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I gesuiti, pedine della massoneria fin dal principio?

Non pochi studiosi indipendenti sia della massoneria che della storia della Chiesa hanno notato, e le loro conclusioni tendono a convergere, che esiste da sempre una curiosa somiglianza fra certi metodi, certe strategie e perfino una certa psicologia dei massoni e quelli dei gesuiti; e che in definitiva, guardando nell’insieme la Massoneria e l’ordine di Sant’Ignazio, si ha l’impressione di essere di fronte a due realtà molto simili, parallele, quassi speculari, potenzialmente capaci d’influenzarsi a vicenda e, al caso, di collaborare e stabilire piani operativi comuni, condivisi da entrambe le parti.

La segretezza, l’obbedienza cieca ai superiori, la disinvoltura nel dissimulare le proprie intenzioni, il relativismo piuttosto machiavellico delle loro filosofie permette di vedere nei gesuiti dei massoni in abito sacerdotale, e nei massoni dei gesuiti che operano nella società civile. E ciò sia detto, naturalmente, con riguardo ai vertici delle due organizzazioni e senza tener conto dei sentimenti e delle intenzioni soggettive dei singoli membri di gradi più bassi: i quali, molto spesso, sono lontanissimi dall’immaginare una siffatta convergenza e, se ne venissero informati, ne sarebbero talmente scandalizzati da rifiutarsi di crederci.

E questo è appunto un altro tratto comune alle due istituzioni: il fatto che la conoscenza dei fini ultimi di esse è riservata agli superiori, ovvero, nella massoneria, agli iniziati di grado più elevato: sia nell’uno che nell’altro ambito non si ritiene opportuno, né prudente mettere a parte chiunque delle finalità ultime che ci si ripromette, ma anzi si preferisce tenere nell’ignoranza di ciò le semplici pedine. I capi, invece, che sono addentrati in un sapere segreto (ulteriore elemento di tipo gnostico che accomuna le due realtà, in apparenza così lontane fra loro), sono gente che pensa molto, ma molto in grande; che concepisce piani addirittura globali e che sa di lavorare ad un progetto di trasformazione che si svolge nei tempi lunghi, per cui è assai improbabile che chi ne è al corrente giunga anche a vederli realizzati, ma intanto lavora con pazienza e in perfetta segretezza affinché il risultato finale si avvicini. E qual è il risultato finale, se non l’instaurazione di una società unificata, nella quale tutti gli uomini si riconoscono debitori verso un solo Dio, a proposito del quale è inutile e dannoso soffermarsi sulle differenze; e dalla quale devono essere bandite, come vizi e pietre d’inciampo, tutte le identità, tutte le credenze legate a fatti e circostanze storiche particolari, in nome d’un universalismo impregnato di relativismo e mirante all’instaurazione di una società "perfetta" già qui, sulla terra (si pensi a quegli stati teocratici che furono le reducciones gesuite nel Paraguay), senza attendere il Regno di Dio o chissà quale evento catartico che possa verificarsi nella storia?

Ed ecco anche la preferenza di entrambi, massoni e gesuiti, per il lavorio sotterraneo nei tempi lunghissimi, disciplinato, tenace, instancabile; ecco la loro preferenza per l’aspetto educativo, ossia per la formazione di una nuova classe dirigente, capace di trasmettere ed infine realizzare quei valori, spazzando via tutto ciò che attesta un legame col passato, per cui gli uni e gli altri sono per loro essenza e vocazione naturalmente "rivoluzionari", avversi ala Tradizione e desiderosi di sostituirla con conoscenze, leggi e norme che siano puramente umane, razionali, frutto della progettualità umana e non doni della grazia soprannaturale, nella quale i massoni non credono, e i gesuiti credono, però interpretandola in senso immanentistico, cioè come una forza suscitata da Dio, ma per via ordinaria e non soprannaturale.

Citiamo una preziosa pagina della monografia di René Alleau Le origini occulte del nazismo. Il Terzo Reich e le Società Segret, là dove parla del cerimoniale mediante il quale venivano accolti nuovi adepti nella Frammassoneria tedesca nel XVIII e XIX secolo, sulla base dell’ormai introvabile studio di Fessler, ripreso da Le Couteux, dal quale risulta il richiamo della Massoneria al disciolto Ordine dei Templari (titolo originale: Hitler et les Societés Secretes, Paris, Editions Bernard Grasset, 1969; traduzione dal francese di Riccardo Leveghi, Roma, Edizioni Mediterranee, 1989, pp. 266-267):

(…) Il sesto grado o Cavaliere Templare era diviso in "Eques", "Socius" e "Armiger".

Si teneva formalmente un capitolo: l’aspirante doveva lasciare il pannello foderato di verde e il "commissarius Ordinis" facente funzione di priore gli faceva prestare giuramento in lingua latina. L’insediamento del neofita era effettuato ugualmente in latino; gli veniva detto tra l’altro, consegnandogli l’elmo «Ordo te clibano hostes olim fiedei, nunc ordinis ut eo magis intercipias per duellium».

Dopo questo, il nuovo cavaliere poneva su un tavolo a fianco un dono spontaneo per il "Praeses", si metteva in ginocchioni davanti a lui per riceverne dalle manila croce rossa dell’Ordine un anello d’oro al mignolo ella mano destra. Riceveva le armi d’ordine e la divisa o "motto" che le era proprio.

Un terzo tipo di accoglimento era quello dei "Sociorum et Amicorum Ordinis". Se il recipiendario era una persona di un certo livello, la base con cui era stabilita la sua introduzione era diversa, venendo accolto da "Armigeri" o "Cavalieri" o "Commendatori". In luogo d’impegnarsi ad una assoluta obbedienza, egli prometteva in giuramento «stima e devozione perfetta a quelli che lo avevano accolto tra loro».

Dopo l’accoglimento, veniva condotto al suo posto dicendo: «Prendete possesso al posto che l’Orine superiore vi accorda in preferenza, per assisterlo in caso di bisogno con i vostri buoni consigli e con la vostra mano». Quest’ultima regola indica chiaramente di quale Ordine esso è l’opera, perché il vero Ordine dei Templari non ha mai conosciuto questi "amici-soci"; essi sono, al contrario, proprio quelli che formano la seconda classe dell’Ordine dei Gesuiti. Questa classe era composta da preti e laici, che vivevamo nella società e servivano i Gesuiti, specialmente presso le corti; essi si chiamavano "Jesuitae in voto", perché avevano fatto prendere l’abito dell’Ordine appena fosse piaciuto al "Pater generalis".

Vi erano, dopo l’accoglimento dei "Fratres serventii", dei "soci" e"amici Ordinis".

Il barone von Prinzen fu il primo a fondare un capitolo (a Berlino), e il sistema si sparse in seguito sempre di più.

Nel 1763, si presentò il barone von Hund a Unürden, nell’Alsazia, dichiarandosi gran maestro nella settima provincia, poiché la Germania era divisa in varie province d’Ordine.

Dunque, se nel XVIII secolo si entrava in una loggia massonica che si rifaceva direttamente all’Ordine del Tempio, ciò avveniva nelle forme e secondo gli schemi gerarchici e disciplinari dei gesuiti, evidentemente perché la massoneria riteneva che i gesuiti rappresentassero un modello di rara efficienza per la penetrazione nelle varie classi sociali, ma specialmente nell’aristocrazia, e che fosse possibile stabilire degli accordi tattici con essi, sulla base di una lotta comune contro le forze disgregatrici anti-tradizionali che andavano emergendo in Europa dopo la progressiva dissoluzione dell’ordine feudale.

L’equivoco è proprio questo, e si perpetua tuttora: le forze anti-tradizionali sono, di fatto, proprio quelle che stanno alla base dell’ideologia massonica; per cui una forza cattolica che si proponga di interagire e in qualche modo di allearsi con la massoneria, finirà ineluttabilmente risucchiata nella sua orbita, e non agirà più in senso cristiano, ma in senso massonico, ossia per l’affermazione dei principi laicisti e razionalisti contro i "vecchi" valori rappresentati dalla Chiesa. Anche l’idea che la Chiesa stessa, per sopravvivere e affrontare le "sfide" del mondo, deve dialogare con le forze del "progresso", è un’idea tortuosa, machiavellica e in ultima analisi perdente, perché conduce fatalmente, e lo si è visto, alla resa a discrezione e alla rinuncia ai propri valori, alla propria identità e alla propria autonomia. La Chiesa "secolarizzata", cioè infiltrata dalla massoneria, è una chiesa che non ha più nulla da dire ai credenti, ma si limita a ripetere a pappagallo ciò che dice da sempre la massoneria, e che oggi dicono da mille pulpiti le istituzioni mondiali della massoneria: l’O.N.U., l’U.N.E.SC.O, la F.A.O., l’O.M.S. Tipico esempio di ciò è stata la linea di condotta tenuta dalla Chiesa negli ultimi due anni, in presenza della cosiddetta emergenza sanitaria proclamata dalle forze massoniche del globalismo finanziario, precisamente in alleanza con l’O.N.U,., l’O.M.S., ecc: affiancare, spalleggiare addirittura anticipare, e per certi aspetti, le imposizioni e le direttive stabilite da quei poteri, gravando sui fedeli con un peso psicologico e spirituale che si è sommato a quello esercitato sui cittadini dalle istituzioni statali e internazionali.

Ora, tutto ciò è avvenuto dopo l’elezione di un papa gesuita, cosa peraltro contraria al diritto canonico, e non molti anni dopo che un altro papa, Giovanni Paolo II, aveva deciso di commissariare i gesuiti, nei quali ravvisava un preoccupante allontanamento dallo spirito di servizio ecclesiale del fondatore, sant’Ignazio di Loyola, e un’insopprimibile tendenza fare fronda, a creare un partito entro la Chiesa, a voler rivedere la liturgia, la pastorale e perfino a imporre, per taluni aspetti, una nuova dottrina, ovvero una nuova interpretazione del Vangelo, pressoché interamente laicista e immanentista, pensando la Chiesa come uno strumento per realizzare la pace e la giustizia sociale, anche a scapito della tensione verso il divino e al prezzo di vistosi "tagli" e inedite (inaudite) revisioni sul piano dottrinario. Non erano stati forse i gesuiti a sollevare la questione dei riti cinesi e dei riti malabarici, questione che suscitò le reazioni dei francescani e soprattutto dei domenicani, fino a quando, dopo un secolo e mezzo di controversie, venne chiusa da una bolla di Benedetto XIV del 1742, Ex quo singulari, che dava ragione ai francescani e ai domenicani, e torto ai gesuiti? Il lupo tuttavia perde il pelo ma non il vizio, e sotto la prepositura di Pedro Arrupe, più che aperto alla teologia della liberazione e a molte altre nuove forme di "dialogo" e "inclusione" di ciò che cattolico non è, vi fu la reazione di papa Wojtyla (vedi il nostro articolo: Quando Giovanni Paolo II commissariava i gesuiti, pubblicato sul sito della Accademia Nuova Italia il 23/02/19). E non è stato ancora un gesuita, padre Sosa Abascal, ad affermare che non sappiamo cosa disse realmente Gesù Cristo, e inoltre che il diavolo non esiste? E se ci si domanda perché l’assoluta verità e credibilità dei Vangeli, e l’esistenza del diavolo, diano tanto fastidio a qualcuno, si arriva sempre alla stessa conclusione: parlare troppo di ciò che Gesù ha detto e fatto (degli ex seminaristi ci hanno confidato che citare i Vangeli è altamente sconsigliato nei seminari odierni, mentre, per converso, la necessità del sacro siero contro il virus è divenuta quasi un dogma di fede) e ricordare l’esistenza del diavolo, crea "ostacoli" sulla via del dialogo con le altre fedeli e specialmente coi non credenti, per cui, in nome dell’unità e dell’inclusione, bisogna mettere la sordina, e se necessario sbarazzarsi, di tutto ciò che può avere un tale effetto. Il che è perfettamente in linea con la mentalità gesuita, che consiste nell’acchiappare i topi senza stare a domandarsi se il gatto è nero o bianco, perché soffermarsi su quest’ultimo aspetto equivale a creare "divisioni" e dunque a danneggiare il piano della "fratellanza umana" (evidentemente sciolto dall’idea cristiana della filiazione divina).

Viene da chiedersi se la decisione di Clemente XIV di sopprimere l’ordine dei gesuiti, formalizzata nel breve Dominus ac Redemptor del 21 luglio 1773, sia stata dovuta, come in genere si afferma, dalla pressione dei sovrani dell’assolutismo "illuminato" o se non sia maturata anche alla luce di uno spirito di fazione che aveva fatto di loro un vero e proprio stato nello stato e una chiesa nella chiesa, con esisti potenzialmente catastrofici per il cristianesimo stesso, oltre che per la Chiesa e per l’autorità del papa. Si direbbe che quando i gesuiti hanno realizzato di non poter dirigere nei tempi e nei modi previsti la loro "svolta", hanno deciso di farlo rompendo ogni regola e mettendo uno dei loro sul soglio di San Pietro. E questo nostro giudizio sui gesuiti non abbia in alcun modo il sapore di una condanna generalizzata, né di una mancanza di rispetto alla memoria di quegli eroici gesuiti che, nel 1600 e 1700, s’immolarono a decine per l’evangelizzazione del Canada, del Giappone e di altre terre lontane, oltre che per la restaurazione del cattolicesimo in Inghilterra. Quelle pagine gloriose rimangono, anzi dovrebbero risuonare come una condanna inappellabile allo spirito di eresia e di apostasia che contraddistingue l’azione di certi gesuiti odierni, specialmente quelli che occupano posizioni importanti nella Chiesa. Da esercito di fedelissimi del papa sono diventati un esercito indipendente, che fa e disfa i papi a suo piacimento e decide la politica della Chiesa, magari rimuovendo ciò ch’è essenziale alla fede: la divinità di Cristo e la sua Presenza Reale nell’Eucarestia.

Fonte dell'immagine in evidenza: Immagine di pubblico dominio

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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