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Una donna che sia sdegna, nobile, amabile non accende la passione maschile?

Una donna che sia degna, nobile, amabile, non suscita il desiderio maschile, non accende la passione dell’uomo? Quello che il maschio desidera, in una donna, è l’erotismo brutale, la reciproca degradazione? Per poter essere davvero desiderabile, per accendere realmente il desiderio, una donna deve essere ignobile, viziosa, perversa?

Sono domande che, forse, sia gli uomini che le donne (e le donne anche più degli uomini) si sono sempre fatti; ne troviamo i riflessi nella poesia greca e nelle pitture vascolari di quell’antica civiltà, nonché nei versi osceni di un Ovidio, di un Marziale, perfino di un Catullo; per non parlare di certe pitture pompeiane e di certi mosaici romani sparsi ai quattro angoli di quello che fu l’impero più grande del mondo antico.

Per converso: l’uomo e la donna possono amarsi spiritualmente, con delicatezza, con poesia, solo se eliminano la componente sessuale, solo se spengono l’erotismo, ripiegando, per soddisfare il loro desiderio naturale, verso persone del proprio sesso e sfogando fra le braccia di queste il loro autentico, profondo potenziale erotico? È forse questo l’indicibile sottinteso dei trovatori provenzali e degli stilnovisti, dei cavalieri innamorati senza speranza delle loro dame irraggiungibili, e poi ancora, lungo l’intero arco della cultura europea, fino alle soglie del XX secolo, fino ai pittori pre-raffaelliti e ai poeti decadentisti, come Verlaine e Rimbaud?

Se le risposte fossero affermative, allora bisognerebbe concludere che l’uomo e la donna sono destinati a non incontrarsi mai, se non a livello animalesco, come commercio puramente sensuale di corpi, senza alcun sentimento; e, per il resto, non resterebbe loro che praticare una doppia vita affettiva e sociale, riservando alle fantasie, e forse alle pratiche omosessuali, tutto ciò che non potrebbero mai trovare con le persone dell’altro sesso. In fondo, quel che facevano i Greci del tempo di Pericle e i Romani della decadenza. Sarebbe, a nostro avviso, una conclusione molto triste: l’uomo e la donna, nelle loro reciproche relazioni, sarebbero condannati alla più sconfortante solitudine, al più rigoroso isolamento, se non come amici platonici o come fratelli e sorelle per forza. Senza donarsi scambievolmente nulla, tranne un piacere meramente fisiologico, e al prezzo di abbrutirsi l’un l’altra; senza arricchirsi a vicenda della propria identità e della propria umanità; senza capirsi, in ultima analisi.

C’è un punto, però, che va ben chiarito, prima di provare a rispondere alle domande poste qui sopra: l’erotismo è la vera forma della sessualità, l’unica di rango superiore? Se fosse così, la donna, per essere desiderabile, dovrebbe degradarsi a prostituta; e l’uomo, per trovarla desiderabile, dovrebbe degradarsi a sadico, a perverso, a bruto. In altre parole, dovrebbero entrambi tirare fuori non il meglio, ma il peggio di se stessi.

Qualcuno obietterà che "peggio" e "meglio" implicano una dimensione morale che, nel sesso, non c’è e non deve esserci. Ma chi lo dice che il sesso brutale è la sola, vera espressione dell’amore, e l’erotismo la sola e vera espressione del sesso? Evidentemente, i cultori del sesso fine a se stesso e i fanatici dell’erotismo come unica strada che conduce al godimento sessuale. Tutte cose che non ci si può limitare a presupporre; bisogna provare a dimostrarle. Altrimenti, si scivola nella deformazione prospettica, oggi così frequente, inaugurata dal gran cattivo maestro, Freud: quella di scambiare le patologie per la norma psicologica. Certamente, vi sono uomini e donne che hanno bisogno della degradazione per eccitarsi: ma questa non è affatto la norma; e, se ci è consentito, non è neppure indice di un sano rapporto con se stessi e con l’altro (o l’altra). Anche a questa affermazione prevediamo la solita obiezione: la norma, in questo campo, non esiste; tutto è bene quel che conduce al piacere. Pure su questa idea, peraltro, non siamo d’accordo: anche perché essa pone il piacere come supremo obiettivo dell’attrazione sessuale, mentre dovrebbe esserne, per così dire, la conseguenza ed il premio. Con ciò, non vogliamo certo negare che l’appagamento fisico sia un elemento importantissimo dell’amore, diciamo pure il suo naturale completamento; nondimeno, vediamo che esistono forme di amore che possono fare a meno del sesso; mentre è abbastanza frequente la situazione contraria: la pratica del sesso senza amore.

Ora, giova ricordare che la predisposizione al desiderio sessuale è in primo luogo nella mente, non negli organi genitali; pertanto, non si può considerare sano un desiderio sessuale stimolato in maniera puramente artificiale, senza alcun coinvolgimento emotivo e affettivo. Questa, sì, è degradazione. E il confondere l’erotismo con la ricerca di un piacere sessuale fine a se stesso, è un errore grossolano. Contrariamente a quel che molti credono, l’erotismo è un’arte raffinata e sapiente, e, nello stesso tempo, in grandissima parte naturale e spontanea: solo se la si vede e la si vive così, essa può stimolare al massimo il desiderio, sia di colui che seduce, sia di colui che è sedotto. In altre parole: non è vero che l’erotismo è l’arte del sesso brutale, senza coinvolgimento e senza amore; è vero il contrario: l’erotismo è tanto più potente, quanto più smuove gli strati profondi dell’emotività e dell’affettività.

Il punto di vista comunemente diffuso su erotismo e sesso è bene esposto in questo brano di Vittorio Sgarbi, scritto più di vent’anni fa, a commento del film «Basic Instinct» e della sua interorete, la bella e brava attrice americana Sharon Stone (da: V. Sgarbi, «Le mani nei capelli», Milano, Mondadori, 1993, pp. 367-369):

«… La forza di suggestione di un film può corrompere le menti. Ma l’immaginazione è il regno della libertà e in essa è tutto concesso. Così, Sharon Stone ha prestato il suo corpo per le più perverse fantasie del suo regista e pian paino la sua straordinaria grazia si è lasciata contaminare fino a raggiungere una formidabile tensione erotica. […] L’anatomia prevale sulla poesia; non c’è altra strada per l’erotismo che è per sua natura feticistico, sostenuto come un’architettura da elementi strutturali che si chiamano cosce, natiche, tette, caviglie, fino alle zone più intime, nei dettagli che, ingranditi , per astrazione possono diventare fiori, colline, cespugli, spiagge.

Sharon Stone presta il suo corpo per qualunque esercizio, senza alcun artificio, determinando naturalmente quello che Madonna costruisce con sforzo, in laboratorio. Sharon Stone è donna, non simbolo. La donna del desiderio, senza letteratura, senza finzione; esibisce il suo corpo, consapevole che il sesso è un linguaggio, e che una buona vice è un dono naturale, non basta educarla e coltivarla. Il talento è favorito dalla fortuna. E Sharon Stone si muove, anzi è mossa, nel senso che il suo corpo asseconda un istinto, come un tenore che presta la sua vice al personaggio di un’opera. Non si può voler essere come Di Stefano o Pavarotti; o si è, o non si è. Ma il sesso prevede anche sofferenza, contrasto, sovvertimento dei valori. Stimola ciò che non è buono.

Un formidabile prototipo di Sharn Stone, come di ogni donna dotata di sex appeal, , nella visione degenerata, perversa dell’uomo, è la Lesbia di Catullo, che non è bella senza anima: è, come Sharon Stone,m bella con anima cattiva. E quando si concede non è per amore, ma è per capriccio, arbitrio, concessione, sadismo, vizio. Di questo l’uomo gode rigettando ogni virtù., ogni delizia domestica identificata nella fase evolutiva nel ruolo di "moglie". Quando una donna è degna, nobile, amabile, l’eccitazione svanisce. La donna deve essere ignobile, deve esaltare la suprema ignobiltà dell’uomo suoi bassi istinti. E, in questa reciproca degradazione il desiderio ha il suo terreno fertile. Paradossalmente, per recuperare la dimensione spirituale di un rapporto occorre l’identità, il rispecchiamento che annulla la diversità, l’omosessualità.

La naturale bellezza di Sharon Stone diventa eccitante perché si può contaminare, degradare, perché è opposta alla virtù. Bellezza e vizio. Nessuna elevazione. Nessuna spiritualità. Come aveva scritto Heinrich Heine: "Ho voglia del tuo corpo che è giovane e bello. Al diavolo la tua anima, ne ho abbastanza della mia.»

Non ci stupisce la citazione di Heine, una brutta persona del cui carattere meschino abbiamo già parlato in altro luogo: il fatto che da alcuni sia considerato un grande poeta non gli conferisce per niente una superiore autorevolezza in questioni di psicologia o di arte del buon vivere (cfr. il nostro articolo: «Cinismo, perfidia e ipocrisia di Heine nella sua disputa con Platen», pubblicato su «Il Corriere delle Regioni» in data 24/02/2015). Lasciamolo perdere, perciò, come arbitro della questione; e torniamo al nocciolo del problema: l’uomo e la donna hanno bisogno di degradarsi a vicenda, perché l’uno possa trovare nell’altra la fonte del desiderio?

Gira e rigira, la questione è semplice, ed è sempre la stesa: una persona sana ed equilibrata ha desideri e inclinazioni ben diversi da quelli di una persona malata e squilibrata; e la stesa cosa vale per la società nel suo complesso: essa desidera e apprezza le cose buone e sane, quando è sana ed equilibrata; mentre cerca e approva le cose brutte e perfino degradanti, quando è, essa stessa, confusa, avvilita, degradata. Solo così si spiega il fatto che, in certi momenti storici, emergono, nei vari settori della vita pubblica — dalla politica all’arte, dalla religione al pensiero — dei leader negativi, che conducono il corpo sociale verso l’auto-distruzione, e che godono tuttavia, almeno nelle fasi iniziali, di un altissimo indice di consenso. Il contrario avviene nelle società moralmente sane: qui sono le persone moralmente migliori ad emergere, a imporsi, a rappresentare dei modelli positivi per tutte le altre.

Di nuovo, qualcuno obietterà che la sanità morale non ha niente a che vedere con l’erotismo e il sesso. E di nuovo rispondiamo: sarà. Ma sarà, a nostro avviso, per chi parte da una prospettiva che è già, in se stessa, deformata e patologica. Per il tossicomane, solo le sensazioni suscitate dalla droga sono belle e desiderabili; per l’alcolista, solo il gusto dell’alcol conferisce un appagamento: ma queste non sono prospettive normali, bensì malate. Ora, sappiamo bene che la società moderna è malata: e questo spiega, appunto, lo straordinario successo di tutto ciò che esalta il brutto, il deforme, il nauseante, il disgustoso, il cinico, l’abnorme, il crudele, il disperato, il contraffatto, il sadico, il perverso. È questa una buona ragione per continuare a offrire agli uomini (e alle donne) un siffatto genere di opere, di pensieri, di esempi, di modelli? O non sarebbe un’ottima ragione per invertire la tendenza e per proporre modelli, esempi, pensieri ed opere di segno positivo, che facciano appello a quanto nella natura umana vi è di meglio, e non a quanto la avvilisce e la degrada, riducendola a una caricatura della bestia?

È chiaro che, in una società malata di pornografia, la donna si sente apprezzata e desiderata se si abbassa al livello di una sfacciata prostituta: vi sono moltissime donne per bene che si vestono, si muovono, parlano e agiscono come prostitute, in omaggio a questa tendenza e nella speranza di piacere e di sentirsi gratificate nella loro femminilità. Quale errore. Un tale comportamento potrà, senza dubbio, accendere il desiderio maschile, ma non verso la persona della donna, ossia verso la totalità del suo essere, ma solo e unicamente verso il suo corpo: a condizione, ben inteso, che esso si mantenga eternamente fresco, giovane e gradevole. Il che è, evidentemente, impossibile: da cui frustrazione, amarezza e senso di fallimento, via via che si manifesta l’implacabile trascorrere degli anni, con la comparsa delle rughe e la decadenza del corpo. Quanto all’uomo, è altrettanto chiaro che un rapporto così impostato con la donna lo lascerà svuotato di ogni bellezza, di ogni fascino: perché il fascino è mistero e la bellezza è amore; mentre l’erotismo di tipo pornografico sopprime la vera bellezza e bandisce implacabilmente l’amore, come un intruso importuno.

La verità è che i sostenitori dell’erotismo come ricerca della degradazione credono di conoscere molto bene l’arte della seduzione, ma ne sanno ben poco, per il semplice fatto che non sono capaci di vedere l’essere umano nella sua totalità, ossia come persona, ma solo come un insieme di parti anatomiche da esibire più o meno abilmente. Quel che vogliamo dire è che essi si sbagliano non solo sul terreno morale (che a loro non interessa), ma anche sul loro stesso terreno: quello della sensualità e dell’erotismo. Essi non sanno veramente cosa siano queste cose, perché non sanno che cosa sono veramente l’uomo e la donna. Se lo sapessero, non proclamerebbero, come invece fanno, che l’amore è un intruso e che la bellezza interiore contrasta con il desiderio. A dispetto della loro sicumera, vien da chiedersi se abbiano mai realmente conosciuto il vero piacere fra uomo e donna…

Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Wallace Chuck from Pexels

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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