
«Credo; aiuta la mia poca fede!»
21 Febbraio 2017
Cari teologi della svolta antropologica, avete fatto i conti senza la santa ira di Dio
21 Febbraio 2017Il buonismo, lo abbiamo detto più volte, non è un eccesso di bontà — la bontà non è mai eccessiva — e non ha niente a che fare con essa, ma è la sua deformazione, il suo stravolgimento e, al limite, il suo totale rovesciamento.
Occorre tuttavia precisare che vi sono almeno due generi principali di buonismo: quello "soltanto" sconsiderato, che pure crea una situazione oggettiva di ingiustizia, e che può fare molti danni; e quello che non è solamente sconsiderato, ma teso ostinatamente a rovesciare il sano concetto di bontà, e che, pertanto, si può ben definire diabolico, se il diabolico consiste, appunto, nel distruggere dall’interno ciò che sarebbe, di per sé, il bene, stravolgendolo e trasformandolo in male. Li si può riconoscere facilmente: il primo non nega che il male esista, che il peccato esista, ma nega, di fatto e non in teoria, che vi siano i peccatori, perché, quando li si va a cercare, uno per uno, si scopre che questo non sapeva quel che faceva, quell’altro ha agito in stato di necessità, quell’altro ancora era stato sviato dalle circostanze o dalle cattive amicizie. E quando poi si va a vedere chi sono questi cattivi amici e consiglieri, nemmeno allora si riesce a individuarne uno, uno solo: perché quelli "davvero" cattivi non sono mai costoro, che abbiamo sotto gli occhi, ma sempre qualcun altro, qualcuno che non si sa bene dove stia di casa, qualcuno che è sempre "un altro", da un’altra parte, e così via, all’infinito. Il secondo tipo di buonista, immensamente più pericoloso, perché, ne abbia o no l’intenzione (questo è un mistero che rimarrà tale, dato che Dio solo legge nei cuori sino in fondo), gli effetti della sua azione sono realmente diabolici, merita un discorso a parte, visto anche il particolare momento storico che stiamo vivendo.
Il buonista del secondo tipo nega che il male esista, nega che il peccato esista. Non lo nega in teoria: se lo facesse, sarebbe automaticamente fuori dal cristianesimo e fuori dalla Chiesa cattolica; ma lo nega nei fatti specifici della realtà. Ribadiamo la differenza: il primo nega che esistano i peccatori; il secondo, nega che esistano i peccati. Il primo nega che esista il male, il secondo nega che esista il diavolo. Il primo nega che esistano i dannati, il secondo nega che esista l’inferno. Ci interessa qui il secondo tipo, perché, oggi, esso ha conquistato posizioni eminenti proprio nel mondo cattolico e nella cultura cattolica; nella Chiesa, ha fatto moltissima strada, e, dopo aver convertito al suo credo, negli anni recenti, un congruo numero di sacerdoti, vescovi, arcivescovi e cardinali — per non parlare dei loro pessimi maestri, i teologi modernisti e progressisti — ora è giunto a sedere sullo scranno più alto: quello di san Pietro. E non occorre dire altro per capire quanto sia grave il pericolo che minaccia, dall’interno, la Sposa di Cristo. Ci proponiamo adesso di provare questa grave affermazione, adoperando le parole stesse del papa Francesco.
All’incontro dei Movimenti popolari che si è recentemente tenuto a Modesto, in California, il papa ha inviato un messaggio nel quale, testualmente, affermava (o meglio ribadiva, perché si tratta di affermazioni già ben note, avendole fatte in numerose occasioni), che nessun popolo è criminale e nessuna religione è terrorista; non vi sono né un terrorismo cristiano, né uno ebraico, né uno islamico; affrontando il terrore con l’amore, lavoriamo per la pace, e in questo sta la vera umanità che resiste alla disumanizzazione manifestata in forma di indifferenza, ipocrisia e intolleranza. Si vada a controllare il messaggio originale.
Già; i terroristi delle città europee. Per papa Francesco non solo non solo "islamici", ma non sono neppure marocchini, tunisini, nigeriani, e così via; no, sono europei. Ecco cosa ha detto agli studenti dell’Università di Roma Tre, dove è stato invitato a parlare in pompa magna (mentre nel 2008 il suo predecessore, Benedetto XVI, benché invitato alla Sapienza, non poté tenere la sua lezione, perché contestato violentemente dai professori e dagli studenti di sinistra; anche da molti cattolici progressisti, senza dubbio, i quali avranno pensato: ben gli sta, al pastore tedesco, al papa ex nazista!), accolto a braccia aperte da studenti e autorità; ha detto, nel suo caratteristico stile estemporaneo e, diciamo così, piuttosto informale: I ragazzi che hanno fatto la strage a Zaventem erano belgi: nati in Belgio, immigrati di seconda generazione, ghettizzati non integrati. […] Quando c’è liquidità nell’economia non c’è lavoro concreto. Nella nostra cara Europa: come si può pensare che i paesi sviluppati abbiano una disoccupazione giovanile così forte? Non dirò i paesi ma sì le cifre: 40 per cento, 47 per cento, un altro il 50 altro lì vicino quasi il 60. Questa liquidità dell’economia toglie la concretezza del lavoro e la cultura del lavoro, perché non si può lavorare. I giovani non sanno cosa fare e io, giovane senza lavoro, ho l’amarezza nel cuore: dove mi porta? Alle addizioni che hanno una radice, o mi porta al suicidio? Lo dicono quelli che sanno le vere statistiche dei suicidi, che non si pubblicano. Le vere statistiche non si pubblicano! Oppure vado dall’altra parte e mi arruolo in un esercito terroristico. Almeno ho qualcosa da fare, dò senso alla mia vita (citato nell’articolo redazionale Una contro Lectio Magistralis, pubblicato su Il Corriere delle Regioni 18/02/2017).
Lo avevamo detto, che il papa Francesco ne sa più di noi: lui sa che i ragazzi che hanno fatto la strage a Zaventem erano belgi: nati in Belgio, immigrati di seconda generazione, ghettizzati non integrati. Sa che erano belgi: perché, evidentemente, per essere belgi, o francesi, o tedeschi, o italiani, basta avere la cittadinanza; basta un pezzo di carta su ci sia scritto: nazionalità belga, o francese, o tedesca, o italiana. Tutto il resto non conta: nel migliore dei casi è sentimentalismo; nel peggiore, bieco razzismo, roba da denuncia penale. Tant’è vero che si può diventare Miss Finlandia anche se non si ha nulla, ma proprio nulla, di finlandese, e neppure di europeo; ma perché formalizzarsi per simili dettagli? E guai se uno dice: ma quella ragazza è nera! Sarebbe razzismo, non si può dire "nero". Solo i neri possono dire "bianco": e questo non è affatto razzismo. Quel capolavoro d’italianità e di finezza che è il cantante Bello Figo (italiano pure lui, direbbe il papa, al massimo italiano di origine ghanese, ma insomma sempre italiano e non ghanese), per esempio, può dire, a nome dei cosiddetti profughi che sbarcano continuamente in Italia: Voto Renzi perché mi dà la figa bianca, e nessuno si scandalizza, nessuno parla di razzismo, niente denunce. Alla cultura buonista del secondo tipo non viene in mente che questo, invece, è razzismo della peggiore specie; che questa è violenza verbale della peggiore specie; che questo è un insultare le donne in quanto donne, nella loro dignità femminile (care signore femministe, care Boldrini, care Fedeli, dove siete? Se ci siete, battete un colpo, perché nessuno vi ha sentito protestare). Ma si vede che insultare le donne si può, se sono bianche, e se a farlo è un nero.
Ma torniamo al discorso di papa Francesco. Lui afferma che quei ragazzi terroristi di Zaventem (terroristi in senso neutro, in senso accademico, per carità; non terroristi in senso religioso, non terroristi islamici, perché il terrorismo islamico non esiste!) erano ghettizzati, non integrati. Detto così, sembra che la colpa del fatto che siano diventati terroristi ricada sulla loro mancata integrazione nella società belga. Ebbene, la cosa potrebbe anche essere plausibile: però bisogna vedere perché quei ragazzi, e tanti altri come loro, in tutta Europa, non si sono integrati. È colpa dei cittadini europei o dipende dalla loro ferma volontà di non integrarsi, dal loro disprezzo, dal loro odio per l’Europa, per gli europei, per la loro civiltà, per i loro valori, e soprattutto per la religione cristiana? Il papa dà per scontato che la colpa di qualsiasi male sia sempre e solo dell’Europa, dell’Occidente. Perfino se una carretta del mare stracarica di profughi fa naufragio nelle acque del Mediterraneo, il papa corre a Lampedusa ed esclama: Che vergogna! Ma vergogna di chi, e perché? Chi è che dovrebbe vergognarsi? Forse la Marina militare italiana, che quelle carrette le soccorre ogni santo giorno, con rischio e pericolo degli equipaggi, e con spesa astronomica dei contribuenti? Siamo noi che dobbiamo vergognarci, santità, oppure sono i nostri ragazzi in divisa? E di che cosa si dovrebbero vergognare, ce lo vuol dire? Ascolti un esperto, santo Padre, ascolti un suo confratello gesuita, Samir Khalil Samir: Purtroppo l’islam fa fatica a integrarsi perché ha una cultura in molti punti opposta a quella attuale dell’occidente. Dal punto di vista religioso, sociale, dei rapporti uomo-donna, in rapporto al mangiare… è un sistema completo. Che la religione sia diversa, questo non è un problema. Ma il fatto è che nell’islam la religione è legata a un sistema politico, sociale, culturale, storico, di costume, che influenza tutto: il vestire, il dar la mano a uno o all’altra, le relazioni sociali. Sono così tante cose che rendono difficile assimilare le idee dell’Occidente (riportato nell’articolo di Cinzia Palmacci, La persecuzione dopo l’islamizzazione, pubblicato su Il Corriere delle Regioni il 20/02/2017).
Ma l’affermazione più grave fatta da papa Francesco, nel suo discorso agli studenti dell’Università di Roma, è quella che offre una sorta di giustificazione al terrorismo (islamico?, non islamico?, chissà) come alternativa alla mancanza di lavoro e al suicidio: io, giovane senza lavoro, ho l’amarezza nel cuore: dove mi porta?… Oppure vado dall’altra parte e mi arruolo in un esercito terroristico. Almeno ho qualcosa da fare, dò senso alla mia vita. Se questa non è una giustificazione (con relativa assoluzione incorporata: perché Dio, come dice il papa cattolico, non è cattolico, ma in compenso è sempre misericordioso), le assomiglia molto. Diremmo che le somiglia troppo, per i nostri gusti e per quelli di milioni di cattolici. Ma al papa Francesco, importa quel che pensano i cattolici? Gli importa se le sue continue sparate li disorientano, li demoralizzano, li amareggiano? Non si direbbe. Gli importa, e parecchio, quel che pensano gli "altri": i luterani e gli altri protestanti innanzitutto, indi i giudei, gli islamici, i massoni, gli atei, gli anticlericali (nel cui novero egli orgogliosamente si inscrive) e gli anticattolici.
Del resto, di che meravigliarsi? Francesco ha fastidio dei cattolici; ha fastidio del cattolicesimo; e ha fastidio anche di essere papa, se per papa s’intende il capo della Chiesa cattolica. Lo ha fatto capire, lo ha manifestato in ogni modo e in tutte le possibili occasioni, fin dal primo giorno, fin dal primo istante, fin dal suo saluto alla folla subito dopo l’elezione, dal balcone di Piazza San Pietro, il 13 marzo 20013, quattro anni fa. Il cattolicesimo, per lui, è roba vecchia; storia chiusa, storia da archiviare. In nome dell’ecumenismo e del dialogo inter-religioso, bisogna lodare tutti e mettere a tacere quei cattolici importuni e retrogradi che potrebbero guastargli la festa. È per questo che nel 2014 ha voluto mandare un caloroso saluto ai musulmani, in occasione dell’inizio del Ramadan; e a niente sono servite le messe in guardia, gli avvertimenti di quei cattolici che, per il fatto di conoscere molto bene l’islam, e di vivere a stretto contatto con gli islamici, lo avevamo scongiurato di non farlo. Lo ha fatto lo stesso, perché a lui non importa quel che pensano i cattolici: ci tiene a fare bella figura con gli islamici e con gli ambienti laicisti e progressisti di casa nostra, con Eugenio Scalfari e col "partito" di Repubblica, con la signora Bonino e con i radicali. E uno dei suoi fedelissimi, l’arcivescovo di Bologna, Matteo Zuppi, da lui insediato in quella che fu la cattedra di monsignor Carlo Caffarra, ha voluto seguire quell’esempio, e, nel 2016, è andato a celebrare la fine del Ramadan insieme ai musulmani. Oppure il papa ha voluto ascoltare i cattolici che lo sconsigliavano e lo scongiuravano di non invitare gli islamici a venire nelle chiese cristiane, a pregare durante la santa Messa, nella loro lingua e il loro dio (che non è il nostro, anche se il nostro pare che non sia cattolico), all’indomani dell’assassinio di padre Hamel, martirizzato nella sua chiesa in Normandia dal fanatismo islamico? Certo che no. Oppure ha ascoltato le perplessità e il disagio dei cattolici, quando ha voluto andare a concelebrare la Messa a Lund, in Svezia, con un pastore luterano, e questo per "commemorare" i cinquecento anni della cosiddetta riforma di Lutero? Niente affatto. C’è andato, anche se ha tralasciato di spiegare ai cattolici che cosa ci fosse da commemorare, in quel tristo evento, e, soprattutto, di chiarire se avevano ragione i protestanti a provocare uno scisma, o se ebbero ragione i cattolici a ribadire, punto per punto, nel Concilio di Trento, la loro dottrina e la loro fede. Eppure, qui non si sta parlando di caramelle o di dettagli: si sta parlando della salvezza eterna. Se Lutero aveva ragione, allora la Chiesa cattolica, nell’ultimo mezzo millennio, e almeno fino al Concilio Vaticano II, ha sbagliato tutto, con immenso danno per le anime. Ma se fu questa, invece, ad aver ragione, allora i luterani sono eretici e la Messa non può essere concelebrata con loro, pena la profanazione dell’Eucarestia. Lei, santo Padre, ha profanato l’Eucarestia, a Lund, il 31 ottobre 2016? Come vede, non stiamo parlando di bazzecole.
Torniamo al nostro assunto iniziale. Il papa Francesco e la chiesa che a lui s’ispira e su di lui si modella presentano marcati tratti di buonismo della seconda specie. Il terrorismo islamico? Mai visto. L’omosessualità? Io non posso giudicare. Il male non c’è, ci sono i cattolici ipocriti, rancorosi e clericali che vogliono vederlo ovunque. Il peccato non c’è per i puri, omnia munda mundis: e lui, Francesco, è molto puro, molto umile, molto misericordioso. Un po’ meno lo è con chi non si riduce al rango di yes-man. Ma che importa, nessuno è perfetto; e dopotutto, chi siamo noi per giudicare?
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