
Essere, coscienza, felicità: la triplice natura dell’uomo
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19 Dicembre 2015Lou Marinofff, canadese, nato a Montréal nel 1951, professore di filosofia al City College di New York, è un pioniere della cosiddetta "pratica filosofica", nata in Germania nel 1980, e presiede l’Associazione Americana dei Terapisti Filosofici; tale pratica si è ormai diffusa in tutto il mondo, mentre si assiste ovunque al moltiplicarsi degli studi di counseling filosofico.
Come afferma il titolo del suo libro di gran lunga più noto, studiare il pensiero dei filosofi è cosa migliore che imbottirsi di farmaci antidepressivi: è la filosofia, infatti, la vera guaritrice dei mali dell’anima (egli non adopera la parola "anima": lo facciamo noi, sotto la nostra responsabilità); e sviluppare un minimo di consapevolezza speculativa significa, anche, mettere al riparo il proprio equilibrio interiore e rafforzare le difese contro la malattia.
L’idea è buona, anzi buonissima, purché inserita nel contesto giusto; peraltro, non è affatto nuova, ma vecchia quanto la filosofia stessa: si tratta solo di riscoprire una antica verità e di ripristinare le forme di saggezza che hanno guidato per secoli e millenni i nostri progenitori, prima che la hybris scientista e illuminista gettasse i germi della pazzia fra gli uomini.
Per Marinoff, scopo e significato sono paragonabili a una mappa: lo scopo è quello di guidare il viaggiatore a destinazione, il significato è la rappresentazione del territorio. Egli fa anche il paragone del menù al ristorante: lo scopo di esso è aiutare il cliente a scegliere che cosa mangiare, il significato è quello di fornire delle informazioni relative alle scelte.
Scrive, dunque, Marinoff nel suo ormai celebre libro «Platone è meglio del Prozac» (titolo originale: «Plato, not Prozac!», 1999; traduzione italiana di Francesco Saba Sardi, Casale Monferrato, Editrice Piemme, 2007, pp.281-88):
«Bisogna innanzitutto distinguere tra significato e scopo, parole che di solito sono usate come intercambiabili. Ritengo opportuno operare una distinzione per aiutarti a reinserirle nella tua esistenza. Scopo è un oggetto o finalità da raggiungere. È una meta. Significato ha a che fare con il tuo modo di comprendere la vita nel suo svolgersi. Significato è il modo con cui le cose accadono, non necessariamente la loro risultanza; la comprensione dipende dall’esperienza e il significato- al apri dell’esperienza – è personalissimo. […]
Se hai già uno scopo, comprendere i significati delle cose può aiutarti a raggiungerlo. Ma se non hai uno scopo o non sei in grado di individuarne uno, i significati ti saranno meno utili. La mappa più precisa che ci sia è inutile se non devi andare da nessuna parte. D’altra parte, non sempre desideri una mappa né hai bisogno di sapere dove stai andando. Fare dello shopping in una città straniera senza una guida, oppure esplorare una zona selvaggia senza una mappa, può essere rischioso ma anche remunerativo. Il tuo scopo può essere semplicemente quello di esplorare e poi assegnare un significato a tutto ciò che incontri strada facendo. E così torniamo alle disposizioni filosofiche individuali: significato e scopo dipendono in larga misura da te. Cose semplici possono essere assai significative; cose inspiegabili possono proporsi come altri scopi. […]
Noi siamo molto più contenti se crediamo di avere uno scopo, anche se ignoriamo cosa esso sia o possa essere. Ma siamo ancora più lieti se conosciamo quale sia lo scopo, perché questo ci aiuta a trovare significato. Molte cose significative non rientrano nel nostro scopo, sebbene ciò non le renda meno significative. Possiamo anche trovare significato tutt’attorno a noi senza sapere quale sia il nostro scopo (e così ignorando quel che al nostro scopo si adatta). Ti può anche succedere di essere certo del tuo scopo fondamentale, ma di essere quotidianamente alle prese con l’insignificanza. Sicché, lo scopo non garantisce affatto che senta ricca di significato la tua vita, casomai tu creda che ti basti affidarti a qualcuno che ti offra uno scopo bell’e fatto.
Puoi avere un unico scopo che informa di sé l’intera vita o, più probabilmente, una mutevole serie di scopi in diversi momenti della tua esistenza. A lungo puoi credere che la condizione di genitore sia il tuo supremo scopo. Ma, una volta cresciuti i tuoi figli, ti può capitare di sostare l’accento sulla tua carriera o sul tuo personale sviluppo. […]
Senza la flessibilità necessaria per perseguire diversi scopi durante la tua vita, ti può capitare di finire come la "popolarissima" animatrice delle feste studentesche che vent’anni dopo continua a vivere di gloria passata senza avere una nuova visione personale. Non siamo fatti per dedicarci a un’unica cosa, bensì per fare una cosa alla volta. Non aggrapparti ad un’unica cosa, stiracchiandola oltre la sua stagione.
Se hai realizzato uno scopo, nessuno potrà portartelo via. Ma lo scopo non durerà per sempre. Nulla dura in eterno. Puoi gustartelo, riviverlo, ma devi essere disposto ad abbandonarlo. […]
Lo scopo non è qualcosa che puoi trovare semplicemente perché aspiri ad averne uno. Nessuno e niente può darti uno scopo: devi trovarlo da solo. Un vero scopo può non essere ovvio e può darsi che ci voglia molto tempo perché sbocci, ma ciò non significa che non esiste. Finché strada facendo trovi significato, il tempo dell’attesa non sarà sprecato. […]
Può essere difficilissimo, a volte, comprendere le nostre esistenze. Vorremmo trovare un modello, qualcosa di più che non un accumulo di abitudini o una spinta a trasmettere i nostri geni. Quel modello ci serve per spingerci verso più ampi orizzonti. Un simile punto di vista ottimistico è il balsamo migliore quando qualcosa ci tormenta. Cose tristi possono accadere, ma almeno esperirle può contribuire a fare di noi persone migliori. I filosofi da Eraclito a Lao Tzu concordano nel ritenere che il cambiamento è l’unica cosa costante della vita, e tutti quanti abbiamo i nostri alti e bassi. Sarebbe opportuno convincerci che ciò che stiamo attraversando (soprattutto se è di malo conio) è destinato a impartirci una lezione e a permetterci di essere meglio di come avremmo potuto essere altrimenti.
Non so dirti se qualcuno o qualcosa ci ha imposto quelle esperienze con una qualche intenzione circa l’insegnamento che semmai ne ricaviamo. Ma, come individui dotati di libero arbitrio, possiamo certamente decidere di servirci di ciò che ci capita come alimento della nostra personale evoluzione.»
«Platone è meglio del Prozac» ha avuto un successo mondiale travolgente: basti dire che è stato tradotto in venticinque lingue, e si capirà facilmente di quale ordine di numeri stiamo parlando. Quel libro è stato come una meteora: è passato ed è sparito; e non si può dire che abbia lasciato molto dietro di sé. In effetti, l’idea di ridurre la filosofia a pratica terapeutica può sembrare alquanto originale; ma, come dicevamo sopra, non lo è; inoltre, e quel che è peggio, paragonarla al menù di un ristorante dice subito in quale conto Marinoff tenga la filosofia.
Figlio di una tradizione utilitaristica e produttivistica tipicamente anglosassone, che risale alla stagione illuminista, se non prima ancora, Marinoff sembra avere una concezione molto pragmatica e molto limitata della filosofia: anziché l’arte di pensare, si direbbe che essa sia, per lui, la tecnica di pensare. Ma l’arte è autonoma quanto al proprio fine, la scienza no: l’arte sa dove vuole andare, la scienza no. In pratica, egli cade proprio nel circuito chiuso verso il quale mette in guardia i suoi lettori: quello di non riuscire a individuare lo scopo del filosofare. Presenta la filosofia come una maniera per mettere a fuoco i propri scopi e per perseguirli in maniera lucida e razionale; paragona lo scopo alla guida del viaggiatore, e il significato alla mappa del territorio da percorrere: però ammette che il viaggiatore deve sapere dove vuole andare, altrimenti sono inutili sia la guida, sia la mappa. Ma allora, che senso ha presentare la filosofia come una forma di counseling? Oltre a essere terribilmente riduttivo, è anche contraddittorio: nessuno può guidare nessun altro alla filosofia, se questi non sa dove vuole andare. La saggezza della vita non si insegna, si apprende in prima persona; se qualcuno volesse insegnarla, la tradirebbe, perché ne farebbe una tecnica mercenaria.
Il counseling, infatti, è una tecnica professionale, consistente nell’orientare e sviluppare le potenzialità del cliente, e nel migliorare la sua capacità di operare delle scelte. Ma per fare delle scelte, bisogna avere delle priorità, dei valori, dei fini: cose che la filosofia non può dare, ma, semmai, stimolare. Insomma c’è una sola maniera di fare filosofia, essere filosofi; e c’è una sola maniera di essere filosofi, diventare maestri di se stessi. Nessuno ce lo può insegnare; se lo potesse, sarebbe il nostro maestro: ma, in tal caso, la filosofia sarebbe quel che pensa Marinoff, e invece non è: una tecnica (insegnata a pagamento) del pensare. Concepire così la filosofia, significa ridurla a qualcosa di piccolo: in pratica, non si vede quale differenza sostanziale vi sia tra il counseling filosofico di Marinoff e la tecnica di eloquenza dei sofisti, pur’essa venale.
La filosofia è la ricerca razionale della verità. Non ci si avvicina alla verità, né punto, né poco, facendo di essa una tecnica e paragonandola a una guida o a una mappa: essa non è né una cosa, né l’altra. Il filosofo non è colui che procede verso la meta in maniera più veloce o più abile degli altri; ma è colui che ha compreso quale sia la meta. E questo non glielo può insegnare nessuno: lo deve trovare da sé. La vera filosofia, pertanto, è sia il cammino verso la mèta, sia la contemplazione della mèta stessa: nel senso che essa è premio a se medesima, allorché diviene contemplazione gioiosa e rasserenante della Verità. Il filosofo è colui che ha compreso che la vita non è frutto del caso, e che non è indifferente quel che in essa ci viene incontro, e come lo si accoglie; ma che, nello stesso tempo, riesce a trasformare tutte le situazioni, compresi gli errori e le cadute, in occasioni preziose di crescita e di perfezionamento di sé.
Non si può prendere la filosofia come una medicina, neppure come una medicina preventiva, tanto meno come un antidepressivo: essere depressi o no, è una questione di motivazione alla vita, che nessuna filosofia al mondo potrà modificare. Semmai, la filosofia aiuta a trovare la serenità vera, perché la sensazione esaltante di avvicinarsi alla verità moltiplica le forze e accende la speranza: esattamente coma accade all’alpinista allorché, dopo avere affrontato fatiche e pericoli, intravede la vetta della montagna tanto agognata. Ma la vetta è la vetta: non il desiderio di essa. La filosofia non è la verità, è l’avvicinamento alla verità. Non qualunque cammino di ricerca è un avvicinamento alla verità; vi sono cammini che non portano da nessuna parte, e che allontanano dalla verità. Vi sono filosofi che impazziscono a causa della loro superbia intellettuale, e che finiscono per identificare se stessi con la vetta della montagna. Desterebbero una profonda pietà, se non fossero degli orgogliosi che infliggono a se stessi, senza rendersene conto, la meritata punizione.
La Verità eccede la conoscenza umana; nessun uomo, per quanto intelligente e sapiente, può arrivare al suo cospetto. Abbiamo bisogno d’un aiuto. La filosofia deve cedere il passo alla teologia, e quest’ultima, alla fede. Non si può attraversare l’oceano con una barchetta; con una barchetta si può attraversare un fiume, o — al massimo – una laguna. Bisogna essere consapevoli della sproporzione fra il desiderio della verità e lo statuto ontologico della Verità in se stessa. La Verità è il Bene, e il Bene è l’Assoluto; dunque, la verità è Dio. Davanti a Dio, o ci si presenta nell’atteggiamento della massima umiltà, oppure si vaneggia, si farnetica, si impazzisce. Si scambiano i mulini a vento per giganti, come don Chisciotte; si costruiscono le torri di Babele, destinate a restare incompiute, severo monito contro la presunzione umana.
La filosofia è preziosa, ma non è tutto. È uno dei mezzi, non il mezzo, per avvicinarsi alla verità. Un altro mezzo — il più sicuro, il più diretto — è l’amore. Chi ama veramente, è già sulla strada della verità: non gli servono libri, meno ancora dei maestri di counseling che si fanno pagare un tanto all’ora. I veri maestri mettono a disposizione il loro sapere gratuitamente, per pura benevolenza, e, più ancora, perché sanno molto bene di non essere i proprietari del sapere, ma semplicemente gli intermediari: lo hanno ricevuto dall’Alto e lo offrono, a loro volta, a chi lo cerca con cuore puro. Il solo maestro è Dio; e il solo maestro umano, è ciascuno di noi, per se stesso. Gli altri possono aiutare, ma ciò riesce efficace solo se il discepolo è già impegnato a diventare il maestro di se stesso. Vi è una sola strada per riuscirvi: liberarsi dal fardello dell’Io. L’Io è la maledizione che ci oscura la vista e ci fa strisciare carponi, sotto il peso della nostra stessa vanità. Fra tutte le forme di vanità, la più trista è proprio quella intellettuale, perché è un tradimento nei confronti della Verità.
Come disse il solo Maestro autentico: per giungere alla Verità, bisogna sapersi fare piccoli e umili…
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