Longfellow, che ad esso si ispirò nello scrivere il poema Evangeline, or a Tale of Acadie (cfr. il nostro articolo La prima "pulizia etnica" della storia ebbe luogo in Acadia, Canada, nel 1755, pubblicato sul giornale informatico Libera Opinione del 30/10/2015).
Il romanzo Ramona è una mesta epopea, quasi un’elegia, sia per i messicani, che furono i padroni della California fino al 1846, sia per i pellerossa, il cui ultimo rappresentante, un certo Ishi, della tribù Yahi, verrà trovato, smarrito e ormai simile a uno spettrale sopravvissuto (i suoi pacifici compagni erano stati sterminati nel massacro di Mill Creek del 1866), nel 1911, presso Orville, nella contea di Butte. È bello che una scrittrice americana abbia avuto la volontà di rievocare il volto della California meridionale, prima dell’annessione agli Stati Uniti; e che abbia saputo descrivere con tanta franchezza il basso livello morale dei nuovi arrivati yankee (al contrario di quanto avrebbe fatto il troppo celebrato John Steinbeck, che liquida la presenza indiana in poche righe cariche di disprezzo). Si rilegga la frase: gente che concepiva la vita come un eterno gioco di azzardo; e la riflessione del messicano Felipe: In tal modo possono vivere i briganti, non i gentiluomini. È rarissimo trovare accenti autocritici altrettanto impietosi, e tuttavia sinceri (mentre non del tutto sincera è la contro-epopea western iniziata, al cinema, con Soldier blue del 1971, di Ralph Nelson, che scivola nella esagerazione opposta, ricadendo nel mito del buon selvaggio e nell’auto-denigrazione totale della civiltà bianca).
Ma i lettori del tempo, e anche quelli degli anni successivi, pur apprezzando la romantica storia di Helen Hunt Jackson, la paladina dei diritti degli indiani, poco dovettero comprendere del suo messaggio, se proprio quel romanzo diede la spinta a una sorta di turismo di massa nella California del Sud, alla ricerca dei luoghi della storia d’amore fra Ramona e Alessandro, e del "sapore spagnolo" che quelle terre conservarono a lungo, e, sia pure in minima parte, conservando tuttora. Come al solito, una idea disinteressata, negli Stati Uniti, viene presa d’assalto da innumerevoli operatori commerciali, non precisamente disinteressati.
Ci ha pensato Hollywood, poi, a dare il colpo di grazia, completando l’opera di radicale travisamento…
Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Wallace Chuck from Pexels