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27 Agosto 2015L’uomo è chiamato ad agire, la donna ad essere: così i due sessi si completano a vicenda

L’uomo è chiamato ad agire, la donna è chiamata ad essere; l’uomo costruisce il mondo, la donna offre se stessa perché quella costruzione sia a misura dell’essere umano: questa l’idea centrale di Pavel Evdokimov a proposito dei differenti ruoli del modo di essere maschile e del modo di essere femminile; un’ida che, pur essendo stata formulata parecchi decenni or sono, torna di straordinaria attualità ai nostri giorni, di fronte alla confusione dilagante su questo argomento.
Si tratta di una intuizione notevole, basata sulla convinzione che i due sessi sono chiamati a completarsi e ad arricchirsi vicendevolmente, non a contrapporsi e a farsi la guerra; né, meno ancora, ad appiattirsi e assomigliarsi sempre di più, come accade, per esempio, sull’onda di certa cultura femminista, allorché la donna vuole rivaleggiare con il maschio sul suo stesso terreno, e finisce per virilizzarsi, mentre l’uomo, specularmente, tende ad effeminarsi.
Oltretutto, osserva con una sottile lepidezza Evdokimov, in questo particolare momento storico, nel quale il maschio, già di per sé, sta attraversando una crisi di virilità, la donna, imitandolo e cercando di superarlo, si sceglie un modello che non è neppure quello al quale ella inconsciamente aspira, ma un altro, che è – aggiungiamo noi — sempre più debole, sfiduciato, insicuro; per cui, se è una anomalia il fatto che la donna voglia mascolinizzarsi, è una doppia anomalia il fatto che ella cerchi di farlo adesso, quando tale processo si fonda su un originale decaduto.
Eppure queste situazioni paradossali non sono affatto rare, anzi, tendono a moltiplicarsi. Ci sia lecito fare un’altra osservazione: ormai l’istituto del matrimonio sembra essere entrato in una crisi pressoché irreversibile, tanto quello religioso, che quello civile; eppure, proprio ora, si nota un fatto sconcertante: a battersi per conquistare il diritto di sposarsi, in aperta controtendenza rispetto alla stragrande maggioranza, sono le coppie omosessuali; non solo, ma anche per ottenere l’adozione di bambini, o, nel caso delle coppie lesbiche, per ottenere il diritto alla fecondazione eterologa. Stupefacente! Quel matrimonio "borghese" che, per decenni, è stato deriso, calunniato, svillaneggiato e additato al pubblico disprezzo, come se fosse stato la causa di tutti i mali sociali, ora è diventato la massima aspirazione, l’oggetto del desiderio più ardente, da parte degli omosessuali, sia maschi che femmine. E l’avere dei figli, che la cultura progressista, sessantottina e post-sessantottina, ma specialmente in ambito femminista, aveva bollato come il più nefando marchio di servaggio, come il più abominevole atto di resa alla perdita della propria libertà, adesso si è trasformato, sempre da parte delle coppie omosessuali, in un bruciante, irrefrenabile desiderio di paternità e di maternità, quasi una questione di vita o di morte, che i parlamenti dei singoli Paesi si vedono sollecitati a risolvere urgentissimamente, una volta per tutte, mediante una apposita legislazione, debitamente "moderna" e "avanzata", ossia, per usare l’espressione canonica del politicamente corretto, "degna di un Paese civile". Chiudiamo la parentesi su questo aspetto e ritorniamo al rapporto fra i due sessi.
Già reso estremamente difficile dalle trasformazioni economiche e sociali proprie della modernità, che tendono a schiavizzare e ad alienare tutti gli esseri umani, sia maschi che femmine, e dunque a sopprimere la loro autentica vocazione, trasformandoli in qualcosa di profondamente diverso da ciò che dovrebbero essere,esso si fa ancora più teso, conflittuale, e – quel che è peggio – contraddittorio, per il fatto che la donna, lamentandosi della durezza e insensibilità del maschio, si sforza nondimeno di sostituirlo, su tutti i piani, anche su quello professionale, contraendo, però, la sua stessa "malattia" e facendosi, a sua volta, sempre più opportunista, dura e insensibile. Il suo compagno non la riconosce più, ne è spaventato, respinto; ma, soprattutto, sono i figli a soffrire di questa disarmonia generalizzata e sistematica nei rapporti fra i genitori.
Come può trovare i suoi giusti punti di riferimento un bambino, cresciuto fra un padre divenuto insicuro, perplesso, intimidito, e una madre sempre più aggressiva, invadente, autoritaria; come può crescere in maniera armoniosa, come può prepararsi adeguatamente ad affrontare le difficoltà e le sfide della vita adulta, da essere autonomo e responsabile di se stesso? E come può aver maturato la giusta dose di autostima, di fiducia in sé, fra due figure genitoriali sempre più distaccate, assenti, anaffettive, sempre più protese — oltretutto, in maniera conflittuale l’una verso l’altra — a soddisfare ogni loro desiderio, e oscillanti, nei confronti dei figli, fra i due eccessi, ugualmente riprovevoli, del rigore soffocante (quante tragedie, ad esempio, per un brutto voto a scuola, oltretutto senza mai preoccuparsi delle ragioni che l’hanno determinato!) e del lassismo permissivo e cameratesco, come se il bambino fosse l’amico e il complice di suo padre e sua madre?
Del filosofo russo Pavel Evdokimov, un autore del quale ci eravamo già occupati a suo tempo (cfr. l’articolo: «La radicale ambiguità dell’amore nel pensiero di P. N. Evdokimov», pubblicato sul sito di Arianna Editrice in data 21/04/2015), ci piace riportare qui un passaggio essenziale, scritto con la sua caratteristica semplicità e chiarezza, doti molto rare, ormai, tra i pensatori, che si fanno quasi un dovere di esprimersi in maniera oscura e involuta (da: P. Evdokimov, «La donna e la salvezza del mondo»; titolo originale: «La femme e la salut du monde»Paris, Desclée De Brouwer, 1978; traduzione dal francese Adriano Dell’Asta, Milano, Jaca Book, 1979, pp. 186-188):
«Il libro di Simone de Beauvoir ci introduce in questo mondo di nevrotici. È un libro notevole, una vera e propria somma di osservazioni giustissime e coraggiose., ma si chiude con una nota stonata, cin un terribile senso di vuoto. L’assenza di qualsiasi conclusione è tipica della filosofia sartriana. Al di là delle apparenze, non esiste alcun mistero, e persino l’abisso demoniaco è privo di profondità, è l’abisso della banalità. Già Nietzsche lanciava un grido di allarme: "non disincarnate la donna dal suo mistero". Se la si riduce alla pura fisiologia, non scompare soltanto il suo mistero ma tutta la donna. Il "per sé" della donna esistenzialista si rivela il "tutto per il piacere". La natura di questo piacere, descritto nei sogni delle giovani, fa spavento perché mette in luce una mentalità scimmiesca, realmente degenerata. Ora, come ogni nichilismo è distruttivo all’interno della sua terribile e tipica domanda: "A che scopo?", anche l’esistenzialismo si autodistrugge quando si chiede: "E dopo?".
Una letteratura sempre più malsana, tesa com’è a strappare non solo le maschere dell’ipocrisia ma anche gli indispensabili veli del pudore, ci getta in un mondo di malati, con tutti i penosi dettagli di una immaginazione morbosa. Non si tratta di costringere nessuno a illudersi sulle conseguenze finali del processo digestivo. I pazzi, i maniaci, esistono, ma è assurdamente penoso essere costretti a guardarli e considerarli poi l’unica realtà esistente al mondo! I campioni della psicopatologia — preziosi nel loro genere — non devono oltrepassare i limiti del loro mondo. Simone De Beauvoir protesta contro la mitologia del mondo patriarcale ma viene affascinata dal mito della donna amazzone che, prima o pi, sboccia fatalmente nella grande prostituta dell’"Apocalisse". In entrambi i casi, quella che va persa è la reciprocità, il faccia a faccia; l’autonomia trascende l’alterità; ci si serve l’uno dell’altra e si arriva alla solitudine, all’alienazione.
Ora, l’avvento dell’uomo si realizza spezzando la solitudine orgogliosa e romantica, separandosi da se stessi e ritrovando la comunione. L’umanità è come una vetta i cui due versanti sono il maschile e il femminile e sono tali proprio in quanto si realizzano l’uno attraverso l’altro. Nella Bibbia leggiamo: "Quando risusciteranno dai morti non vi sarà chi sposa, né chi sarà sposato, ma saranno come gli angeli nei cieli" (Mc 12, 25). Swedenborg ha dato una stupenda spiegazione di queste parole: il maschile e il femminile (nella loro totalità) si ritroveranno nel Regno di Dio nella forma di un unico angelo.
Se l’uomo si prolunga nel mondo con gli utensili, la donna lo fa con il dono di sé. Nel suo stesso essere è legata ai ritmi della natura, è in consonanza con l’ordine che regge l’universo. E proprio in virtù di questo di questo dono ogni donna è virtualmente madre e porta in fondo all’anima il tesoro del mondo. La freschezza della vera femminilità che possiede il senso nascosto delle cose si rileva in tutta la sua evidenza in questa frase di Mansfield: "Quando una donna porta a passeggio un neonato, si sa come le si accosti chi e sta vicino e come, sollevando il velo della testolina, si chini ed esclami: "Dio lo benedica!". Mi viene sempre voglia di fare lo stesso quando mi trovo di fronte al volto delle lucertole e delle viole del pensiero, o quando mi trovo di fronte ad una casa al chiaro di luna. Mi sento sempre sul punto di benedire quello che contemplo". Accanto alla fabbricazione c’è la penetrazione nelle segrete profondità dell’essere. Se l’uomo deve agire, la donna deve essere, e questa è la categoria religiosa per eccellenza.
La donna potrebbe accumulare dei valori intellettuali, ma questi valori non danno la gioia. La donna intellettualizzata ad oltranza ad imitazione dell’uomo e costruttrice del mondo finirà col vedersi spogliata della propria essenza perché la donna è chi amata ad introdurre nella cultura la femminilità come modo d’essere e come modo d’esistenza insostituibile. L’uomo crea la scienza, l’arte, la filosofia e pesino la teologia, intese come sistemi, ma tutto ciò porta ad una terribile oggettivazione della verità. Ma fortunatamente c’è la donna che è predestinata a diventare la portatrice di questi valori, il luogo in cui essi si incarnano e vivono. In cima al mondo, proprio nel cuore dello spirituale, c’è la Serva di Dio, manifestazione dell’essere umano riportato alla sua verità originaria. Proteggere il mondo degli uomini in quanto madre e salvarlo in quanto vergine, dando a questo mondo un’anima, la propria anima, questa è la vocazione della donna. Il destino del nuovo mondo è tra le braccia della madre, come dice così meravigliosamente il Corano: "Il Paradiso sta ai piedi della madre". Giraudoux, in ""Sodoma e Gomorra", a proposito dell’epoca in cui la donna non saprà più amare e donarsi, dice: "è la fine del mondo!". […]
La vera trascendenza unisce il maschile e il femminile in un’integrazione che trasforma i suoi elementi. Essa interrompe la loro frammentazione in "femmine" e "maschi", in io e non-io. Il paradosso del destino umano è che si diventa se stessi diventando qualcosa d’altro: l’uomo si scopre dio secondo la grazia, ciò che è esteriore non si distingue più da ciò che è interiore.»
Dare al mondo un’anima, cioè amare e donarsi: questa è la missione della donna, secondo Pavel Evdokimov; mentre gli uomini si affanno a costruirlo, ma trascurando la dimensione affettiva e spirituale. E tuttavia, già prevediamo l’obiezione di fondo della cultura progressista oggi dominante: chi lo dice che esistano una specifica missione dell’uomo e una specifica missione della donna? Chi lo dice che le persone nascano con una specifica missione da realizzare? Da chi, da che cosa, da dove proverrebbe una tale "missione"? Non sa tutto questo, un po’ troppo, invero, di teologia, di sovrasensibile, di metafisica? E poi: chi lo dice che esistano l’uomo e la donna, intesi come generi distinti? Secondo la teoria denominata "gender", non esistono due sessi, ma cinque orientamenti sessuali; i "sessi" li crea la società, dal momento che essi non sono, primariamente, un dato fisiologico e psicologico, ma un dato meramente culturale, acquisito e, pertanto, non naturale.
Risposta. Che il genere maschile e il genere femminile esistano in se stessi, lo prova l’osservazione: anteriormente all’influsso culturale degli adulti, i bambini, fin da piccoli, mostrano una spiccata propensione a determinarsi in quanto maschi e femmine. Quando fanno le stesse cose, le fanno in modo diverso; ma, in genere, provano piacere a giocare in modo diverso, perché sentono, pensano e agiscono in modo diverso. Esiste una maniera maschile ed una femminile di allacciarsi le scarpe, di guardarsi allo specchio, di camminare: con buona pace della cultura femminista e di quella gay.
All’interno di questa differenza ontologica, sussiste una differenza vocazionale: uomini e donne sono chiamati a svolgere un ruolo diverso, ma complementare; se fossero chiamati a svolgere lo stesso ruolo, o se fossero chiamati a scontrarsi eternamente, la società umana non sarebbe neppure nata. Ma chi lo dice che esiste una vocazione specifica, non solo per il genere maschile e femminile, ma anche per ogni singolo individuo, fra i sette miliardi e mezzo che popolano la Terra in questo momento; e che non esistono due vocazioni perfettamente identiche? Certo: se crediamo che tutto venga dal caso – non solo il nostro esserci, ma anche quello del mondo-, allora è sbagliato parlare di vocazione. Ma quanti negano che essa vi sia, hanno mai provato ad ascoltarne la voce, nel silenzio?
Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Mike Chai from Pexels