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L’uomo è decisione; ma l’uomo moderno vorrebbe tenersi aperte tutte le strade

È proprio dell’essere umano fare delle scelte e, quindi, assumere delle decisioni; non possiamo nemmeno immaginare cosa sarebbe la nostra vita se così non fosse. Umanità e facoltà decisionale sono due cose inseparabili.

Anche l’animale compie delle scelte, però sulla base di decisioni che gli vengono dettate dall’istinto, senza una vera libertà, perché la vera libertà consiste nel sapersi staccare del tutto dalle leggi naturali, se le circostanze lo richiedono. Il leone deve decidere quale, fra le decine di gnu, deve puntare e quando sferrare l’attacco; la gazzella deve decidere se e quando avvicinarsi al fiume per l’abbeverata, pur sapendo che, in quel momento, i predatori sono in agguato, sia presso le rive, sia nell’acqua: in entrambi casi, la scelta riguarda i modi e non l’azione in se stessa, perché l’animale, almeno a quel che ne sappiamo, non ha la possibilità di assumere scelte che escano dalle condizioni naturali. Solo l’uomo può farlo, perché la sua vita si svolge in quadro post-naturale, dove esistono leggi convenzionali che si soprappongono alle leggi della natura: anche se affamato, ad esempio, l’uomo esita a rubare, o a rapinare, e massimamente a uccidere, perché non ritiene lecito ricorrere a qualunque mezzo pur di placare la sua fame. Perciò, quando si parla, per l’uomo, dell’esistenza in lui di una legge morale "naturale", che precede la legge soprannaturale proveniente dall’azione di Dio, s’intende una legge che gli animali non conoscono, e che, tutt’al più, possono imitare vagamente da lui, nel caso degli animali domestici più intelligenti, abituati alla sua compagnia e, pertanto, assai lontani dalle condizioni della vita naturale.

Le decisioni dell’uomo, quindi, sono libere, anche se non in senso assoluto: l’uomo affamato può scegliere se tentar di rubare il cibo, oppure andare a guadagnarlo con il lavoro onesto; egli è soggetto agli istinti, come l’animale, ma, a differenza dell’animale, può scegliere se assecondarli o se inibirli e agire diversamente da quanto essi gli suggeriscono, cioè in modo puramente razionale, e alla luce di valori etici. Tale è la sua morale naturale, sconosciuta agli animali. L’uomo non può fare a meno di prendere decisioni, perché vive in un mondo etico, nel quale è necessario che ogni individuo si regoli eticamente, e non in base al capriccio o all’istinto, riguardo a tutto ciò che pensa, dice e fa. Persino il non decidere assume il significato di una scelta, ossia la scelta di non prendere alcuna decisione, e, di conseguenza lasciare che a decidere per lui sia qualcun altro. Nelle persone normali, comunque, la capacità di prendere delle decisioni libere, e, quindi, di assumersi la responsabilità delle proprie scelte, è considerata il tratto distintivo della personalità adulta, che la distingue da quella del bambino. Il bambino non sa scegliere, perché non sa fare un uso responsabile della propria libertà; anzi, a rigore egli non possiede alcuna llibertà, perché è ancora dominato dagli impulsi dell’istinto, come l’animale. Anche se la combina grossa, non viene punito con la stessa severità che verrebbe riservata all’adulto, perché si ritiene che non sia capace di distinguere fra il bene e il male, fra il giusto e l’ingiusto, fra il vero e il falso: la scelta è sempre una scelta etica, o estetica, o logica, e ha a che fare sia con la ragione che con la volontà. Il filosofo moderno che ha maggiormente posto l’accento sul carattere decisionale della vita umana è stato Kierkegaard, e lo ha fatto in termini piuttosto drammatici, come una serie di scelte secche e inappellabili fra questo e quello, senza possibilità di mediazione o di compromesso. Non si può scegliere sia questo che quello: non sarebbe una scelta, dunque non ci sarebbe crescita. Per crescere, bisogna scegliere: e si deve saper scegliere bene, cioè in maniera tale da innalzarsi sulla scala dell’evoluzione spirituale, dallo stadio estetico a quello etico, e da quello etico a quello religioso.

Ha osservato, a tale proposito, il teologo benedettino Anselm Grün nel suo libro Fare la scelta giusta. Il coraggio di prendere decisioni (titolo originale: Was will ich? Mut zur Entscheindung, 2011; traduzione dal tedesco di Monica Rimoldi, Edizioni San Paolo, 2012, 2016, pp. 28-30):

Quando l’uomo nasce, ha davanti a s molte possibilità. Il suo scopo è cogliere le sue possibilità del tutto personali e in questo modo plasmare la propria esistenza. Nella decisione l’uomo si svincola e in un certo senso finisce in una strettoia. Deve congedarsi da molte possibilità a disposizione. Così crea la sua storia personale.

L’uomo contemporaneo ha difficoltà con queste idee. Infatti, vorrebbe tenersi aperte tutte le porte. Ma chi non sa decidersi e non è disposto a vincolarsi alle proprie decisioni rimane privo di forma. Non si sviluppa. Chi si tiene aperte tutte le porte, prima o poi si ritrova di fronte a porte sbarrate. La questione della capacità di decidere mira non solo alla forza di volontà dell’uomo, ma in ultima analisi al modo in cui si auto comprende. Dell’essenza dell’uomo fa parte che si vincoli alle proprie decisioni e che in questo modo crei la propria storia.

Chi non accetta la propria storia, perché la vuole tenere sempre aperta, non crescerà. Rimarrà fermo. Rimarrà indeciso. Questo atteggiamento contraddice, secondo Tommaso d’Aquino, la dignità dell’uomo. Se mi sposo, mi vincolo. Se entro in convento o in monastero, prendo una decisione che mi vincola. Naturalmente, anche con tutta la disponibilità a vincolarsi, si fa l’esperienza che un legame vincolante si spezzi. Ma questa possibilità non è un argomento per non vincolarsi.

Per la teologia la decisione dell’uomo ha la tendenza "all’irremovibile e irrevocabile"(J. B. Metz, "Entscheidung", in: H. Fries, "Handbuch Theologiske Grundbegriffe", 1962, p. 284). L’uomo deve sfruttare il "kairos", il momento che gli viene offerto, "la chance dell’attimo" (ibidem). Così esce dalla dispersione per entrare nella totalità.

Tuttavia, con la sua decisione l’uomo può anche fallire. Può perdere il momento giusto, il "kairos" che gli viene offerto da Dio. Allora vive indeciso e in ultima analisi perde se stesso. Infatti, "l’essere non può rimanere indeciso a lungo: o l’uomo si decide da solo, o viene deciso per lui, e in questo modo sprofonda sotto la dignità della sua esistenza storica" (ivi, p. 284 ss).

Per l’uomo, un modo importante per decidersi è la fede. La fede è "la decisione fondamentale dell’uomo verso Dio" (ivi, p. 287). La decisione fondamentale per Dio plasma poi tutte le singole decisioni che l’uomo prende nel corso della vita e nelle quali forma sempre più la sua esistenza storica.

In pratica, la vera differenza fra la decisione umana e quella dell’animale è che la prima è caratterizzata dalla volontarietà della coscienza, il che implica non solo la libertà di stabilire i modi della decisione, ma anche il fatto di assumerla o no. Solo l’uomo può scegliere di non scegliere, cioè solo l’uomo può affidarsi al caso e lasciare che altri scelgano per lui. In pratica, solo l’uomo può rinunciare alla sua libertà, perché solo l’uomo è (relativamente parlando) libero. Non si può rinunciare a ciò che non si possiede: per questo l’animale non può scegliere di non decidere nulla. Può avere qualche attimo di esitazione, ma non può escludere la scelta dall’ambito delle sue possibilità. La gazzella potrà raddoppiare le precauzioni, per assicurasi che un leone non stia in agguato dietro una macchia, o che un coccodrillo non si tenga pronto a ghermirla, stando sotto la superficie dell’acqua; ma comunque dovrà scendere al fiume per l’abbeverata, altrimenti morirebbe di sete: e l’istinto, questo, non glielo consente.

Un altro modo di non scegliere, per l’uomo — ed è tipico dell’uomo moderno, figlio della civiltà moderna — è quello di voler tenere aperte tutte le porte, e accessibili tutte le strade. Lo vediamo quotidianamente, a tutti i livelli. Un solo esempio per tutti, il più facile: la progressiva scomparsa del matrimonio. Le coppie non si sposano più (salvo pretendere, e ottenere, i benefici di legge che sono connaturati alla condizione matrimoniale): perché legarsi irrevocabilmente a una persona? Certo, c’è la possibilità del divorzio; ma è comunque una seccatura; e allora perché impegnarsi, perché mettersi le manette ai polsi, perché limitare così, volontariamente, la propria possibilità di scegliere qualunque cosa? Anzi, perché legarsi a una sola identità di genere? perché non decidere, giorno per giorno, se comportarsi e sentire da maschio o da femmina? Ed ecco l’ideologia gender, l’identità sessuale fluida, e la prona, sollecita acquiescenza dei parlamenti e delle legislazioni. In questo modo, ci si garantisce il massimo della libertà di scelta (e anche qualcosa di più…) con il minimo dei rischi.

L’uomo moderno ha orrore delle scelte, delle scelte vere, ossia impegnative, perché è terrorizzato dai rischi che ciò comporta; preferisce muoversi un ambiente dove tutto è sotto controllo. Egli vorrebbe vivere con leggerezza, senza farsi troppi problemi, svolazzando qua e là, senza obblighi né doveri verso nessuno, se possibile; se no, riducendoli al minimo indispensabile, e anche qualcosa di meno. Tenersi aperte tutte le strade non è solo una strategia tipica dell’edonismo, in quanto non ci si vuole precludere nessuna opportunità di piacere (o di vantaggio); è anche, in un certo senso, l’esito naturale di una riduzione, o auto-riduzione, del proprio essere ai minimi termini, sostituendolo, non sempre per necessità (come pensava Pirandello) e non sempre sotto la pressione della società brutta e cattiva (come pensava Rousseau), o del Padre prepotente e castrante (come per Freud), o del padrone sfruttatore e disumano (come per Marx), ma anche in maniera perfettamente volontaria, perché, considerando le cose sotto un certo punto di vista, è comodo non essere nessuno, dunque non avere un essere. Per fare delle scelte, infatti, bisogna essere; ma chi non è, chi ha solo delle maschere, chi ha scelto la comoda professione della vittima perpetua di un sistema ingiusto, non deve scegliere, perché viene dispensato da qualunque richiesta di decisione. Anche se ciò, naturalmente, non lo aiuta nella realtà concreta della vita, la quale non sa che farsene delle nostre convenzioni buoniste e democraticiste, e non fa sconti a nessuno, sia a quelli che decidono, sia a quelli che non decidono, sia a quelli che sono, sia a quelli che non sono.

Pertanto, conviene decidere di essere, piuttosto che di non essere: e questa è già una scelta; la scelta fondamentale, dalla quale tutte le altre dipendono. In secondo luogo, conviene scegliere bene: orientare ciò tutta la prospettiva delle singole scelte nella prospettiva che darà ad esse un significato; perché, se si imbocca una strada sbagliata, tutte le scelte che si faranno, magari ragionevoli in se stesse, ne risulteranno falsate, stravolte, assurde. Ora, per porsi nella giusta prospettiva, bisogna rispondere alla domanda chi sia l’uomo. Se si risponde che l’uomo è creatura, allora ne consegue che la creatura proviene dal suo Creatore, e a Lui deve ritornare: tutta la vita, pertanto, non è altro che il percorso di consapevolezza della condizione creaturale e di ciò che ne deriva: la necessità di conoscere, amare, adorare Dio, obbedirlo, fare la sua volontà e rinunciare alla propria. L’uomo, dunque, è una creatura; ed essendo una creatura ragionevole, dotata di un’anima spirituale, deve fare della sua vita una preghiera incessante e mettere tutte le sue facoltà al servizio di quel Dio che lo ha amato, e, amandolo, lo ha scelto, traendolo dal non-essere all’essere. Se, invece, si risponde che l’uomo è un ente autonomo, che non deve nulla a nessuno, perché viene dal caso e si è fatto interamente da solo, allora egli vorrà farsi il dio di se stesso e assumerà quelle scelte che presuppongono il suo potere assoluto su se stesso e sulle cose (aborto, eutanasia, cambio di sesso, fecondazione artificiale eterologa, eccetera). Dove lo porteranno queste scelte ingannevoli e presuntuose, possiamo facilmente immaginarlo; certo non lo porteranno a star bene con se stesso, per quanto egli voglia auto-convincersi del contrario, perché sta bene con se stesso quell’ente che realizza felicemente la propria natura, e la natura della creatura è quella di essere un riflesso della perfezione del Creatore, al quale deve rivolgersi per modellare se stessa.

Riassumendo. L’uomo è chiamato a decidere; e, per poter decidere, è chiamato ad essere; e, per poter essere, è chiamato a interrogarsi su chi egli sia e su che tipo di esistenza voglia realizzare. L’esistenza autentica è quella in cui l’uomo si riconosce per quello che è: creatura fatta a immagine di Dio; e tenta di realizzare pienamente tutte quelle potenzialità che lo assistono nel cammino che lo riporta a Dio, attraverso la consapevolezza di sé. L’esistenza inautentica, fallita, sprecata, è quella che consiste nel recidere deliberatamente la relazione con Dio, senza la quale l’uomo è nulla, e nel tentare vanamente, follemente, di mettersi al suo posto, scimmiottando le sue prerogative, il suo dominio sulle cose e il suo controllo sulla vita e sulla morte. Non c’è spazio per mediazioni o compromessi: aut-aut, l’uno o l’altro. Se davvero fosse amico di se stesso, l’uomo non esiterebbe…

Fonte dell'immagine in evidenza: Wikipedia - Pubblico dominio

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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