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Che cos’era ciò che vide la bambina in quella villa ai piedi delle Alpi?

Solagna è un piccolo comune (meno di 2.000 abitanti) nel Canale di Brenta, in provincia di Vicenza, addossato alle montagne, posto fra Bassano del Grappa, a mezzogiorno, e l’imbocco della Valsugana, a settentrione; il paesaggio è collinare, suggestivo, disseminato di prati e alberi da frutto, anche se la vicinanza dei monti, ripidi e, in parte brulli, non permette di definirlo ridente; pure, nelle belle giornate di sole, specialmente d’estate, la luce che si posa sulle vecchie case e sui borghi gli conferisce una fuggevole nota di serenità malinconica. Se non fosse per la strettezza della valle del fiume Brenta — che ricorda, in questo punto, la media valle del Piave, fra la stretta di Quero e lo sbocco del torrente Caorame – e per il fatto che il sole vi fa capolino solo per alcune ore, e dunque vi regna una forte umidità dell’aria (né vi cresce l’olivo, il cui limite settentrionale arriva appunto a Bassano, 6 km. più a valle), lo si potrebbe definire un luogo quasi ameno, certamente tranquillo: uno di quei luoghi, come ce ne sono tanti in Italia, dove pare che il tempo si sia fermato e la "fiumana del progresso", di verghiana memoria, si sia per miracolo arrestata.

A due passi dalla chiesa parrocchiale, il cui campanile a cipolla svetta elegante al di sopra dei tetti del paese, sorge una villa veneta di quelle cosiddette povere: più una casa padronale che una villa; sia per le dimensioni alquanto contenute — due piani e la soffitta, poche stanze in tutto -, sia per il materiale adoperato e la semplicità dello stile architettonico — in pratica, un normale edificio colonico, con la sola aggiunta di un piccolo frontone a triangolo nella parte centrale, fra i due camini simmetrici e rialzati, e in più, unico, modestissimo elemento di preziosità, una cornice architravata sovrastata dal timpano, non triangolare, ma ad arco, al di sopra della sola finestra centrale. Insomma un edificio grazioso e ben proporzionato, ma non particolarmente appariscente, al quale solo un ricco giardino verdeggiante, sul lato anteriore, e la sensazione di ospitare una fresca vita campagnola, cui non mancano, tuttavia, alcuni tratti di raffinatezza cittadina, conferiscono un’aria gradevole e sopitale.

Eppure, questa casa graziosa, modesta e signorile a un tempo, come — invero — ce ne sono non poche altre, in questa zona prealpina così carica di storia e di bellezze naturali — a breve distanza ci sono le grotte di Oliero, per esempio: un’autentica attrattiva turistica, che richiama ogni anno migliaia di visitatori — nasconde un segreto inquietante, che la apparenta idealmente agli antichi manieri scozzesi e alle ville della brughiera inglese, posti a latitudini così diverse e frequentemente avvolti dalla nebbia; fra le sue muri, infatti, ebbe luogo un dramma oscuro, mai del sciolto sino in fondo: un suicidio, probabilmente, reso più sinistro dal fatto che, a compiere quel gesto disperato, gettandosi dalla finestra del piano superiore, fu un prete: un giovane uomo nel fiore degli anni, ancora vigoroso e di bell’aspetto. Perché lo fece, non è del tutto chiaro: egli ha portato con sé il proprio segreto nella tomba; il fatto ebbe luogo negli ultimi anni del XIX secolo, quando la villa ospitava la canonica.

Non si tratta, però, solamente di cupi ricordi: sembra che il prete sia stato visto, dopo il suicidio, almeno da una persona, una bambina di otto anni, la cui famiglia aveva comprato quella casa e che aveva destinato alle due figlie proprio la camera d’angolo, posta in alto a sinistra per chi guardi la facciata. Il fatto ha avuto luogo nel 1908 e la piccola testimone era considerata una personcina molto attendibile, a dispetto della giovane età, tutt’altro che usa a inventarsi delle storie o a dire le bugie per mettersi in mostra o rendersi interessante. Inoltre — cosa più importante di tutte — né lei, né i suoi familiari, conoscevano la storia del prete: non si può, dunque, immaginare che quel racconto le fosse rimasto impresso nella mente e che l’avesse inconsapevolmente suggestionata. C’è poi il fatto del realismo e della nitidezza della visione: è vero che la ragazzina si era appena svegliata, ma, stando alla dinamica dei fatti, sembrerebbe doversi escludere che ella abbia scambiato un sogno per una esperienza reale, perché il prete le è apparso per diversi minuti, muovendosi lungo la stanza, dopo che ella si era svegliata di colpo. Anzi, si direbbe che sia stata proprio la sua presenza a destarla: aveva riferito, infatti, di averlo scorto nel momento in cui apriva gli occhi, segno che le era perfettamente chiaro come l’apparizione si fosse verificata allorché si trovava in stato di veglia. E la piccola era così perfettamente desta che, ad un certo momento, balzò fuori dal letto e infilò la porta, correndo a cercare protezione – d’istinto, come fanno tutti i bambini angosciati o spaventati – nella vicina camera dei suoi genitori.

La vicenda è stata raccolta direttamente dalla voce della protagonista, anche se a distanza di moltissimi anni — quando ella era ormai una signora decisamente anziana, ma ben lucida – a cura della redazione della nota rivista «Selezione dal Reader’s Digest» (riportata in: «Cronache dell’inspiegabile. Racconti di fatti incredibili ma veri»; titolo originale dell’opera: «Misteries of the Unexplained»; Milano, Selezione dal Reader’s Digest, 1989, pp. 172):

«A Solagna, un paese vicino a Bassano del Grappa, si trova una cosiddetta "villa veneta povera", ormai molto vecchia, ma ancor solida. Fu costruita intorno al 1760 per una signora veneziana. La facciata, rivolta a sud, guarda un monte che sembra caderle addosso, sulla cui cima si scorgono ancora i ruderi d’una fortezza: "il castello del diavolo"., come lo chiamano i vecchi. Lungo la sua destra scorre il Brenta. Dinanzi alla casa si estende un ampio giardino, chiuso da mura: un posto ideale per la solitudine e la tranquillità.

Eppure quella casa sembra nascondere antiche storie. C’è chi assicura di aver udito, di tanto in tanto, strani sospiri e altri forti e inspiegabili rumori. Si sa per certo che, verso la fine dell’Ottocento, la figlia dell’oste, che allora era il proprietario della casa, si tolse la vita — si disse — per una delusione d’amore e per trovarsi in attesa di un bimbo senza essere sposata.

Ma la storia più curiosa è la testimonianza diretta di Giustina T., l’attuale proprietaria. Nel 1907 Giustina aveva otto anni, e dormiva con una sorella nella camera dell’ultimo piano. Una mattina, la sorella, che era più grande, vedendola dormire tranquilla, non ebbe cuore di svegliarla mentre usciva per andare alla Messa. Alle sette precise, l’ora della Messa, la bambina si svegliò. "Ho aperto gli occhi", racconta, "e davanti al mio letto ho visto un prete sconosciuto, alto, robusto, ancor giovane. Era avvolto in una mantellina, tirata sopra una spalla; aveva un cappello a larghe falde. La faccia triste e pensierosa, camminava avanti e indietro, per la camera, come se non mi vedesse".

La bambina, spaventata, scivolò fuori dal letto e corse a rifugiarsi presso i suoi genitori, al piano di sotto. Al racconto della figlia, il padre rimase stupito, perplesso: non dubitava del racconto, perché la figlia era giudiziosa e sincera, e soprattutto non aveva paura. Aveva comperato quella casa solo da pochi anni. Nei giorni seguenti, la vicenda corse di bocca in bocca per tutto il paese, e nella ricerca di una spiegazione… si venne a sapere che, proprio in quella camera, non molti anni prima, era vissuto un prete. Poi, un brutto giorno, s’era sentito un tonfo, e sull’acciottolato, sotto la finestra che dall’ultimo piano guarda verso la chiesa, si era trovato il corpo esanime del prete. Un incidente? La gente parlò di suicidio.

Ancor oggi, Giustina racconta il fatto, e, chi la conosce bene, non ha motivo di dubitare che non sia stato vero. Cosa pensare?»

Sappiamo che i bambini — o che, quantomeno, un certo numero di bambini – possiedono delle facoltà extra-sensoriali, che li rendono dei notevoli soggetti medianici (cfr. il nostro ormai vecchio articolo: «I bambini vedono cose che noi non vediamo», pubblicato sul sito di Arianna Editrice in data 25/05/2007); se ne trovano conferme nei ricordi degli anni infantili di molti personaggi divenuti poi, per una ragione o per l’altra, ben conosciuti: per esempio, vi sono un paio di fatti notevolissimi accaduti nell’infanzia e nella prima adolescenza di quella che, da grande, sarebbe divenuta la moglie dello scrittore austriaco Leopold von Sacher Masoch, Wanda, la quale ne parla nei primi capitoli del suo libro di memorie.

Ad ogni modo, tornando alla "villa povera" di Solagna, presso Bassano, è degno di nota il fatto che la tradizione ricordi non solo il suicidio del sacerdote, ma anche quello di una giovane ragazza, verificatosi a non molti anni di distanza, la quale era disperata per una gravidanza non certo voluta, e che non sapeva come giustificare davanti alla propria famiglia e alla gente del paese, in un’epoca in cui la prospettiva di diventare una ragazza-madre era particolarmente scoraggiante dal punto di vista sociale. I sospiri ed altri rumori inspiegabili, che si udirono nell’edificio nel corso del tempo, potrebbero essere posti in relazione con questo suicidio, se pure non erano dovuti non ai morti, ma ai vivi, e cioè alla presenza, fra i successivi inquilini della casa, di persone in età adolescenziale, perché si sa che l’adolescenza (o la pre-adolescenza) è l’età più caratteristica affinché si verifichino le manifestazioni psico-cinetiche del tipo comunemente conosciuto come poltergeist o "spirito folletto".

Da un lato, quindi, ci troviamo in presenza di almeno due diversi casi di suicidio, avvenuti nella stessa casa e, forse, nella stessa camera: il che potrebbe avere impregnato i muti e gli ambienti di una energia psichica particolarmente intensa e persistente. È opinione abbastanza diffusa, infatti, che chi perde la vita in circostanze brusche e drammatiche — come è, appunto, il caso dei suicidi, specialmente se in età immatura — lasci dietro di sé la propria impronta psichica, una specie di proiezione o "doppio" astrale, fatto di materia sottile, quasi evanescente, però dai contorni ben netti e dall’aspetto solido e tridimensionale, il quale stenterebbe a rendersi conto di quel che è accaduto e avrebbe bisogno di tempo, talvolta considerevolmente lungo, prima di accettare l’idea della propria separazione dalla vita terrena e della necessità di recidere definitivamente i legami che ancora la trattengono, in parte, nella dimensione ordinaria spazio-temporale: ossia, in altre parole, di sbarazzarsi del fardello dell’ego, fatto di speranze e paure che, ormai, non hanno più ragione di sussistere, perché il destino fisico di quella persona si è irrevocabilmente compiuto, e non le resta che affrontare quello spirituale.

Da un altro lato, si potrebbero interpretare i fenomeni di origine sconosciuta, che sono stati registrati in quella casa lungo un ampio arco di tempo, ma che poi sono cessati, o dei quali non si è più parlato, come originati dalla presenza di bambini o pre-adolescenti: e questo sarebbe, appunto, il caso di Giustina T., alla quale dobbiamo il racconto particolareggiato dell’apparizione del giovane prete. È un fatto, tuttavia, che in quella occasione non vi furono spostamenti di oggetti, né accensione o spegnimento di luci, né produzione di suoni strani e inspiegabili, o cose simili: non vi fu alcuna modificazione dell’ambiente, ma solo la comparsa di un uomo estraneo che, lì per lì, non sembrava uno spirito, ma pareva fatto di sostanza normale, come qualsiasi uomo perfettamente vivo. La stranezza non consisteva nel suo aspetto, ma nel fatto della sua presenza: perché la bambina sapeva benissimo che nessun prete abitava in quella casa e che non vi era alcuna ragione per cui una persona estranea si aggirasse per la sua camera, a quell’ora del mattino, come se fosse stata la cosa più naturale del mondo.

Oltre a ciò, i fenomeni del tipo poltergeist avvengono in maniera estemporanea e non sono legati ad un particolare luogo, ma a quella particolare persona che è dotata di facoltà medianiche inconsce; tanto è vero che, quando tali soggetti vengono condotti a vivere in un’altra abitazione, solitamente i fenomeni persistono, o riprendono dopo una breve pausa: il che fa pensare che il legame con uno specifico ambiente non sia il fattore decisivo. E poi, come spiegare il fatto che in quella casa di Solagna, e in quella camera, fosse realmente vissuto un prete e che egli fosse morto, cadendo dalla finestra (o gettandosi volontariamente nel vuoto), mentre la bambina non sapeva assolutamente nulla, né dell’una, né dell’altra circostanza? Se la piccola lo vide, ciò farebbe pensare ad un fenomeno appartenente alla casistica della retro-cognizione: la capacità di vedere eventi passati; solo che tale facoltà può essere facilitata, ma non determinata, dal fatto di abitare nello stesso luogo in cui quei fatti erano accaduti.

Tutto considerato, sembrerebbe che ci troviamo di fronte non a dei fenomeni psichici soggettivi, ma a qualcosa di oggettivo, appartenente però ad un’altra dimensione: alla presenza di un fantasma. Ma la presenza dei fantasmi si accompagna sovente a delle sensazioni fisiologiche sgradevoli: come una oppressione al plesso solare (in certi casi, un vero e proprio colpo, che genera una sorta di paralisi temporanea); un tremore inspiegabile e incontrollabile del corpo e delle membra; un senso di sgomento o di nausea, di angoscia, di panico, del tutto privo di ragioni apparenti; una sudorazione improvvisa e molto abbondante, anche nel pieno dell’inverno e con temperature rigide; o, al contrario, un senso di freddo, quasi di gelo, e ciò anche d’estate e in giornate assai calde; infine, dei comportamenti anomali da parte degli animali domestici, specialmente dei gatti, i quali improvvisamente drizzano le orecchie, o brontolano, o fuggono, come se avessero visto o percepito qualcosa che li abbia alquanto spaventati.

Ora, nel racconto della testimone, non compare uno solo di questi elementi: se non fosse per il fatto che la presenza di quel prete le apparve, e giustamente, come una cosa del tutto incongrua, non si direbbe nemmeno che ella abbia visto un fantasma, ma una persona come un’altra, in carne ed ossa. A tubarla e a spaventarla non era stato il fatto che quella vista si accompagnasse a circostanze strane o misteriose, o a sensazioni fisiche particolarmente insolite, bensì il fatto che quell’uomo, lì, non avrebbe dovuto esserci, e inoltre il fatto che il suo comportamento, inquieto ed inquietante, dava l’impressione che egli si muovesse in uno spazio e in un tempo tutti suoi, che non coincidevano con il tempo e con lo spazio da cui lo stava osservando, stupita e terrorizzata, la bambina. Egli, fra le altre cose, appariva inconsapevole della presenza di lei: andava su e giù, nervosamente, con aria tormentata, come se nella stanza ci fosse lui solo. E poi, il fatto che si muovesse liberamente, e che avesse un corpo ben solido e indossasse dei vestiti normalissimi, con dettagli realistici, come la mantellina tirata sopra la spalla ed il cappello a larghe tese – come usavano, a fine Ottocento, i preti cattolici, specialmente in campagna — non va d’accordo con l’ipotesi del fantasma, almeno nel senso classico della definizione.

Un fantasma, infatti, è una entità chiaramente inconsistente, fatta di materia sottile e destinata a svanire nel corso del tempo, gradualmente. Quello che vide la piccola Giustina, invece, era un uomo apparentemente vivo e vegeto, soltanto assai preoccupato e triste. Si giunge così, per esclusione, alla verosimile ipotesi che ella non abbia visto un "fantasma", ma che abbia visto una scena reale del passato: che la sua coscienza abbia fatto un salto temporale all’indietro e che sia stata proiettata, per qualche ragione misteriosa, in un mattino di parecchi anni prima, quando lei ancora non era lì, e probabilmente non era nemmeno ancor nata. Stranissima conclusione, e tuttavia la meno zoppicante fra quante se ne possono avanzare, che ci apre innanzi ulteriori scenari e che sollecita bizzarri interrogativi, come se si fosse dischiusa una porta che nessuno, tranne pochissimi individui, ha mai visto aperta. Il passato, dunque, persiste nel tempo, dopo essere accaduto, così come i negativi già impressi di un rullino rimangono dentro la macchina fotografica, in attesa che qualcuno lo estragga e li sviluppi? Si tratta di un pensiero sconvolgente, perché urta contro ciò che noi sappiamo, o siamo convinti di sapere, a proposito del rapporto di causa ed effetto.

Secondo il nostro abituale modo di pensare, il fenomeno A determina il fenomeno B, che si verifica in un momento successivo ad esso: in una relazione di causa-effetto, dunque, vi è una sequenza, scandita da un prima e da un dopo. Tuttavia, se è così, come è possibile che un evento presente (il risveglio della bambina, alla sette del mattino di una giornata domenicale, mentre le campane suonano per annunciare l’inizio della Messa) apra, per così dire, una finestra su dei fatti passati (il drammatico deambulare attraverso la stanza da parte del prete, che sta meditando di por fine ai suoi giorni), fatti che, per di più, ella ignora del tutto? Per di più, quando il sacerdote si uccise — compiendo un gesto che è considerato un grave peccato dalla morale cattolica, cosa che dovette provocargli ulteriori e laceranti sensi di colpa — la bambina che lo avrebbe scorto, doveva ancora venire al mondo: il che aggiunge un tocco surreale all’intera vicenda. È come se la freccia del tempo fosse impazzita e, invece di andare dal presente verso il futuro, si fosse rivolta all’indietro, verso il passato. È già difficile, per noi, immaginare di rivedere il nostro stesso passato, o, comunque, un passato che ci sia noto; ma come si può immaginare che qualcuno di noi arrivi a vedere, ed a vedere distintamente, un passato che non abbiamo mai conosciuto, e nel quale si muovono persone delle quali dovremmo ignorare, non che l’aspetto, anche la semplice esistenza?

Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Wallace Chuck from Pexels

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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