
L’ombra della Massoneria dietro la fondazione della Royal Society e della Borsa di Londra
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13 Gennaio 2016Il 1694 è una data importantissima, una data-chiave, nella storia dell’Europa e del mondo moderni: più di quelle che indicano battaglie, trattati internazionali o concordati: è la data che vede la nascita della Banca d’Inghilterra, la prima Banca Centrale e l’inizio, quindi, del dominio della finanza sulla economia reale, e l’inizio, all’interno della politica delle singole nazioni, dello strapotere invisibile, ma sempre più tirannico e capillare, di questi nuovi organismi di credito privato.
Meno di sei anni prima la Gran Bretagna aveva cacciato il suo legittimo sovrano, Giacomo II Stuart, accusandolo di essere un cattolico (il che era vero) e di voler restaurare il cattolicesimo e l’assolutismo (il che era falso, o almeno dubbio); sua figlia Maria, insieme al consorte Guglielmo d’Orange, che già avevano brigato per la sua esclusione dalla successione al trono, si erano prestati alla bisogna di defenestrarlo, mantenendo, però, le apparenze di una certa continuità dinastica e istituzionale. Poi, nel 1690, con la battaglia del Boyne, l’Irlanda, che aveva avuto il torto di porsi sotto le bandiere di una difficile restaurazione giacobita, pagò il prezzo della sconfitta con un fiume di sangue e con altri duecentotrenta anni di schiavitù al dominio britannico e protestante: a maggior gloria del principio di tolleranza di John Locke e del consolidamento della monarchia costituzionale inglese, esempio e modello cui tutti gli illuminati "philosophes" del secolo seguente avrebbero guardato con un misto di conclamata e viscerale ammirazione e di segreta invidia, quale sistema politico ideale e quasi prefetto.
È impossibile capire gli inizi della Banca d’Inghilterra se si fa astrazione da questo quadro di riferimento; e mettiamoci anche un’altra data altamente significativa: la fondazione della Gran Loggia di Londra, nel 1717, preparata da un notevole fermento di attività massoniche e capofila di tutta una serie di nuove, future logge, "sorelle" e ad essa collegate, più o meno, in ogni altra parte d’Europa e del mondo. Nel 1660 Carlo II Stuart aveva favorito la nascita della Royal Society, gettando le basi per un progetto a larghissimo raggio inglobante la scienza, l’industria, la finanza, la politica, lo spionaggio e… la nascente Massoneria; mentre nel 1667 era stato ricostruito il palazzo della Borsa di Londra, dopo il terribile incendio dell’anno precedente — il 1666: uno, più il "numero della Bestia" -, secondo una chiara simbologia di tipo massonico, ed inaugurato in un giorno e in un’ora considerati "favorevoli" dal punto di vista occultistico ed astrologico (cfr. il nostro precedente articolo: «L’ombra della Massoneria dietro la fondazione della Royal Society e della Borsa di Londra», pubblicato sul sito di Arianna Editrice).
Con la fondazione della Banca d’Inghilterra per opera di uno scaltro e imprevedibile avventuriero scozzese, William Paterson (nato in un villaggio del Dumfriesshire nel 1658 e morto a Londra nel 1719), uomo straordinariamente fertile e spregiudicato nel concepire fantastici progetti finanziari, come quello del cosiddetto Schema del Darién, una improbabile colonia scozzese da realizzarsi sull’istmo di Panama, sotto il naso degli Spagnoli, i quali certo non sarebbero rimasti a guardare il sorgere di un simile insediamento a breve distanza dal nodo cruciale di tutto il loro impero transoceanico: la lingua di terra che separa l’Atlantico dall’Oceano Pacifico, e sulla quale transitavano i convogli dell’oro e dell’argento provenienti dal Perù e dalla Bolivia e diretti a Cadice. Ma non ci fu bisogno di un intervento militare spagnolo: ci pensarono le febbri e il clima micidiale a decimare l’incauto avamposto, uccidendo la gran maggioranza degli avventurosi coloni scozzesi; fra parentesi, fu — in sostanza – il primo ed ultimo tentativo coloniale scozzese, ed il suo fallimento ebbe una parte decisiva nel provocare l’Unione politica fra la Scozia, finanziariamente rovinata, e l’Inghilterra, nel 1707, sotto il nome di Regno di Gran Bretagna.
Così ha ricostruito la nascita della Banca d’Inghilterra uno dei maggioro economisti del XX secolo, John Kenneth Galbraith, nel suo libro: «La monta. Da dive viene e dove va» (titolo originale: «Money: Whence It Came, Where It Went», 1975; traduzione dall’inglese di Ettore Capriolo, Milano, Arnoldo Mondadori, 1976, pp. 45-47):
«Nelle origini della Banca d’Inghilterra non c’è nulla di sensazionale. Il suo fondatore, William Paterson, era un contemporaneo e un connazionale — nato anche lui nelle "lowlands" scozzesi – di John Law e aveva lo stesso istinto, forse di origine etnica, per l’invenzione fiduciaria. Già in America, negli ultimi anni del XVII secolo, aveva avuto l’idea di una grande colonia situata strategicamente sull’istmo di Panama, che si chiamava allora Darien. Tornato in Europa, gli fu all’inizio difficile [far] accettare la sua idea, come lo fu per Law varare la sua banca. Ma come Law avrebbe trovato poi il reggente che aveva bisogno di fondi dopo la morte di Luigi XIV, così Paterson trovò Guglielmo d’Orange coi problemi finanziari in seguito alle guerre combattute con o stesso monarca. E anche Paterson offrì una soluzione: una società bancaria dotata di privilegio reale e di un capitale di un milione e duecentomila sterline. Una volta sottoscritta, la somma sarebbe stata interamene prestata a Guglielmo e l’impegno del governo a rimborsarla avrebbe garantito un’emissione cartacea per la stessa somma. Queste banconote autorizzate sarebbero poi state prestate a privati cittadini degni di fiducia. Si sarebbe così ricavato un interesse sia su questi prestiti sia su quelli fatti al governo. Di nuovo i miracoli della banca.
L’accordo venne concluso nel 1694 e nacque così la Banca d’Inghilterra. Le esigenze finanziarie travolsero ogni obiezione, comprese quelle dei Tories, i quali sostenevano, con un certo calore, che le banche erano per loro natura repubblicane. Ai proventi di questi doppi interessi si contrapponevano spese verosimilmente esigue: l’organigramma iniziale comprendeva la corte dei direttori, il governatore, il vicegovernatore diciassette impiegati, e due portieri, questi ultimi pagati 25 sterline l’anno. Ben presto dalla corte venne escluso William Paterson, che era stato assunto a 2.000 sterline. Nel giro di pochi mesi, litigò infatti con i colleghi, pare, secondo studi recenti, per un conflitto d’interessi. Dopo di che cercò di fondare in concorrenza una banca del fondo degli orfani. Tornò comunque in Scozia, dove il suo progetto per il Darien trovò ora accoglienze entusiastiche. I frugali scozzesi, come avrebbero poi fatto i francesi per la Banque Royale, si precipitarono a investire i loro risparmi nella società che avrebbe sfruttato la costa, infestata da febbri, di Paterson. Ma tutti gli investitori rimasti fedeli a questa iniziativa persero il loro denaro. E quasi tutti i milleduecento coloni, salpati a bordo di cinque navi, persero anche la vita, compresi la moglie e il figlio di Paterson. Lui stesso se la cavò a stento. In seguito il suo notevole contributo alla storia finanziaria ottenne un giusto riconoscimento e il suo nome venne in parte riabilitato. Diventò allora un influente sostenitore del progetto d’unione tra Inghilterra e Scozia.
Nei quindici anni seguiti alla concessione del privilegio originario, il governo continuò ad avere bisogno di fondi e la Banca sottoscrisse dell’altro capitale. In cambio le fu concesso il monopolio dell’attività bancaria, affidata a una società per azioni con la garanzia della Corna. All’inizio la Banca si considerava soltanto un banchiere come tanti altri, sia pure privilegiato. Un’attività simile svolgevano infatti con meno privilegi, anche gli orafi divenuti in quell’epoca depositari e prestatori, con operazioni garantite più dalla potenza delle loro casseforti che dalla rettitudine delle loro transazioni. Si opponevano dunque con energia al rinnovo del privilegio della Banca. Ma le loro obiezioni vennero sopraffatte e il privilegio venne rinnovato. Ben presto tuttavia un nuovi rivale venne a insidiare la posizione della Banca come banchiere del governo. Era la Compagnia del Mare del Sud. Nel 1720, dopo qualche anno di esistenza relativamente anonima, propose di accollarsi l’intero debito pubblico in cambio di una serie di concessioni, tra le quali, si sperava, il monopolio del commercio con le colonie spagnole, che avrebbe però richiesto, cosa di cui in quell’epoca non ci rendeva ben conto, un trattato, estremamente improbabile, con la Spagna. La Banca d’Inghilterra contestò accanitamente la Compagnia del Mare del Sud nelle sue offerte per il debito pubblico, ma venne clamorosamente sconfitta dalla generosità di quest’ultima, nonché dall’opera di corruzione da essa esercitata su parlamentari e membri del governo. La rivalità tra le due compagnie non impedì alla Banca di diventare una generosa fonte di prestiti per l’avventura nei mari del sud. Tutto sommato, se la cavò appena.»
Può darsi che non vi sia niente di sensazionale, come dice J. K. Galbraith, nella nascita della Banca d’Inghilterra: bisogna però vedere che cosa s’intende per "sensazionale". Neppure nella nascita della Borsa di Londra, della Royal Society o della prima Gran Loggia massonica vi è niente di sensazionale, se, con questa parola, si intende qualcosa che abbia attirato in modo particolare l’attenzione del pubblico, o che si sia attuata secondo modalità chiassose e spettacolari; ma, ovviamente, la strategia dei nuovi padroni finanziari della società non era certo quella di fare troppo chiasso attorno a sé, o di richiamare una inopportuna curiosità da parte della "libera" stampa — altra creazione dell’epoca — sui risvolti meno chiari e più scabrosi delle loro spericolate transazioni e delle loro più ambigue speculazioni. Quella di far nascere il denaro dal nulla non è una magia di piccolo corso; e non è neppure un tipo di attività per la quale chi la esercita desideri una pubblicità troppo esplicita, che potrebbe stuzzicare indiscrete curiosità e domande impertinenti.
Agli inizi, dunque, la Banca d’Inghilterra dovette vedersela con la concorrenza di alcuni pericolosi rivali, specialmente la Compagnia del Mare del Sud, come allora si chiamava l’Oceano Pacifico, un’area immensa e ancora quasi sconosciuta (né L’Australia,né la Nuova Zelanda erano ancora note agli Europei, e si favoleggiava sempre dell’affascinante ed elusivo continente della Terra Australe Incognita), i cui fortunatissimi affari avevano letteralmente inebriato i suoi azionisti e avevano favorito la nascita di una quantità pirotecnica d’iniziative, fra il geniale e il pazzesco, compreso un progetto per trovare il sistema del moto perpetuo, onde sfruttare a pieno l’energia dei mulini ad acqua e a vento, e, addirittura, una impresa per realizzare una straordinaria invenzione a favore dell’umanità, della quale ancora, tuttavia, non si conosceva la natura. Ovviamente, non poche di queste stravaganti iniziative fecero la fine che ci si poteva aspettare, la stessa, peraltro, dello Schema del Darién; e così la Banca d’Inghilterra, che si teneva coi piedi ben piantati in terra (Paterson ne era stato estromesso appena un anno dopo aver contribuito in modo decisivo alla sua fondazione), a partire dal 1720, si affermò in misura crescente come il più affidabile istituto per il controllo dell’offerta di moneta, nonché per la protezione degli interessi finanziari del governo britannico.
Il segreto decisivo del suo successo risiedeva nel fatto che le banconote emesse dalle società finanziarie rivali non godevano dello stesso prestigio: un prestigio così grande che non venivano presentate per la conversione, proprio perché i suoi sportelli promettevano una immediata conversione in moneta metallica. È abbastanza chiaro, anche ad un profano dei segreti dell’economia, che questo vantaggio era essenzialmente di natura psicologica e che esso aveva a che fare appunto con la fiducia crescente che il governo britannico le aveva accordato: il pubblico pensava, così come lo pensa oggi, che una Banca Centrale, sostenuta dallo Stato e da esso incaricata di emettere moneta, non potrà mai fallire, perciò si fidava dei suoi titoli e delle sue azioni e li acquistava con maggiore facilità di quanto fosse disposto a fare nei confronti di qualunque altra banca privata. Ma la Banca d’Inghilterra era anch’essa, a tutti gli effetti, una banca privata (come lo è oggi, tanto per mettere i punti sulle "i", la Banca d’Italia, o la Federal Reserve statunitense): una banca privata che godeva di un rapporto privilegiato con il governo dello Stato e che quindi, almeno così si pensava, avrebbe goduto sempre e comunque della necessaria copertura finanziaria, per quanta moneta coniasse e per quanti titoli mettesse in vendita.
Anche se le piccole banche locali, nelle province d’Inghilterra e Scozia, avrebbero continuato ad emettere moneta per gran parte dell’Ottocento, a partire dal 1770 la Banca d’Inghilterra aveva pressoché vinto la sua battaglia: era diventata l’emittente quasi esclusiva di banconote nella capitale, sede della City finanziaria. Nel 1780, quando a Londra scoppiò una rivolta anticattolica, la folla mise a sacco indisturbata i quartieri cattolici; ma quando si diresse verso la sede della Banca d’Inghilterra, il governo si mosse e inviò le truppe. Il patto fra Banca e Stato era ormai suggellato…
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